Quanto è successo in questi mesi nel mondo dell’energia, con i prezzi del metano e dell’elettricità impazziti per una serie di fattori geopolitici, e soprattutto per quanto sta succedendo adesso in Ucraina, sembra aver convinto molti della necessità di mettere una pietra sopra al periodo dell’energia fossile, e passare finalmente a quella rinnovabile, l’unica che può finalmente rendere l’Europa energeticamente indipendente.
In attesa che il governo, come vogliono fare i tedeschi, proceda rapidamente sulla strada dell’abbandono dei combustibili fossili, i cittadini di questo paese possono comunque procedere a una transizione energetica “fai da te”, staccando le proprie abitazioni dal gas, e ottenendo così notevoli vantaggi: dallo spendere meno, al ridurre la propria impronta climatica, fino all’eliminare il rischio che la casa salti in aria per una fuga di gas.
Questo, come abbiamo più volte descritto, è una cosa sicuramente possibile in quasi tutte le situazioni, nel caso di abitazioni monofamiliari.
Ma nel caso dei condomini è possibile staccarsi dal metano? In questo caso le soluzioni non sono così semplici, ma per questo ne vogliamo parlare con diversi esperti, anche per fornire consigli utili e concreti ai cittadini.
Iniziamo con un’intervista a Mario Butera, architetto e direttore tecnico della ESCo ExAlto, che ha curato varie ristrutturazioni energetiche edilizie di grandi dimensioni, premettendo che tutti i consigli che ci ha dato, prevedono comunque un’accurata valutazione tecnico-energetica del caso specifico, prima di decidere se sono attuabili.
“Abbandonare il metano in un’abitazione vuol dire intervenire in tre diverse direzioni: riscaldamento, produzione acqua calda sanitaria e cottura”, ci ha detto.
“L’ultima è una scelta fatta sempre a livello di singola abitazione, sia essa una casa monofamiliare o un appartamento in condominio: chi vuole può sostituire i fornelli con piastre a induzione e forno elettrico (meglio aumentando di un po’ la potenza elettrica impegnata, in genere passando dai normali 3 kW ai 4 o 4,5 kW, ndr), magari usufruendo del bonus mobili con lo sconto del 50%. Visto che l’allaccio al gas non è condominiale, ma a livello di singolo appartamento, alcuni potranno tenersi il gas per cucinare e altri eliminarlo, senza che la scelta di uno influenzi quella dell’altro”.
Passiamo allora al secondo punto, l’acqua calda sanitaria, o Acs.
“Nei condomini è raro che la fornitura di Acs sia centralizzata, perché questo comporta inconvenienti, come lunghi tempi di attesa e acqua tiepida per chi sta agli ultimi piani. È certo possibile eliminare questi inconvenienti, realizzando sistemi centralizzati a circolazione continua, come quelli degli alberghi, e poi produrre l’Acs con un sistema centralizzato a pompa di calore. Ma si tratta di lavori complessi e costosi, spesso improponibili in case già abitate. In sintesi, quasi sempre oggi nei condomini la produzione di Acs è a livello di singolo appartamento, tramite boiler elettrico o caldaia a gas, ed è lì che bisogna intervenire”.
Per cui anche qui la decisione se mantenerla o meno spetta al singolo proprietario e non all’assemblea di condominio?
«Esattamente. Oggi è possibile sostituire la caldaia o il boiler elettrico con una piccola pompa di calore adibita solo all’Acs, che non occupa molto più spazio di un boiler, richiedendo però un foro nel muro per l’aspirazione dell’aria esterna da cui estrarre il calore. L’installazione di una Pdc per l’Acs gode dell’Ecobonus del 65% o del conto termico, oppure del 110%, se tutto il condominio ha deciso di ristrutturare”.
Ma un Pdc per l’acqua calda fa risparmiare?
“Rispetto a un boiler elettrico, la PdC è sicuramente molto più economica, e probabilmente lo è anche rispetto alla caldaia a gas. Questo è ancora più vero se il condominio si è dotato di un impianto FV comune, o se il proprietario partecipa a una comunità energetica, autoproducendosi quindi parte della propria elettricità”.
Quindi anche nel caso dell’Acs, quasi sempre, volendo, un proprietario di appartamento in condominio può abbandonare il gas, senza bisogno di coinvolgere gli altri condomini. Accade lo stesso anche nel caso del riscaldamento?
“Qui bisogna fare una premessa: l’installazione di Pdc per riscaldamento presuppone sempre che il condominio sia stato ben isolato, altrimenti le bollette elettriche faranno rimpiangere quelle del gas. Quanto alla procedura di sostituzione, dipende se il condominio ha un impianto di riscaldamento centralizzato, caso peraltro ormai abbastanza raro. Se lo ha, occorre ovviamente che l’assemblea di condominio, magari nel quadro di un bonus 110% decida per la sostituzione della caldaia centrale con una Pdc, tenendo però conto che ciò non è sempre possibile o conveniente: se per esempio il condominio ha un impianto progettato per funzionare con termosifoni e acqua molto calda, la sostituzione con una normale Pdc, che notoriamente funziona a 40-50 gradi, può non essere agevole. Si può ovviare con una Pdc ad alta temperatura, che però costa cara. In compenso le grandi dimensioni di una Pdc per condominio, può rendere conveniente l’uso di sistemi geotermici o con estrazione di calore dall’acqua di falda, che sono molto efficienti. Ma, ovviamente, bisogna valutare caso per caso”.
E se si usasse una caldaia a biomasse?
“È una scelta difficile in città, per lo spazio che richiede il combustibile e per le normative anti inquinamento. Mi pare possibile solo in aree vocate, come quelle montane”.
Se invece ogni inquilino ha il suo impianto di riscaldamento autonomo che si fa?
“Visto che, come ho già detto, il passaggio a una Pdc conviene solo se preceduto dall’installazione di cappotto e infissi isolanti, questa sostituzione ha senso nel caso che il condominio sia già ben coibentato o stia procedendo a una ristrutturazione energetica globale, magari tramite 110%: in quest’ultimo caso, installando una Pdc per riscaldamento e Acs in ogni appartamento, si può in effetti puntare all’eliminazione totale e concordata del gas dall’intero palazzo”.
Ma è possibile sostituire una caldaietta autonoma a gas, con una Pdc?
“Non solo è possibile, ma prima o poi diventerà obbligatorio, visto che al 2035 l’UE prevede che si cessi di usare il metano per riscaldarci: a meno non sia allora disponibile idrogeno nei tubi, il passaggio alla Pdc sarà inevitabile”.
E in pratica come avviene questa sostituzione?
“Bisogna che l’appartamento abbia almeno lo spazio per l’elemento esterno della Pdc; qui può bastare un terrazzino. Se poi ha anche posto per un serbatoio di accumulo che faccia da volano termico, meglio ancora: l’impianto diventerebbe più performante. Quanto all’installazione e al sistema di distribuzione ci sono varie tipologie, ma credo che nel caso di un appartamento o si mantengono i termosifoni, ammesso che i tubi nei muri siano di diametro sufficiente, facendo lavorare la Pdc a temperature un po’ più alte, oppure si dovranno usare dei termoconvettori, a cui la pompa di calore fa arrivare l’acqua riscaldata, anche solo a 40 °C. Quest’ultima soluzione tecnicamente è la migliore, permettendo anche il raffrescamento, ma presuppone l’installazione di nuovi tubi nel muro, e non è detto che ciò sia sempre possibile”.
L’uso delle varie Pdc, però, fa aumentare di molto i consumi elettrici e oggi l’elettricità non è certo economica…
«Neanche il gas lo è, e a differenza dell’elettricità non si può autoprodurre. Oggi con le nuove norme europee, un condominio può mettere dei pannelli FV sul tetto, e poi ripartirne la produzione fra tutti gli appartamenti che hanno contribuito a pagare l’installazione. Visto però che il tetto di un condominio è piccolo rispetto al numero di case che ha sotto, forse è meglio organizzare una comunità energetica con le persone interessate nel gruppo di case servite dalla stessa cabina elettrica, e poi costruire un grande impianto FV a terra o su tetti più ampi, e così ottenere una cospicua produzione elettrica solare, capace di coprire buona parte dei consumi legati all’uso dela Pdc”.
Quindi, concludendo, quasi sempre un appartamento di condominio può decidere di rinunciare al gas in autonomia, oppure lo si può fare in modo coordinato, al momento di ristrutturare energeticamente l’intero stabile: le tecnologie esistono, e non sono diverse da quelle impiegate nelle case monofamiliari.
Ma secondo lei quale fra riscaldamento, Acs e fornelli, è la più difficile da implementare per arrivare all’abbandono del gas?
“Tecnicamente il riscaldamento, ma temo che molti rifiuteranno di abbandonare la fiamma dei fornelli per le piastre a induzione per motivi culturali, non fidandosi del risultato gastronomico ottenibile con quelle ‘diavolerie moderne’, che peraltro sono una soluzione ottimale. Per fortuna vedo che nelle trasmissioni di cucina usano sempre piastre a induzione, e chissà che questo non faciliti il cambio di mentalità”.