BP perde miliardi e annuncia: 40% di petrolio in meno e 50 GW di rinnovabili in dieci anni

Il colosso petrolifero inglese continua a mutare la sua strategia industriale per adattarsi ai nuovi scenari. Vediamo come e con quali incognite.

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Quando un colosso petrolifero come BP deve cambiare pelle, puntando verso una maggiore sostenibilità ambientale, le trasformazioni richieste sono di ampia portata e non si possono annunciare in una volta sola.

Così dopo aver annunciato l’obiettivo di azzerare le emissioni nette di CO2 associate alle sue attività industriali entro il 2050 (lo scorso febbraio) e poi il taglio di 10.000 posti di lavoro (lo scorso giugno) per ridurre le spese, BP ha comunicato l’intenzione di raggiungere un altro paio di traguardi rilevanti.

Il primo: trasformare BP da una compagnia petrolifera internazionale a una compagnia energetica integrata, cioè più attenta a offrire ai suoi clienti soluzioni e tecnologie a basso impatto ambientale, piuttosto che continuare a produrre risorse fossili come se il mondo di oggi fosse ancora quello del 2019.

L’emergenza coronavirus con il lockdown ha dato una spallata al settore petrolifero, con il crollo dei consumi di oro nero e i prezzi del barile in picchiata.

E l’emergenza climatica preme sempre più forte sulla schiena curva di Big Oil, chiedendo impegni più forti per contrastare il surriscaldamento globale e diminuire velocemente le emissioni di anidride carbonica.

Intanto BP ha registrato perdite per quasi 17 miliardi di dollari nel secondo trimestre 2020 e ha deciso di tagliare del 50% i dividendi agli azionisti, portandoli da 10,5 a 5,25 centesimi per azione; pure Shell ha registrato perdite notevoli (18 miliardi di $ circa) nel secondo trimestre, causate soprattutto da una svalutazione pari a 16,8 miliardi di $ delle sue attività. Insomma, come aveva dichiarato un paio di mesi fa l’amministratore delegato di BP, Bernard Looney, bisogna “reinventare” il modo di fare business in uno scenario più orientato verso l’economia verde.

Ecco quindi la seconda “bomba” sganciata da BP dopo aver comunicato i risultati finanziari del secondo trimestre: ridurre la produzione di fonti fossili del 40% al 2030, rispetto ai livelli del 2019, evitando altresì di esplorare giacimenti in nuovi paesi dove BP non sia già presente.

In sostanza, BP prevede di produrre ogni giorno circa 1,5 milioni di barili di petrolio equivalente (Boe: barrels of oil equivalent) nel 2030, contro 2,6 milioni nel 2019.

E nel 2030, si legge in una nota, BP sarà molto diversa da oggi, perché avrà aumentato gli investimenti annuali in energie pulite (low carbon) da 500 milioni di dollari a 5 miliardi di $ e avrà installato 50 GW complessivi di fonti rinnovabili (oggi: circa 2,5 GW), oltre ad aver investito in bioenergie, idrogeno e punti di ricarica per veicoli elettrici (si parla di 70.000 punti di ricarica al 2030, mentre oggi sono circa 7.500).

Insomma, c’è abbastanza carne al fuoco da innescare una prima rivoluzione energetica, anche se restano diverse incognite da monitorare con attenzione, e questo vale in generale per tutte le compagnie petrolifere che affermano di voler cambiare pelle.

Con quali misure BP intende conseguire i suoi obiettivi? Come riuscirà a compensare le emissioni residue delle sue operazioni oil&gas? I dirigenti di BP (e delle altre società fossili, come Shell) hanno preso delle precauzioni per evitare il rischio greenwashing, che significa realizzare una politica verde di facciata, mentre le attività tradizionali e inquinanti proseguono?

Come ha rimarcato un recente studio della Transition Pathway Initiative, alle società petrolifere è richiesta una de-carbonizzazione più incisiva e profonda rispetto agli obiettivi stabiliti finora da Big Oil, obiettivi che sono ancora incompatibili con uno scenario in cui l’incremento della temperatura media terrestre sarà limitato a +1,5-2 gradi rispetto all’epoca preindustriale.

E le ultime analisi di Carbon Tracker evidenziano l’inghippo che sta dietro molti annunci green, tra cui quello dell’Oil and Gas Climate Initiative che comprende anche BP: spesso le multinazionali fossili si prendono l’impegno di ridurre l’intensità di carbonio delle loro attività, come l’estrazione e produzione di idrocarburi, ad esempio utilizzando energia rinnovabile e minimizzando le fughe di metano dai pozzi.

Ma se quelle stesse multinazionali poi producono più gas e petrolio di prima, anziché produrne di meno – come dice di voler fare BP: vedremo se sarà così – il tutto si traduce in una crescita complessiva delle emissioni. Ecco perché un vero obiettivo verde dovrebbe essere fissato in termini assoluti: cioè in termini di riduzione delle emissioni totali associate a una determinata attività.

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