Nei primi dieci anni di questo secolo, Terna decise di sperimentare alcune tecnologie di accumulo, per cercare di alleviare la situazione di alcuni colli di bottiglia della rete, che, soprattutto al sud, non ce la facevano a trasportare altrove la produzione di sole e vento nelle ore di picco.
Fra le tecnologie testate c’erano batterie al sodio-zolfo ad alta temperatura, che prima di iniziare a funzionare andavano scaldate a 200 °C.
I risultati non devono essere stati molto buoni, perché di quegli accumulatori non si è più sentito parlare, offuscati anche dai più accelerati sviluppi delle batterie al litio, iniziati proprio in quegli anni.
Le carte della batteria al sodio
Per uno di quegli strani ricorsi della storia della tecnologia sta però delineandosi la riscossa delle batterie al sodio: tante iniziative industriali sono state ultimamente annunciate, frutto dell’esplosione del prezzo del carbonato di litio che, fra il 2021 e il 2022, era passato dai 5.000 $/ton, agli 82.000 $/ton, facendo pensare che fosse necessario trovare rapidamente dei sostituti.
Il sodio emerse allora subito come naturale rimpiazzo del litio, essendo l’elemento che arriva subito dopo nella colonna dei metalli alcalini nella tavola periodica, e quindi ha più o meno le sue stesse proprietà chimiche ed elettrochimiche.
Ma l’aspetto che più piace del sodio è il suo essere un elemento estremamente diffuso (il sesto fra i più comuni sulla Terra), 1000 volte più abbondante del litio.
Con il sodio si possono costruire accumulatori estremamente economici con cui spingere di nuovo l’elettrificazione dei trasporti, rallentata in Occidente dagli alti prezzi delle auto elettriche, ma anche per liberarsi dalle catene di produzione e raffinazione del litio per il 70% in mani cinesi.
Così dai laboratori stanno ora uscendo modelli e prototipi di batterie sodio-ioni, molto simili a quelle al litio come struttura e funzionamento, con l’ulteriore vantaggio di essere anche molto meno facili a surriscaldarsi e, al limite, a prendere fuoco.
Gli ostacoli e le iniziative industriali
Naturalmente se tutto ciò bastasse, auto elettriche e telefonini andrebbero già alimentati con batterie al sodio.
Purtroppo, questo elemento ha anche un peso per volume quasi doppio rispetto a quello del litio e una minore carica elettropositiva che ne abbassa la tensione ottenibile: in parole semplici non potrà mai raggiungere le densità energetiche degli accumulatori al litio, che oggi arrivano a circa 300 Wh/kg, mentre in laboratorio si sono già realizzati prototipi da 700 Wh/kg.
Questo però non ha scoraggiato i massimi produttori di batterie dagli sviluppi e dalla ricerca su questa filiera tecnologica, primi fra tutti i cinesi, che hanno già messo sul mercato veicoli con batterie al sodio.
La CATL ha appena annunciato che metterà in produzione, appena ci sarà richiesta, la seconda sua generazione di accumulatori al sodio; saranno dotati di una densità energetica di 200 Wh/kg rispetto ai 160 Wh/kg precedenti, e anche in grado di funzionare fino a -40 °C, contro i -20 °C del litio.
L’altro gigante delle batterie cinesi, BYD, ha risposto annunciando l’inizio della costruzione di una fabbrica da 30 GWh/anno di batterie al sodio, che fornirà gli elementi anche per un modello containerizzato da 2,3 MWh per storage di impianti a fonti rinnovabili. Secondo BYD il suo costo sarà per ora pari a quello di analoghi grandi accumulatori al litio-fosfato, ma una volta iniziata la produzione di massa dovrebbe scendere anche del 70%.
Altre nazioni stanno cominciando a puntare sul sodio come mezzo per liberarsi dal quasi monopolio cinese sul litio.
L’India è in prima fila in questo tentativo con il colosso Reliance Industry, che si occupa più che altro di idrocarburi, ma ora sta progettando una gigafactory di accumulatori al sodio con cui soddisfare il boom di domanda domestica di mezzi elettrici economici, dagli scooter ai furgoni.
Anche l’americana Natrion sta pensando alle sue batterie al sodio, dotate di un rivoluzionario catodo al blu di Prussia non metallico, anche per guadagnare indipendenza dalla Cina e visto che gli Usa sono i maggiori produttori mondiali di carbonato di sodio. A questo scopo ha investito 1,4 miliardi di dollari nella costruzione di una fabbrica da 14 GWh/anno di batterie al sodio, che aumenterebbe di 40 volte la sua attuale produzione.
A questo punto molti alzeranno gli occhi al cielo e penseranno che anche stavolta l’Europa è assente da tale sfida tecnologica.
In realtà non è così: esiste anche un progetto molto interessante per le batterie al sodio, portato avanti dalla svedese Northvolt nel suo “campus di ricerca sugli accumulatori” di Västerås, i Northvolt Labs, a 100 km da Stoccolma.
A differenza degli altri progetti, questo ha come stella polare la sostenibilità, per cui non solo usa il sodio, ma ha anche cambiato tutti gli altri componenti con materiali non rari: nel catodo hanno sostituito cobalto e nickel con il comune ferro, di cui la Svezia è grande produttrice, mentre i collettori dell’elettricità saranno in alluminio, invece che in rame.
In questo modo la batteria al sodio di Northvolt non solo utilizzerà metalli molto comuni, ma sarà anche più facilmente riciclabile.
Peccato che Northvolt sia al momento in pessime acque economiche, dopo che i forti ritardi nell’inizio della produzione nelle sue nuove gigafactory europee, gli hanno fatto perdere clienti importanti come BMW, portandola a un passo dal fallimento. L’azienda ha licenziato 1600 dipendenti (fra cui lo stesso AD e fondatore, Peter Carlsson) e sospeso la realizzazione di un grande centro per il riciclo delle batterie, ma non ha chiuso il Northvolt Labs, che continua a lavorare sulla batteria al sodio, sperando di migliorare di molto la sua densità energetica, oggi ferma ai 160 Wh/kg.
Il problema della bassa densità energetica è un notevole ostacolo per l’uso delle batterie al sodio in campo automobilistico; basti pensare che la prima auto con batterie al sodio ha appena 230 km di autonomia, avendo le sue batterie solo 140 Wh/kg di densità energetica.
Ma, a parte i progressi promessi dalle prossime versioni di questi accumulatori, il punto è che se si riuscirà, come si sta già facendo per le batterie al litio, a creare modelli al sodio che si ricaricano in 5-10 minuti con colonnine ad alta potenza, le autonomie relativamente ridotte passeranno in secondo piano.
Più preoccupante per il successo di questa linea di accumulatori è il fatto che dopo la fiammata del 2022, il prezzo del litio sia oggi in continuo calo, grazie all’apertura e all’ampliamento di tante miniere in giro per il mondo: ora il prezzo si aggira sui 10.000 $/tonnellata.
Nonostante il carbonato di sodio sia ancora 50 volte più economico di quello di litio, la riduzione del divario di prezzo rispetto a quello stratosferico del 2022 rende sempre meno allettante il passaggio alle batterie al sodio anche perché i risparmi consentiti dall’enorme scala della capacità produttiva delle batterie al litio (2.600 GWh nel 2024) renderanno ancora per molti anni quelle al sodio meno competitive.
Tanto più che le ricerche in corso per migliorare prezzi e prestazioni degli accumulatori al litio (pensiamo a quelle per renderle “a stato solido”), potranno ampliare ancora di più il loro vantaggio in termini di densità energetica.
Come andrà a finire questo “duello” è ancora molto incerto: vedremo se il sodio riuscirà, se non a sostituire l’ultra favorito litio, per la sua chimica e per le scelte industriali, almeno a ritagliarsi una consistente nicchia di mercato, magari in applicazioni e situazioni dove costo, indipendenza geopolitica, sicurezza contro incendi e basse temperature giocano a favore di questo underdog dello storage.