Si allontana un po’ la sfida considerevole di consegnare il petrolio alla storia, Make oil history come si legge sulla home page del sito web di Northvolt.
L’azienda svedese, fondata nel 2016 a Stoccolma da due ex dirigenti della Tesla, considerata una delle compagnie europee più titolate per competere con i colossi internazionali – soprattutto cinesi – delle batterie, ha presentato una richiesta di ristrutturazione del debito negli Stati Uniti, ai sensi del Chapter 11.
Il “Capitolo 11” è la legge fallimentare federale degli Usa, che consente alle imprese di rimanere operative sotto il controllo di una Corte fallimentare (nel caso specifico, quella del distretto meridionale del Texas).
Non è quindi una procedura di liquidazione: l’obiettivo è definire un piano per risanare gradualmente le attività e uscire infine dalla procedura attivata. Northvolt prevede di completare la sua ristrutturazione entro il primo trimestre del 2025, come si legge in una nota.
Nella sua petizione per il Chapter 11, l’azienda sostiene di avere una liquidità residua pari a 30 milioni di dollari, sufficienti a sostenere le sue operazioni per circa una settimana, con debiti che ammontano a 5,8 miliardi, riferisce l’agenzia Reuters.
Intanto si “continuerà a compiere consegne ai clienti, adempiendo nello stesso tempo agli obblighi verso i fornitori essenziali e al pagamento degli stipendi ai dipendenti”.
Il procedimento regolato dal Chapter 11 “consentirà a Northvolt di accedere a nuove fonti di finanziamento, tra cui circa 145 milioni di dollari in garanzie di contanti. Inoltre, uno degli attuali clienti [Scania, ndr.] si è impegnato a fornire 100 milioni di $ in nuovi finanziamenti per supportare le attività commerciali” dell’azienda.
La nota evidenzia che la gigafactory di batterie a Skellefteå, in Svezia, rimarrà operativa, così come il centro di ricerca e sviluppo Northvolt Labs a Västerås, sempre nel Paese scandinavo.
Mentre Northvolt Germania e Northvolt Nord America, sussidiarie di Northvolt AB con progetti in Germania e Canada, “sono finanziate separatamente e continueranno a operare come al solito al di fuori del processo del Capitolo 11”.
Sempre ieri, 21 novembre, l’amministratore delegato e co-fondatore di Northvolt, Peter Carlsson, ha annunciato le dimissioni, assumendo il ruolo di Senior Advisor e rimanendo membro del Consiglio di amministrazione.
Secondo quanto ha riferito alle agenzie lo stesso Carlsson, servono 1-1,2 miliardi di euro di nuovi finanziamenti per permettere all’azienda di riassestarsi.
Come ha commentato Tom Johnstone, presidente ad interim del Cda, la procedura fallimentare negli Stati Uniti “consentirà a Northvolt di continuare la sua missione di stabilire una base industriale europea interna per la produzione di batterie. Nonostante le sfide a breve termine, questa azione per rafforzare la nostra struttura di capitale ci consentirà di catturare la continua domanda di mercato per l’elettrificazione dei veicoli”.
Tra i principali azionisti di Northvolt, ricordiamo, ci sono colossi del settore automotive come Volkswagen, Scania, BMW e Volvo.
Da qualche tempo la società svedese era in difficoltà crescenti. A settembre aveva annunciato di sospendere il progetto per espandere Northvolt Ett, la gigafactory di Skellefteå, che avrebbe dovuto fornire 30 GWh aggiuntivi di capacità produttiva annuale di celle per le batterie.
Parte dello stesso annuncio la decisione di licenziare 1.600 dipendenti tra i diversi siti svedesi.
Carlsson aveva parlato di “venti contrari del mercato automobilistico”, riferendosi con ogni evidenza al calo delle vendite di auto elettriche su diversi mercati e quindi al rallentamento della domanda di batterie, oltre agli impatti della concorrenza di colossi cinesi come BYD e CATL.
Ricordiamo che a giugno BMW ha cancellato un ordine da 2 miliardi di euro per celle prodotte da Northvolt, sottoscritto nel 2020.