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Auto a guida autonoma, quale futuro dopo l’incidente di Uber?

Dopo la collisione mortale che ha coinvolto un veicolo equipaggiato con sistemi sperimentali di autopilota, è ripartito il dibattito sul futuro della mobilità senza conducente. A che punto è la tecnologia, quali sono le incertezze anche dal punto di vista morale e legale, pro e contro delle vetture di prossima generazione.

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Quale sarà il futuro per l’auto a guida autonoma?

La domanda, che già da qualche tempo rimbalzava tra i fautori delle nuove tecnologie e i critici dell’intelligenza artificiale, è tornata alla ribalta dopo l’incidente mortale che ha coinvolto un veicolo di Uber, che la sera dello scorso 18 marzo ha investito una donna a Tempe, in Arizona, mentre stava attraversando una superstrada al buio con la sua bicicletta.

Aspettando l’esito delle indagini ufficiali del National Transportation Safety Board (NTSB, l’agenzia federale che deve determinare le probabili cause degli incidenti nei trasporti), rivediamo i punti principali della vicenda con i pro e contro delle vetture senza conducente.

L’impatto, ricordiamo in sintesi, ha riguardato una Volvo XC90 di Uber, equipaggiata con sistemi per la guida autonoma, nell’ambito dei test che la compagnia americana stava svolgendo in diverse città, tra cui San Francisco, Pittsburgh e Phoenix.

A bordo del SUV c’era un backup driver, conducente di emergenza incaricato di prendere il volante in caso di problemi, che però sembra fosse distratto – qui sotto il video diffuso dalla polizia – nei momenti che hanno preceduto la collisione.

Uber ha immediatamente sospeso le sperimentazioni in corso negli Stati Uniti e in Canada; il governatore dell’Arizona, Doug Ducey, in seguito ha deciso di bloccare i test dei veicoli con autopilota sulle strade pubbliche dello Stato.

Le possibili ripercussioni di questa fatalità non sono da sottovalutare, considerando l’enorme interesse che sta montando intorno all’evoluzione dei trasporti nei centri urbani.

Sempre più aziende, tra colossi mondiali dell’auto e compagnie della Silicon Valley, stanno scommettendo sull’auto elettrica super-automatizzata. Vedi anche il nostro articolo: L’auto elettrica e senza conducente chiuderà i conti col dieselgate?

Il primo aspetto da valutare con attenzione è lo sviluppo delle diverse tecnologie che possono rendere indipendente un’automobile. Sulla Volvo di Uber era installato un Lidar (light detection and ranging) realizzato da Velodyne, che consente di mappare la strada e rilevare oggetti e ostacoli ben prima di un eventuale impatto, anche al buio.

Quali inconvenienti tecnici ha incontrato Uber? Marta Hall, presidente di Velodyne, in una recente intervista alla BBC, ha dichiarato che il Lidar prodotto dalla sua azienda funziona perfettamente sia di giorno sia di notte e ha fatto intendere che il problema potrebbe essere altrove.

Difatti, i sensori di rilevamento sono solo una parte di un sistema di guida autonoma. Un ruolo fondamentale è svolto dai programmi che devono interpretare i dati e tradurre all’istante milioni d’informazioni, permettendo così alla vettura di comportarsi nel modo più opportuno in ogni circostanza.

Qui intervengono dubbi anche morali: nel caso di un impatto inevitabile il software deve favorire l’incolumità dei passeggeri o dei pedoni? Come deve reagire la macchina in situazioni di emergenza?

Un altro quesito riguarda il grado di sicurezza che si vuole ottenere: crediamo al mito della tecnologia infallibile al 100% o l’obiettivo è costruire veicoli molto più sicuri di quelli “normali”, capaci di evitare gli errori e le distrazioni dei conducenti umani, ma ricordando che sarà impossibile eliminare del tutto gli incidenti anche mortali?

Queste incertezze sono accentuate dalla mancanza di regole a livello federale sulla guida autonoma.

Ci sono leggi in diversi Stati che autorizzano a testare vetture senza conducente, ma senza un quadro normativo più ampio di riferimento, anche perché parliamo di un campo in rapida trasformazione, molto difficile da disciplinare. Con regole troppo severe e limitanti, c’è il rischio di “ingabbiare” le sperimentazioni, rallentando lo sviluppo dei vari sistemi impiegati negli AV (Autonomous Vehicles).

Quindi tutto fa pensare che, passata l’onda più emozionale con la paura e il rifiuto di una tecnologia per molti versi ancora immatura e quindi perfettibile, i test in strada riprenderanno/proseguiranno negli Stati Uniti come in altre parti del mondo, cercando di bilanciare le esigenze di sicurezza e prudenza con una soglia sempre più elevata di autonomia.

Infine, è bene ricordare la complessità delle questioni legali e assicurative poste dalla guida autonoma.

Nell’incidente che ha coinvolto il mezzo di Uber, ad esempio, chi sarà considerato responsabile?

La colpa è del safety driver che non è intervenuto prontamente, del Lidar che non ha funzionato come avrebbe dovuto, del software installato da Uber, della donna che ha attraversato all’improvviso la strada fuori delle strisce pedonali o un mix delle varie cose?

A ben vedere, le incognite da risolvere sono ancora parecchie.

Senza dimenticare che alcuni intravedono un possibile futuro un po’ distopico in questo campo.

In sintesi, ci ritroveremo su vetture al 100% autonome, silenziosissime, ecologiche, ma bombardati da pubblicità all’interno dell’abitacolo, perché le compagnie di trasporto a richiesta (TaaS, Transportation-as-a-Service) cercheranno di ridurre il più possibile le tariffe dei loro servizi per contendersi i clienti, traendo profitti in altri modi.

Inoltre, non è detto che le nuove forme di mobilità condivisa ridurranno effettivamente il traffico urbano: molto dipenderà dalla capacità dei software di gestire i diversi spostamenti, ad esempio riducendo il più possibile i viaggi di ritorno senza passeggeri a bordo, altrimenti c’è il rischio di incrementare il numero di km percorsi (VKT, Vehicle-kilometres travelled) rispetto all’impiego di auto private.

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