Sono dati poco rassicuranti, quelli trapelati nelle ultime ore sul nuovo rapporto dell’Onu che analizza l’andamento delle emissioni globali di anidride carbonica.
Già intorno al 2040, scrivono le agenzie di stampa che hanno ottenuto le bozze del documento dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici), il mondo avrà esaurito il suo “carbon budget” compatibile con l’obiettivo di contenere il surriscaldamento terrestre entro livelli accettabili, come indicato dagli accordi sottoscritti a Parigi da quasi 200 nazioni nel 2015.
In sintesi, quindi, prima della metà del secolo, con ogni probabilità avremo raggiunto il limite di 1,5 gradi centigradi di aumento medio delle temperature, rispetto ai valori preindustriali, perché i diversi paesi non saranno riusciti a tagliare a sufficienza le rispettive emissioni di CO2 e di altri gas-serra (metano, ossidi di azoto, gas fluorurati).
Superare la soglia di 1,5 gradi, secondo la comunità scientifica internazionale, comporta una serie di rischi molto elevati per la stabilità ecologica e socioeconomica di vaste regioni: inquinamento atmosferico, maggiore frequenza e portata di eventi climatici estremi (ondate di calore, siccità, tifoni eccetera), crescita dei costi sanitari e per le bonifiche ambientali, nuove migrazioni (Cambiamento climatico, moltiplicatore di rischi e conflitti per energia, cibo e acqua).
Tutti questi argomenti sono condensati nel lunghissimo titolo del rapporto speciale dell’IPCC: “Global Warming of 1.5°C: an IPCC special report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty”.
Chi ha visto le pagine, ad esempio l’agenzia Reuters, scrive che secondo gli scienziati dell’Onu, per avere qualche chance di rispettare le ambizioni parigine, i governi di tutto il mondo dovrebbero eliminare rapidamente l’utilizzo di combustibili fossili, soprattutto il carbone, e portare le risorse rinnovabili al centro del mix energetico planetario.
Gli impatti di un mondo surriscaldato, evidenziano gli autori del documento nelle note diffuse dalla stampa, potrebbero essere mitigati con tecnologie per rimuovere la CO2 dall’aria, in modo da conseguire un bilancio complessivo di emissioni nette negative, ma sono strade molto difficili e costose da percorrere, oltre che incerte per quanto riguarda i risultati (pensiamo ad esempio alle incognite che circondano le sperimentazioni sulla CCS, Carbon Capture and Storage degli impianti industriali).
La stessa IEA (International Energy Agency), qualche mese fa, aveva riconosciuto che le attuali politiche per arginare il global warming sono insufficienti, proponendo così uno scenario accelerato di transizione energetica.
L’IPCC, per il momento, ha precisato che il rapporto speciale è entrato nella seconda fase di consultazione-commento (fino al 25 febbraio) da parte di governi, esperti e istituzioni. I contenuti, di conseguenza, potranno subire delle sostanziali modifiche nella versione definitiva, prevista per ottobre.
Grande riserbo, quindi, e anche grande curiosità e aspettativa per un documento che diventerà imprescindibile per i futuri negoziati sul clima, dopo che la Cop23 di Bonn ha rimandato ai prossimi incontri la definizione delle misure concrete con cui affrontare, ad esempio, la questione molto spinosa dei finanziamenti “verdi” ai paesi più poveri (I negoziati di Bonn sui cambiamenti climatici e l’inizio del dialogo “Talanoa”).
Intanto, come abbiamo riportato lo scorso novembre, le emissioni di anidride carbonica delle attività umane sono tornate a salire dopo una pausa-stagnazione di tre anni, mostrando ancora una volta quanto siano inefficaci i piani volontari di riduzione della CO2, finora stabiliti dai singoli governi.