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Clima, Trump cambia idea sugli accordi di Parigi: verso un “sì” condizionato?

Dopo il nulla di fatto al G7 Energia, gli Usa devono decidere se mantenere gli obiettivi salva-clima sottoscritti dalla comunità internazionale o uscire dall’intesa. Più probabile di un “no” sembra essere una posizione intermedia, riducendo l’impegno americano sul fronte verde.

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I primi cento giorni di Donald Trump alla Casa Bianca stanno per scadere e a fare le spese della sua politica “cancella Obama” potrebbero essere gli accordi di Parigi, siglati nel 2015 dalla comunità internazionale con l’intento di limitare l’aumento delle temperature medie del Pianeta a 2 gradi centigradi.

Questi accordi non sono mai piaciuti al magnate repubblicano.

Nella propaganda elettorale di Trump il cambiamento climatico era diventato una bufala (hoax) inventata presumibilmente dai cinesi.

Quando era ancora un candidato alla presidenza e sfidava Hillary Clinton, Trump aveva promesso che, se fosse stato eletto, nei suoi primi cento giorni avrebbe smantellato buona parte delle misure salva-ambiente varate da Barack Obama.

Per gli Stati Uniti è tempo di prendere una decisione cruciale: rimanere negli accordi parigini o abbandonare gli altri Paesi al loro impegno climatico, proseguendo sulla strada fossile? La risposta dovrebbe arrivare entro un paio di settimane, prima del G7 a Taormina di fine maggio.

Conviene ricordare che proprio gli Stati Uniti hanno condizionato in modo pesante l’esito del G7 Energia che si è svolto a Roma (vedi QualEnergia.it).

La dichiarazione congiunta dei sette Paesi – USA, Canada, Giappone, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna – che avrebbe dovuto rafforzare la cooperazione mondiale contro il global warming, è saltata perché la delegazione americana ha mantenuto fede alla sua tesi di clima-scetticismo, mettendo in forse la sua permanenza nell’intesa sottoscritta nella capitale francese due anni fa.

Poi Trump ha riunito i suoi più stretti collaboratori per valutare se compiere il grande passo (leave) piuttosto che ammorbidire un po’ la sua posizione (remain), ricordando comunque che l’opzione “USexit” non sarebbe certo immediata ma andrebbe negoziata con gli altri firmatari di Parigi 2015.

Da quanto emerge dalle dichiarazioni riportate dalla Reuters, lo staff del presidente sarebbe diviso sulla questione. Trump ha spiegato che l’America si sente un po’ penalizzata dai termini degli accordi: “I can say this, we want to be treated fairly” è la frase citata dall’agenzia.

Il presidente, infatti, ha puntato il dito contro quelle Nazioni, tra cui Cina, India e Russia, che contribuiscono con poco o nulla al Green Climate Fund, istituito per supportare gli investimenti in rinnovabili delle aree più povere del mondo, mentre gli Stati Uniti dovrebbero finanziare quel fondo con troppo denaro.

Obama aveva stabilito di versare 3 miliardi di dollari nel fondo: un miliardo è già stato pagato in due tranche da 500 milioni, di cui la seconda negli ultimi giorni della sua presidenza (vedi anche QualEnergia.it). Obama aveva anche preso l’impegno di ridurre del 26-28% le emissioni USA di CO2 entro il 2025, rispetto ai livelli del 2005.

Tra i favorevoli a rimanere negli accordi, scrive Reuters, ci sono il segretario di Stato Rex Tillerson e il segretario per l’Energia Rick Perry; tra chi osteggia l’intesa di Parigi, invece, troviamo il capo dell’agenzia federale per la protezione ambientale (EPA, Environmental Protection Agency), Scott Pruitt, oltre a Steve Bannon, “chief strategist” della Casa Bianca.

Dal confronto tra “sì” e “no”, Trump potrebbe scegliere una via intermedia, cioè restare ma a determinate condizioni, ad esempio versare meno biglietti verdi nel Green Climate Fund e appianare il previsto taglio delle emissioni, andando così incontro alle richieste delle lobby fossili, soprattutto l’industria petrolifera.

In questi 100 giorni Trump ha già impresso una svolta “sporca” alle politiche verdi di Obama, prima rimettendo in pista la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, poi schierandosi totalmente contro il Clean Power Plan sulle emissioni delle centrali a carbone (vedi QualEnergia.it).

Non tutta l’America la pensa così, per fortuna della green economy: la California, ad esempio, di recente ha annunciato l’obiettivo di ripulire completamente il mix elettrico entro il 2045, contando unicamente sulla produzione di energia rinnovabile, come ha scritto il nostro direttore scientifico Gianni Silvestrini.

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