Il prezzo del petrolio nel ‘territorio dell’irrazionale’

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La ripresa dei prezzi del petrolio, attesa sino a pochi mesi fa per la seconda metà del 2016, è ora posticipata al 2017. Il quadro è di enorme incertezza e il costo del barile ha strane correlazioni, come quella con l'andamento delle Borse. L'analisi di Filippo Clô, analista di RIE.

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“Se gli andamenti dei suoi prezzi nel corso del 2015 parevano seguire logiche riconducibili ai fondamentali reali di mercato, con prospettive di parziale rialzo, con l’inizio del 2016 tale correlazione sembra essere passata in secondo piano per lasciare spazio a quello che è stato definito ‘territorio dell’irrazionale’”.

Sono queste le parole usate da Filippo Clô, analista di RIE, nel suo intervento pubblicato oggi sulla newsletter del GME, ricordando come il nuovo anno sia cominciato all’insegna dell’estrema volatilità del mercato, con prezzi che hanno sfondato la soglia dei 30 $/barile soprattutto grazie ad un ruolo più attivo della finanza che, “dopo aver mantenuto un atteggiamento attendista dall’inizio del crollo dei prezzi nel luglio 2014, avrebbe assunto da fine anno una connotazione marcatamente ribassista con grandi fondi e speculatori nel mercato americano che hanno raddoppiato le posizioni corte”.

Tuttavia, ammette il ricercatore del RIE, “è difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro. La ripresa dei prezzi, attesa sino a pochi mesi fa per la seconda metà del 2016, è posticipata al 2017, in un quadro comunque di enorme incertezza”.

Una prospettiva condivisa dagli stessi paesi Opec. “L’Arabia Saudita – sottolinea Clô – per quanto sostenga il successo della propria strategia di difesa delle quote di mercato, ha assunto 26 $/b come prezzo di riferimento per il budget governativo 2016. Mentre l’Iran appare leggermente più ottimista, mantenendosi sui 35 $/b”.

A ciò si aggiungono le incertezze sul fronte della domanda – prevista crescere anche nel 2016, ma ad un tasso inferiore a quello dell’anno appena concluso (+1,2% vs +1,8%) –, l’ammontare elevatissimo di stoccaggi presenti in tutto il mondo, che continuano ad essere alimentati ad un tasso di 1,5-2 milioni di b/giorno e politiche monetarie di alcuni importanti paesi consumatori, come Cina e Stati Uniti che stanno, rispettivamente, deprezzando lo yuan e rafforzando il dollaro.

“Un’incognita che sta infine destando sempre più preoccupazioni è la strana correlazione che da inizio anno sembra legare l’andamento dei prezzi del greggio a quello delle Borse – evidenzia l’esperto del RIE – Una simile correlazione metterebbe in dubbio l’assunto che i benefici per l’economia globale derivanti da un petrolio ultra-economico (spinta espansiva di consumi ed investimenti), siano maggiori dei relativi costi (disinflazione, caduta dei paesi produttori), così come sperimentato in passato”.

In ogni caso, sostiene Clô, “qualunque sia l’evoluzione del mercato petrolifero nell’anno in corso, quel che si può ragionevolmente sostenere è che il calo attuale ha in sé i presupposti per una futura risalita dei prezzi. Tanto maggiore è oggi la loro caduta, tanto maggiore sarà domani il contraccolpo. Il problema per molti operatori è arrivarci vivi”.

Nel giro degli ultimi 18 mesi, infatti, l’industria petrolifera ha tagliato 200.000 posti di lavoro e investimenti per 380 miliardi di dollari, pari in termini di offerta futura ad un ammanco di circa 3 milioni di b/g al 2025. Per questo “se i prezzi dovessero mantenersi ancora a lungo sui livelli attuali o addirittura crollare ulteriormente, l’industria ne uscirebbe seriamente compromessa e la risalita – per l’economia globale – potrebbe rivelarsi più dolorosa della caduta”, conclude il ricercatore del RIE.

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