Come il bike sharing ha cambiato il ruolo della bici nella mobilità urbana

La terza generazione di servizi di bike sharing, introdotta in alcune città francesi e poi applicata su larga scala a Parigi, ha dato il via ad una nuova epoca in cui, in molte città, la bici condivisa è parte integrante di un sistema di trasporto pubblico pratico e più sostenibile.

ADV
image_pdfimage_print

Un settore leggero, in grado di migliorare la mobilità con positive ricadute economiche, è certamente quello delle biciclette, guardato in Italia con sufficienza ma che in altri paesi sta dando ottimi risultati. Il 16% di tutti gli spostamenti in Danimarca è fatto in bicicletta. A Copenaghen, il 36% dei cittadini usa quotidianamente la bici per andare a scuola o al lavoro e il Comune si è dato l’obiettivo di alzare la quota al 50% entro il 2015. La bicicletta potrà diventare un’importante opzione della mobilità urbana in presenza di scelte forti, magari sollecitate dai cambiamenti climatici? E’ esportabile un modello che, nei casi più virtuosi, ha visto prevalere le bici sulle auto negli spostamenti urbani?

I segnali che arrivano da varie parti del mondo indicano un crescente interesse verso le due ruote, anche grazie alla diffusione del bike-sharing che sta dimostrando il suo effetto moltiplicatore. Si creano nuovi adepti e biciclette rimaste per anni sepolte in cantine e solai ritornano su strada. La preistoria del bike sharing si può far risalire all’idea “folle” di un consigliere comunale di Amsterdam, Luud Schimmelpennink, che nel 1965 propose di mettere gratuitamente a disposizione dei cittadini 20.000 biciclette dipinte di bianco. Idea bocciata dal consiglio comunale.

Il caso Velib

Dopo alcune sperimentazioni negli anni Novanta, fu messo a punto a Copenhagen  un sistema “di seconda generazione” con biciclette ritirabili in appositi parcheggi. Il limite rimaneva la non tracciabilità degli utilizzatori, con conseguenti furti e danneggiamenti. La terza generazione venne introdotta in alcune città francesi e poi applicata su larga scala a Parigi con il lancio nel 2007 del Velib, una proposta “smart” che permette l’identificazione degli utenti, il pagamento con carta di credito, il monitoraggio costante della presenza delle biciclette nei parcheggi.

Il servizio conta attualmente 20.600 bici distribuite in 1.451 postazioni, e risulta essere molto apprezzato dai 250 mila utenti. Le entrate, che ammontano a circa 30 milioni €, passano direttamente nelle casse pubbliche, mentre il gestore intasca i proventi delle affissioni (60 milioni €/a) alle fermate dei bus. C’è poi anche da considerare l’impatto occupazionale. A Parigi sono 400 gli addetti che curano il riposizionamento e la manutenzione delle biciclette.

Un modello replicabile

Sistemi analoghi al Velib si sono rapidamente diffusi in Europa, nelle Americhe, in Cina. Attualmente 400 città offrono questo servizio, con un numero di utenti in continua crescita arrivati a 800.000 del 2013. Non sono mancati fallimenti e insuccessi ma, anche grazie a sistemi di controllo sempre più avanzati, che permettono il monitoraggio costante con appositi chip, il bike-sharing continua ad espandersi.

Anche New York nel 2013 ha avviato questo servizio, facendo ricorso tra l’altro a un processo partecipativo per l’identificazione delle aree di parcheggio. La nuova amministrazione di De Blasio intende andare oltre gli attuali 100.000 iscritti e punta al raddoppio entro il 2017 del numero di bici portandole a 12.000 e di estendere la copertura geografica del servizio.

Un’estensione del servizio pubblico

Concettualmente il bike-sharing può considerarsi un’estensione del servizio pubblico e in effetti in molte città, soprattutto in Cina, è organizzato dalle aziende di trasporto locale, mentre nella maggioranza delle città occidentali la gestione è affidata a privati. Per quanto riguarda i costi, oltre all’investimento iniziale vanno considerate le spese di gestione che in occidente variano tra 500 e 2.000 €/anno per ogni bicicletta. Si tratta, come si vede, di investimenti non irrisori, ma molto inferiori rispetto a quelli richiesti dal trasporto pubblico tradizionale.

E c’è chi si può permettere il free bike sharing: molte delle più note società della Silicon Valley mettono infatti a disposizione dei propri dipendenti biciclette gratuite. Nel campus di Google a Mountain View sono 1.300 le bici utilizzabili liberamente. Il sogno del consigliere comunale di Amsterdam si è realizzato cinquanta anni dopo in un angolo della California

Questo articolo è un estratto dal libro di Gianni Silvestrini, “2 °C. Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia”, Edizioni Ambiente, febbraio 2015.

www.duegradi.it è il sito dedicato al libro. L’estratto è stato pubblicato con il consenso della casa editrice.

ADV
×