Quarant’anni dalla prima crisi petrolifera. Quell’impulso al risparmio energetico

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Era l’ottobre del 1973 quando venne imposto dai paesi dell’Opec l'embargo per le esportazioni di petrolio verso i paesi industrializzati. I prezzi del barile aumentarono in pochi mesi di oltre 4 volte con notevoli conseguenze sul sistema economico. Europei e americani cercarono di reagire puntando per la prima volta in modo strategico sull’efficienza energetica.

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Sono passati 40 anni dalla prima crisi petrolifera che vide un’improvvisa interruzione del flusso di approvvigionamento dell’oro nero proveniente dalle nazioni appartenenti all’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) verso Stati Uniti e paesi europei.

Eravamo nell’ottobre 1973, al tempo nessuno dei paesi arabi riconosceva ancora la legittimità dello Stato d’Israele e nel “Giorno dell’espiazione” (festività ebraica dello Yom Kippur) l’esercito egiziano e l’esercito siriano invasero la terra di Canan. La guerra durò circa 20 giorni e gli israeliani ebbero la meglio grazie al supporto dell’Occidente. La reazione dei paesi arabi dell’Opec fu di bloccare le proprie esportazioni di petrolio verso chi aveva aiutato Israele, appunto Stati Uniti e paesi europei.

I prezzi del barile iniziarono a salire fino a raggiungere i 12 $ nel 1974 (oltre 4 volte il prezzo pre-crisi) e portarono con sé anche i prezzi dell’elettricità, che al tempo a livello mondiale era prodotta per il 17% da petrolio, e del gas naturale, che in diverse circostanze poteva essere usato al posto del greggio.

I governi dei paesi industrializzati occidentali per affrontare la crisi, oltre che a diversificare le fonti di approvvigionamento di idrocarburi (ad esempio attingendo dalle riserve del Mar del Nord), iniziarono a varare provvedimenti per diminuire i consumi energetici.

In Italia il governo approvò il piano “Austerity”. Le misure varate prevedevano un forte aumento del prezzo dei carburanti, l’obbligo di ridurre la pubblica illuminazione del 40%: le insegne furono spente. Bar e ristoranti dovevano chiudere entro la mezzanotte. La velocità sulle strade venne limitata (50 km/h nei centri urbani, 100 km/h sulle strade extraurbane e 120 km/h sulle autostrade).

A questa prima fase di affannosa ricerca di provvedimenti che rispondessero nel breve periodo alla urgente necessità di ridurre i consumi, seguì anche una presa di coscienza dell’opinione pubblica e della politica.

Il buio delle città faceva luce sulla forte dipendenza dalle importazioni di petrolio. Serviva un piano energetico di lungo periodo che conferisse all’occidente industrializzato una maggiore autonomia energetica.

Europa occidentale e Stati Uniti iniziarono a interrogarsi sulle possibili soluzioni. Il risparmio energetico fu una delle principali risposte alla crisi.

Vennero definiti standard di efficienza per automobili ed elettrodomestici. Si iniziarono anche a costruire edifici residenziali più efficienti energeticamente. Il paradigma energetico dei paesi colpiti dalla crisi petrolifera stava modificandosi.

L’embargo durò fino al gennaio 1975, ma le politiche di efficienza entrarono a far parte di un nuovo approccio energetico.

Tra il 1973 e il 1985, sotto la spinta dell’aumento dei prezzi del petrolio e delle altre fonti di energia fossile, l’efficienza dei consumi di energia in Italia è aumentata. E’ cioè calata l’intensità energetica: nel ’73 per ogni tep di energia consumato si producevano  740 dollari di Pil, 12 anni dopo il rapporto era passato a 1040 dollari per tep e tale tendenza è continuata anche nella seconda metà degli anni Ottanta pure in presenza di una sostanziale diminuzione del prezzo del petrolio (fonte: Enciclopedia Treccani).

Anche negli energivori Stati Uniti qualcosa cambiò. Se gli USA non avessero attuato politiche di efficienza energetica, leggiamo dalle analisi del Consiglio Americano per un’economia energeticamente efficiente (ACEEE), il costo dell’energia oggi sarebbe più alto di almeno il 40%. Infatti, nonostante negli ultimi 40 anni la popolazione statunitense sia cresciuta del 50%, il consumo d’energia è aumentato solo del 26%. Nello stesso periodo, il PIL è cresciuto da 5,4 a 15,5 trilioni di dollari. Di conseguenza l’intensità energetica  si è dimezzata. Negli anni successivi abbiamo assistito a un alternarsi di altri brevi periodi di crisi energetica, come la seconda crisi petrolifera del 1979 (guerra Iraq-Iran), ma il mondo industrializzato aveva sviluppato adeguati anticorpi. Cosa più difficile da dirsi nella fase attuale della storia economica ed energetica.

Sarà proprio il risparmio energetico, insieme al picco dello sviluppo del nucleare, a permettere ai paesi occidentali di intaccare nella seconda metà degli anni Ottanta il cartello Opec e di far crollare il prezzo del petrolio a valori confrontabili con quelli precedenti la crisi del ‘73 (3 $ al barile).

Dalla fine del secondo conflitto mondiale fino al 1973 l’abbondanza di petrolio a costi reali sempre più bassi aveva permesso anche a paesi senza risorse domestiche di combustibili fossili, come l’Italia, di trascurare l’efficienza dei consumi di energia, ma la prima crisi petrolifera rese evidente la strategicità del risparmio energetico, anche se non è stata mai portata avanti con convinzione. L’efficienza é fondamentale non solo per il suo ruolo nella riduzione delle emissioni di CO2, ma perché porta con sé quei vantaggi che potrebbero essere parte della soluzione della crisi economica e finanziaria dell’Occidente (Qualenergia.it, Con l’efficienza energetica mezzo punto di Pil in più).

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