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Oneri sull’autoconsumo, l’anacronistica e irrealizzabile visione dell’Autorità

La volontà dell'Autorità per l'Energia di far pagare oneri sull'autoconsumo denota un'ostinazione nel voler segregare produzione e consumo che confligge con l’evoluzione tecnologica dei sistemi di generazione distribuita e di accumulo. Non si applichino logiche di ieri all’architettura di domani, congelando l’evoluzione del sistema. E inoltre il regolatore non può fare politica energetica. Un commento di Giuseppe Artizzu.

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Davanti all’assemblea di Confindustria, il ministro Zanonato ha affermato che in materia di energia “la linea da seguire è in gran parte tracciata: è stata recentemente definita una Strategia Energetica Nazionale con obiettivi e priorità chiare, che condividiamo”. Non è così. La mancanza di visione della SEN rispetto all’architettura di lungo periodo del sistema elettrico è stata messa impietosamente a nudo dall’Autorità per l’Energia, che con i documenti di consultazione 183 e 209 ha, lei sì, delineato il sistema elettrico di domani. Copiando quello di ieri (vedi QualEnergia.it, Oneri sull’autoconsumo: il FV su tetto è già in pericolo?).

Per l’Autorità il sistema elettrico è un insieme di produttori e clienti finali che si interfacciano attraverso una rete pubblica. La generazione distribuita è l’eccezione, e la regolazione deve ricondurne l’economia a quella della generazione centralizzata. In più, nessun trattamento di favore deve spettare alla produzione da fonti rinnovabili, fatta salva l’incentivazione esplicita ove ritenuta opportuna dal legislatore (la contrarietà dell’Autorità è nota).

Le implicazioni operative di questa visione sono immediate: assoggettare l’autoconsumo a oneri di rete e oneri di sistema, eliminare i benefici dello scambio sul posto, ecc. Ove tali misure non rientrassero nelle prerogative dell’Autorità, essa intende sensibilizzare il legislatore affinché disponga le opportune basi normative.

La visione dell’Autorità è anacronistica, per due ragioni fondamentali. In primo luogo, l’ostinazione nel segregare produzione e consumo confligge con l’evoluzione tecnologica dei sistemi di generazione distribuita e di accumulo. È ormai chiaro che andiamo verso case, uffici e fabbriche in grado di interagire con la rete in modo bidirezionale, prelevando ovvero immettendo energia a seconda delle esigenze non solo dell’utenza, ma della rete stessa.

L’Autorità vorrebbe assoggettare a oneri di rete e di sistema i consumi lordi di ogni utenza. A tal fine, propone di calcolare i consumi sommando ai prelievi dalla rete (misurati dal contatore) l’autoproduzione (misurata da un secondo contatore) e sottraendo l’energia immessa in rete. Domanda: e se l’impianto di utenza fosse dotato di batteria? Le perdite del ciclo di accumulo finirebbero nella base imponibile, pur non essendo consumi. Ma questo sarebbe discriminatorio rispetto agli impianti idroelettrici a pompaggio, che sono esentati dagli oneri. Quindi, imponiamo un terzo contatore? E se parte dell’autoproduzione andasse a caricare l’auto elettrica in garage, altro contatore? E chi sarebbe responsabile per la telelettura della flottiglia di contatori, il distributore? Auguri!

Frapporre contatori fra generazione distribuita, batterie e carichi non ha senso: il regolatore non deve entrare negli impianti di utenza, in una sorta di matrioska del sistema elettrico. Utenze e produttori diffusi devono essere liberi di interfacciarsi con il sistema elettrico in forma aggregata, sulla base dei flussi netti di energia in un unico punto di connessione, rinunciando ovviamente ai benefici che l’accesso individuale a rete e mercato comporta.

La seconda ragione per cui il punto di vista dell’Autorità è anacronistico è che ostacola la responsabilizzazione delle utenze rispetto al profilo di prelievo/immissione di energia in rete. Con la crescente penetrazione di fonti intermittenti, la gestione aggregata di carichi, accumuli e impianti di generazione distribuita diventa un elemento essenziale di flessibilità per il sistema. Ma perché ciò avvenga occorre che i sistemi semplici di produzione e consumo non vengano derubricati dall’Autorità a mera elusione di oneri di rete e di sistema, e come tale osteggiati.

Ammessa e non concessa un’emergenza di base imponibile per oneri di rete e di sistema, si intervenga piuttosto, in modo razionale, sulle logiche di imputazione delle singole voci di costo. Per gli oneri di rete, si ipotizzi ad esempio un’imputazione in misura fissa sulla potenza impegnata (la rete è dimensionata per servire la domanda di punta: meno potenza impegnata uguale meno rete e meno costi). Per la copertura dell’incentivazione delle rinnovabili si passi a una carbon tax, e così via.

Ma non si applichino logiche di ieri all’architettura di domani, congelando l’evoluzione del sistema. A ben vedere, è proprio alla SEN che bisogna rimetter mano. Il disegno del sistema elettrico di domani è policy nel senso più alto del termine, e la policy non può essere demandata ai documenti di consultazione del regolatore.

 

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