Le certezze che mancano all’eolico italiano

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Incentivi, quadro normativo e procedure autorizzative, comitati per la difesa del paesaggio, infiltrazione mafiose, crisi economica e finanziaria: un ventaglio di questioni che sembrano frenare l'andamento dinamico dell'eolico degli scorsi anni. Ne parliamo con Luciano Pirazzi, segretario scientifico dell'Anev.

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Per capire cosa sta vivendo il settore dell’eolico italiano in questa fase di stallo normativo ed economico-finanziario, QualEnergia.it ha intervistato Luciano Pirazzi, Segretario scientifico di Anev, l’associazione dell’energia eolica, cercando soprattutto di affrontare quelle questioni che frenano il mercato, anche in vista degliobiettivi del 2020.


Ingegner Pirazzi, ultimamente è uscita una nuova edizione di uno studio sull’occupazione dell’eolico in Italia. Cosa è emerso?


Lo studio ANEV-UIL dimostra che c’è stata anche nell’ultimo anno una crescita dell’occupazione nell’eolico, anche se molto contenuta a causa dell’attuale crisi. Si sitima una crescita di 5mila unità lavorative, tra dirette e indirette, se si riuscirà a mantenere il passo degli anni scorsi con almeno un migliaio di megawatt installati e la tempestiva pubblicazione dei decreti attuativi che dovevano essere pronti per fine settembre, ma che finiranno presumibilmente per essere pubblicati a ottobre o forse novembre.


Il settore sembra vivere da tempo una situazione di scarsa chiarezza del quadro generale.


Il decreto legislativo di marzo già mette in evidenza una marcata riduzione dell’incentivo per l’eolico e anche la stessa introduzione di un nuovo sistema incentivante, come tutte le novità legislative, non fa che creare un clima di incertezza per operatori e istituti finanziari. La mancanza di un quadro normativo e incentivante certo è un fattore che blocca di fatto il settore. Anche la mancanza della definizione della ripartizione della quota di rinnovabili per ciascuna regione, il burden sharing, è oramai atteso da tempo. In questa situazione continuiamo a perdere di credibilità, soprattutto di fronte ai nostri interlocutori stranieri. Il sistema che proponiamo è sempre incerto e instabile per garantire una crescita costante del settore.


Parliamo di autorizzazioni, una delle note dolenti, e dei tempi di realizzazioni degli impianti.


L’Anev chiede di intervenire nel ramo autorizzazioni semplificando le procedure, rendendole coerenti con quello che viene definito dalla legge. Quindi nei tempi certi e contenuti, che però non vengono mai rispettati. Questi tempi come sappiamo sono di 180 giorni, ai quali si aggiungerebbe i 90 giorni nel caso di valutazione di impatto ambientale. Ma di solito superiamo sempre l’anno, con costi aggiuntivi importanti e inoltre parecchi progetti non riescono neanche a vedere la luce.


Come dovrebbe essere fissati gli incentivi all’eolico in questa fase?


La tariffa che chiediamo è quella fissata fino a ieri, con una riduzione che dovrà essere graduale e legata allo sviluppo della tecnologia e all’abbassamento dei costi che potrebbe tener conto anche della messa in pratica della semplificazione normativa e quindi di quei costi impropri che sono collegati alle pratiche autorizzative da predisporre, in genere molto gravose rispetto alla media europea.


Quale dovrebbe essere l’obiettivo nazionale per l’eolico al 2020 alla luce di quanto detto?


L’Anev ora considera l’attuale piano di azione nazionale con i 12.680 MW al 2020 (circa 6.200 MW a metà 2011, ndr) che ricordiamo precedentemente in bozza erano 16mila, coincidenti con il potenziale che era stato stimato dalla nostra associazione di categoria. Con 16 GW la producibilità sarebbe stata di 27 TWh/anno o anche qualcosa di più, visto che la tecnologia delle macchine è in continua evoluzione e si potrebbero ottenere produzioni anche maggiori. Tuttavia c’è da considerare che i siti migliori sono stati già utilizzati e serviti da macchine eoliche installate negli anni scorsi. Comunque ci sono molti siti di grande potenzialità sia nell’Italia meridionale, ma soprattutto nell’Italia centrale appenninica dove ancora non c’è stato quello sviluppo atteso dell’eolico: nelle Marche zero MW, in Umbria 1,5 MW, in Toscana solo qualche decina di megawatt e nel Lazio 13 MW circa.


Che contributo potrà dare da noi l’offshore?


Crediamo che l’offshore potrà contribuire per circa centinaio di megawatt al 2020, più che altro installazioni che avverranno nella seconda parte della decade. Anche qui ci sono le solite difficoltà di comunicazione, di recepimento da parte delle autorità competenti sulle caratteristiche della tecnologia, sui reali impatti ambientali e sui benefici in un ambiente come quello italiano ricco di coste, ma anche con la possibilità di essere un punto di riferimento per i paesi della sponda sud del Mediterraneo.


Quale tecnologia dovrebbe emergere nell’eolico offshore?


Con il nostro mare profondo la tecnologia ideale dovrebbe essere quella delle strutture e piattaforme galleggianti. Sono opzioni da guardare con molto interesse e in effetti è quello che si sta facendo da parte dell’industria italiana che sta sperimentando un prototipo di grande taglia.


Sull’eolico gli attacchi dei comitati per il paesaggio sono spesso durissimi. Quale approccio andrebbe tenuto?


L’Anev vuole privilegiare il dialogo con tutti i comitati locali, fornendo tutte le informazioni più corrette dal punto di vista tecnico e provando a spiegare i reali costi e benefici economici, sociali e ambientali. Credo che questo sia il modo migliore per informare i cittadini e i decisori politici sulle caratteriste della tecnologica e sulle scelte che poi ognuno dovrà effettuare responsabilmente.


L’eolico ha subito diverse infiltrazione mafiose.


L’Anev ha aderito ad un protocollo di legalità per debellare questo fenomeno che danneggia pesantemente tutto il comparto, che nella sua complessità è molto attento alle regole. Un protocollo che comunque è ristretto alla parte relativa all’acquisizione dei terreni e delle eventuali autorizzazioni a livello comunale.

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