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Dal modello ‘tutto auto’ alla mobilità sostenibile (parte1)

L'auto è in crisi ed è sempre più urgente puntare sulla mobilità sostenibile. Questa conversione richiede idee e progetti che dovrebbero essere sostenute dalle istituzioni pubbliche e dal Governo. Quali le linee guida per questa rivoluzione? La prima parte di un articolo di Anna Donati, responsabile del Gruppo di Lavoro "Mobilità Sostenibile" del Kyoto Club.

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Il calo della vendita di automobili nel mondo occidentale non è contingente, ma la crisi di un sistema maturo, che dopo un grande successo, con 35 milioni di veicoli in circolazione solo in Italia e il 65,5% di cittadini che la usa ogni giorno, mostra i suoi limiti. Limiti della crescita innanzitutto, soprattutto in ambito urbano ormai dense di auto accatastate; e limiti alla mobilità che non è più garantita dall’auto nello spazio e nel tempo, con i limiti antismog, le Zone a Traffico Limitato telematiche, il pagamento della sosta, con l’ecopass e le corsie riservate ai mezzi pubblici. Una storia recente in cui l’automobile piano piano è stata costretta a ritirarsi. Magari conquistando altri spazi nelle megaperiferie derivate dallo sprawl urbano fatto di residenze, capannoni, centri commerciali e cinema multiplex. Ma la crescita è ormai lontana e la necessità di puntare sulla mobilità sostenibile richiede idee e progetti per la riconversione del sistema produttivo dell’automobile e del sistema di trasporti basato sul “tutto strada”.

La conversione deve avvenire secondo un progetto industriale coerente che incida sui veicoli, sui servizi di trasporto e sulle reti infrastrutturali, in cui le istituzioni pubbliche e il Governo abbiano un ruolo di orientamento decisivo secondo quattro linee guida:
a) il graduale ridimensionamento del sistema produttivo attuale (già in corso di fatto) e la sua conversione verso veicoli dedicati al trasporto collettivo, ai sistemi innovativi di mobilità, a veicoli a basso impatto ambientale per spostamenti individuali;
b) la produzione di un’auto pulita, a basse emissioni, sicura, riciclabile, per il mercato sostitutivo delle auto in circolazione e la promozione della ricerca per veicoli innovativi e carburanti “puliti” basati su energia rinnovabile
c) Il potenziamento dei servizi di trasporto collettivi su ferro e gomma e la predisposizione di un sistema di servizi innovativi legati all’automobile (car sharing, integrazione con il TPL, servizi a chiamata, trasposto scolastico, trasporto persone a mobilità ridotta, consegna merci a domicilio)
d) La promozione di un sistema di logistica integrata per il trasporto delle merci che punti all’intermodalità tra il trasporto su strada (da ridimensionare), il cabotaggio e trasporto ferroviario (da incrementare)

C’è consapevolezza che si tratta di una riconversione né semplice né rapida perché i numeri sono impressionanti: il sistema “automotive” dalla costruzione alla vendita e manutenzione dell’auto impiega in Italia circa 1.000.000 persone, nel settore dell’autotrasporto lavorano 330.000 addetti (EU Energy and transport in figures. Statistical Pocketbook 2009. Directorate for energy and transport – European Commission, vedi in particolare la parte terza sui Trasporti) e il sistema di prelievo fiscale del sistema auto (veicoli, carburanti, multe) porta nelle casse dello Stato ogni anno 81 miliardi, circa il 20% delle entrate totali (ANFIA. Comparazione delle misure anticrisi in Europa, nel settore dell’auto. Documento del 2 aprile 2009).


Ma altri dati del sistema trasporti italiano indicano comunque opportunità e numeri utili da cui partire in modo realistico: nel settore del trasporto pubblico e privato su strada (inclusi i taxi) lavorano 150.000 addetti, nel trasporto ferroviario nazionale e locale sono impiegate altre 110.000 unità, il sistema portuale nel suo complesso impiega 100.000 addetti e circa 25.000 muovono il sistema di trasporto marittimo, circa 2.880 lavorano nel trasporto merci fluviale interno e ben 45.000 addetti lavorano nelle agenzie di viaggio e operatori turistici. In totale sono dunque circa 435.000 gli addetti nei servizi di trasporto “sostenibili” rispetto al complesso dei servizi di trasporto pari a 968.491 addetti.

Quello che colpisce dei dati italiani con il resto dei paesi europei è il confronto con la Germania, che su di un totale di 1.317.000 addetti nei servizi di trasporto, ne lavorano nell’autotrasporto il 23,4% pari a 309.000 unità (meno dell’Italia) e ben 292.500 addetti (il 22, 2%) sono impiegati nel trasporto pubblico e privato su strada, cioè praticamente il doppio dell’Italia, dove lavorano nell’autotrasporto il 34% di occupati e nel trasporto collettivo solo il 15,4% degli addetti totali. Già da questo confronto con un paese odierna locomotiva d’Europa, possiamo trarre suggerimenti su cosa dovremmo fare anche in Italia: aumentare i servizi di trasporti ai passeggeri e ridimensionare il trasporto stradale con l’intermodalità della gomma con ferro e mare. Già oggi una stima prudente di esperti del settore indica che il personale direttamente impegnato per la produzione dell’intermodalità terrestre è dell’ordine di 4.000/5.000 persone e sono questi i settori innovativi da far crescere.
Peccato che in questo momento in Italia la strada intrapresa sia esattamente opposta.


La seconda parte dell’articolo


La terza parte dell’articolo


 

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