Fotovoltaico, un accumulo stagionale per staccarsi dalla rete

Un'azienda tedesca ha messo in commercio un sistema per utenze domestiche che comprende sia batterie al piombo per lo stoccaggio giornaliero che accumulo stagionale tramite idrogeno per alimentare tutti i consumi elettrici di casa con l'impianto FV, anche d'inverno. Vediamo di che si tratta.

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Una casa completamente indipendente dal punto di vista dell’energia elettrica, grazie al fotovoltaico sul tetto e a un accumulo di energia sia giornaliero che stagionale che combina batterie al piombo e fuel cell all’idrogeno.

Chi vuole la può avere, grazie al kit che un’azienda tedesca ha iniziato a vendere e le cui prime consegne dovrebbero partire dall’ultimo trimestre del 2018.

Certo serve grande motivazione e capacità di spesa: i primi impianti, dimensionati per consumi elettrici tra 3mila e 6mila kWh/anno, sono stati messi in vendita in Germania a 54mila euro, escluso l’impianto fotovoltaico che alimenta il tutto ed esclusa l’installazione.

Parliamo dunque di tempi di rientro dell’investimento “intergenerazionali – oltre 50 anni di pay back time, considerando una bolletta elettrica da 1000 euro l’anno – ma la soluzione proposta è comunque interessante da guardare, aspettando un futuro calo dei prezzi.

Il sistema si chiama Picea, ed è venduto dalla berlinese Home Power Solutions (HPS).

Come detto, permette di usare l’energia dell’impianto fotovoltaico anche di sera, quando il sole non splende e di soddisfare con il FV il 100% dei consumi elettrici anche in inverno.

Oltre all’elettricità, Picea contribuisce poi in parte anche ai consumi termici, grazie a un sistema di ventilazione e recupero del calore.

Il funzionamento è riassunto dallo schema sotto.

Come si vede c’è un batteria al gel di piombo, che serve allo stoccaggio giornaliero, per avere elettricità la sera. L’accumulo stagionale invece si ottiene per elettrolisi, trasformando l’elettricità in eccesso in idrogeno, stoccato in un serbatoio che si può tenere anche dentro casa, assicura l’azienda, e poi riconvertito in elettricità da una fuel cell. C’è poi uno scambiatore che accumula il calore di scarto del processo e del sistema di ventilazione in uno storage termico.

Come si vede dalla tabella sotto, l’accumulo elettrico giornaliero è di 25 kWh, mentre quello stagionale, dimensionato a seconda delle esigenze della singola installazione va da 1.000 a 2.500 kWh. C’è poi il boiler per stoccare l’energia termica, che ha una capacità di 20 kWh termici.

Tutto è gestito da un centro di controllo che coordina le varie parti dell’impianto perseguendo la massima efficienza.

“L’accumulo chimico è forse l’unica, o comunque la più adatta, forma di accumulo di lunga durata, parliamo di mesi. Quindi la scelta dell’idrogeno è sotto questo profilo appropriata” – spiega a QialEnergia.it Luigi Mazzocchi, esperto di accumuli di Rse, cui abbiamo chiesto un commento sul sistema.

Il ciclo produzione/accumulo/consumo nel caso dell’idrogeno, ci spiega il ricercatore, ha un’efficienza bassa, massimo 30 % con le attuali tecnologie, se limitato all’energia elettrica; tuttavia, recuperando il calore altrimenti dissipato dalla fuel cell, il rendimento globale (elettrico+termico) può salire al 60 % e forse qualcosa di più. “E’ quindi una soluzione di discreta efficienza energetica”, commenta.

“La produzione di elettricità e calore è teoricamente in grado di soddisfare tutti i fabbisogni dell’edificio residenziale: se l’utente, per motivi anche solo di gusto personale, punta alla totale autosufficienza, questo sistema gliela potrebbe assicurare, partendo solo da fonti rinnnovabili”, prosegue Mazzocchi, che però fa notare anche alcuni aspetti che lo lasciano perplesso.

“Con un accumulo di idrogeno da 1 MWh massimo – andare oltre comincia a diventare un problema di ingombro non indifferente: se fosse idrogeno compresso in bombola 1 MWh corrisponderebbe a circa 30 bombole standard ad alta pressione – non mi pare possibile soddisfare il fabbisogno di calore invernale in un clima tipo Germania o Nord Italia, a meno che parliamo di edifici in classe energetica altissima”.

C’è poi il problema dell’affidabilità e della durata – per l’esperto di Rse la tecnologia delle fuel cells non ancora raggiunto la piena maturità “commerciale” – e quello la sicurezza, dato che si prevede l’idrogeno idrogeno è un gas infiammabile che ha una tendenza a sfuggire dagli impianti decisamente più alta del gas naturale. “Non dico che non si possa fare, ma l’impianto presuppone una qualità costruttiva e manutentiva più elevata rispetto ai normali impianti domestici, e questo ha un costo”, osserva Mazzocchi.

Per il ricercatore sarà difficile per l’azienda tagliare il prezzo del sistema, che di fatto lo mette fuori mercato “50mila euro è già un dato a mio parere piuttosto sfidante se si considera la complessità del sistema, la tipologia di componenti come elettrolizzatore, fuel cell e la qualità costruttiva niente affatto banale. A questo costo va aggiunto un impianto fotovoltaico che deve soddisfare tutti i fabbisogni: i classici 3 kW non basterebbero e quindi vanno aggiunti almeno altri 10mila euro.”

Ipotizzando che il kit copra oltre alla domanda di elettricità anche tutti i consumi termici, eventualità come detto possibile solo per una casa super-efficiente e considerando una spesa per elettricità e calore nell’ordine di 1500 – 2000 euro annuali, il sistema si ripagherebbe in 30 – 40 anni, stima Mazzocchi, “ma sto trascurando interessi passivi e soprattutto costi di manutenzione che secondo me mediamente equivalgono grossomodo alla spesa per la bolletta. Senza contare che la vita utile dei componenti critici non credo possa superare i 10 anni”. aggiunge

“Mi spiace – concludel’esperto – non mostrare entusiasmo per una soluzione nel complesso ben concepita, proposta ad un prezzo che secondo me dà pochi margini a chi la commercializza, ma temo sia un po’ una ‘fuga in avanti’, che potrebbe rappresentare forse un prodotto di nicchia per utenze remote, o per persone amanti della tecnologia e senza grossi problemi economici.

Come per altri prodotti “per l’autarchia energetica” di cui abbiamo parlato (si veda l’italiano Off Grid Box), insomma, economicamente queste soluzioni, allo stato attuale, sembrano avere senso solo per installazioni in cui non c’è la possibilità di connettersi alla rete, è troppo costoso farlo o si ha a che fare con una fornitura pubblica inaffidabile.

In Italia (come in Germania), nonostante prezzi del kWh in bolletta relativamente alti, c’è una rete elettrica capillare ed affidabile e per questo al momento conviene molto di più autoprodurre con il FV e nel caso accumulare solo una parte dell’energia che si consuma, continuando ad approvvigionarsi dal sistema pubblico per la quota residua.

Staccarsi dalla rete, mostrava un’analisi di Rse pubblicata l’anno scorso, nel nostro Paese potrebbe infatti essere economicamente sostenibile solo per consumi relativamente alti, grazie alle detrazioni fiscali del 40% e usando tecnologie più economiche e meno green di quelle assemblate in Picea, cioè affiancando a FV e batteria un cogeneratore a gas.

“Il nostro studio pubblicato un paio di anni fa sulla grid defection – ricorda Mazzocchi – faceva riferimento ad una forma più blanda di autosufficienza, ipotizzavamo di avere solo un contratto per il gas, portava ad un investimento di circa 10 – 15 000 Euro, quindi ben inferiore a quello qui indicato, ma nonostante ciò la soluzione non risultava ancora vantaggiosa rispetto all’acquisto di energia elettrica da rete.”

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