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Elettricità, il fermo nucleare francese rischia di costarci 1,5 miliardi di euro

Il PUN è schizzato alle stelle per il calo dell'import dalla Francia, che per motivi di sicurezza ha fermato un terzo della sua potenza nucleare. Una situazione transitoria che però in meno di 10 anni diventerà strutturale: l'Italia si cauteli da ora puntando su rinnovabili e sistemi di accumulo. Ecco perché questo è un serio campanello d'allarme.

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L’autunno quest’anno ha portato una brutta sorpresa agli italiani: un forte aumento del prezzo all’ingrosso dell’elettricità in Borsa elettrica, il cosiddetto PUN.

Una dinamica che non solo peserà alle nostre tasche a partire dal 2017, dopo la prossima revisione del costo elettrico in bolletta, a dicembre, ma che costituisce anche un campanello di allarme sulla sicurezza dell’attuale sistema elettrico nazionale.

Il PUN si aggirava fino ai primi dieci giorni di ottobre intorno ai 45 €/MWh, ma da un paio di settimane è schizzato in su di 10-15 euro. In certe giornate in cui l’apporto calmierante delle rinnovabili è minore, come martedì 25 ottobre,  si è arrivati anche a 70 €/MWh, livelli che non si vedevano più da almeno tre anni.

Non è colpa di petrolio e gas

Qualcuno potrebbe sospettare che la causa sia l’influenza del prezzo del petrolio sul costo del gas, visto che il 40% circa dell’elettricità italiana deriva dal metano e il greggio è aumentato nelle ultime settimane di circa il 10%, a seguito dell’accordo al rialzo dei produttori Opec.

Ma oggi l’accoppiamento fra il prezzo del petrolio e quello del gas è diventato molto debole, e comunque il metano continua a costare sui 17 €/MWh, contro i quasi 30 del 2011-12.

Se si guardano i livelli i prezzi elettrici delle varie zone di mercato, si nota inoltre che gli aumenti sono concentrati nella zona Nord e Centro Nord: una media di 77 euro al nord martedì 25, contro una di 53 al Sud. Ovviamente, visto che al nord i consumi sono molto più alti che al sud, la media nazionale si avvicina a quella settentrionale. 

Emergenza Francia: un terzo del nucleare spento

Quindi l’aumento arriva da nord. Cosa lo ha causato? «È essenzialmente dovuto a una drastica riduzione delle importazioni dalla Francia e dalla Svizzera. La seconda ha due centrali nucleari ferme per manutenzione, e questa sarebbe routine. Ma la vera emergenza arriva dalla Francia», spiega a QualEnergia.it Giacomo Ciapponi economista e analista del mercato dell’energia per la società milanese di consulenze energetiche milanese Ref-E.

Lì, infatti, 21 reattori  nucleari sono fermi da alcune settimane, 9 per normale manutenzione e 12 per ordine dell’Autorité de sûreté nucléaire, che ha deciso di effettuare dei controlli straordinari su certi loro componenti. I test sono terminati su 5 reattori, ma l’Asn non ha ancora dato il via libera alla ripartenza.

«Visto che in Francia i reattori sono 58, praticamente più di un terzo della produzione nucleare è offline, tanto che Edf, ‘l’Enel francese’, ha comunicato che a settembre hanno avuto la più bassa produzione nucleare dal 1998e che a fine anno la produzione elettrica da quella fonte scenderà dai 408 TWh programmati a 390, con la diminuzione tutta concentrata nell’ultimo quadrimestre», spiega Ciapponi.

Dubbi sulla sicurezza dei reattori

I controlli in corso da parte dell’Asn sono legati alla scoperta nel nuovo reattore EPR in costruzione a Flamanville di un eccesso di carbonio nella composizione dell’acciaio del vessel e alla successiva individuazione dello stesso potenziale problema in molti reattori in funzione in Francia.

Tradotto: si teme che i vessel, cioè i gusci che contengono i reattori, e altri componenti possano essere più fragili di quanto prevedano gli standard.

Allarmata, l’Asn ha imposto il controllo immediato sugli impianti potenzialmente interessati dal rischio, dimostrando un’ammirevole indipendenza da ragioni economiche, industriali e politiche.

Tanto più che recentemente altri 5 reattori sono stati segnalati come a rischio e quindi da controllare. L’Asn ha imposto a Edf di spegnerli entro tre mesi, non accettando la controproposta di attendere il prossimo ciclo di manutenzione.

Il peggio deve ancora arrivare

«Questo – continua l’analista – farà sì che la produzione elettrica francese possa restare bassa nel prossimo futuro, proprio quando l’accensione dei riscaldamenti in Francia, in buona parte elettrici, farà schizzare in alto la domanda.»

Tutto ciò, si prevede, farà aumentare ulteriormente il PUN francese, che è già ora superiore al nostro, e quindi, a cascata, lo farà aumentare in tutti i paesi che dipendono dal suo export elettrico per mantenere i prezzi bassi: Italia, Belgio, Gran Bretagna e Spagna.

«La Germania, invece, grazie al surplus di export che ha da quando produce molto con solare ed eolico, è risparmiata da questa situazione, anzi potrebbe persino beneficiarne esportando a prezzi alti verso la Francia», ci spiega l’esperto.

Ma quanto ancora durerà questa situazione? «Non è chiaro, forse fino a gennaio o febbraio, o almeno così dicono i future sui prezzi elettrici per quei mesi: prima si scambiavano a 45 €/MWh, oggi sono sui 65.»

Un aumento medio di 20 €/MWh protratto per i prossimi quattro mesi (quindi da applicare ai circa 75 TWh consumati nel periodo) verrà a costarci circa 1,5 miliardidi euro.

Una bella batosta che ci ricorda improvvisamente quanto sia rischioso dipendere da una sola sorgente di energia, o anche da un solo paese che la fornisca di importazione.

Il rischio della “monocoltura” nucleare francese

Viene da chiedersi, per esempio, cosa succederebbe se un incidente nucleare portasse la Francia a dover spegnere contemporaneamente tutti i suoi reattori, come avvenuto al Giappone nel 2011?

Quel paese produceva “appena” un terzo della sua elettricità con il nucleare, la Francia è invece al 75% ed è proprio grazie a questa “monocoltura”, che produce un enorme surplus produttivo in buona parte della giornata, che è diventata una specie di hub di esportazione elettrica nel cuore d’Europa.

«Se succedesse quanto ipotizzato, ma è molto improbabile, sarebbe un disastro, perché la Francia stessa dovrebbe autoprodursi quel 75% di elettricità, e non ne ha assolutamente la capacità da altre fonti. Tanto più che la presenza del nucleare l’ha portata per decenni a far andare più utenze possibili per via elettrica, aumentando di molto i consumi. Quindi, in caso di stop, diventerebbe di colpo un enorme importatore di elettricità, che manderebbe all’aria l’intero mercato europeo.»

Per quanto ci riguarda, in quel caso, spiega l’esperto «dovremmo invece produrci da soli quel 10-15% di elettricità che importiamo da loro, usando le centrali più costose, che normalmente coprono solo i picchi, con il risultato che vedremmo i nostri costi elettrici schizzare alle stelle. Ma in questo scenario l’ultimo dei pensieri sarebbero i prezzi di borsa, in tale situazione sarebbe in pericolo il funzionamento della rete elettrica europea.»

L’Italia si cauteli puntando su gas e rinnovabili”

Anche senza arrivare a questo evento estremo, ricordiamo che la Francia nel 2015 ha varato un programma energetico che, oltre ad aumentare l’efficienza complessiva, la porterà a far calare la sua dipendenza dal nucleare al 50%, chiudendo le centrali più vecchie e investendo molto sulle rinnovabili.

Questo vuol dire che entro meno di un decennio, a meno di revisioni di questi obbiettivi da parte dei prossimi governi, la Franca diminuirà molto il suo ruolo di esportatrice elettrica, anche senza eventi imprevisti, e questo implicherà che chi, come noi, conta su questa produzione economica per soddisfare una parte non residuale del proprio fabbisogno, si dovrà attrezzare per tempo.

«Per farlo, se non vogliamo tornare a investire in centrali a lignite, non è che ci siano molte strade:  puntare su un mix produttivo basato su gas, al momento sotto-utilizzato ma che può essere sfruttato maggiormente e in maniera più efficiente, e fonti rinnovabili, per la cui integrazione è però necessario portare avanti anche un potenziamento della rete elettrica e un’evoluzione dei sistemi di accumulo, in modo da utilizzare al meglio l’energia che sole e vento sono in grado di produrre», osserva Ciapponi.

«Se ci riusciremo – continua – arrivando a superare il 50% di produzione elettrica con le rinnovabili, potremmo non solo compensare la riduzione dell’import, ma anche diventare noi stessi esportatori netti, magari verso la stessa Francia.»

Un’assicurazione sulla vita

Quindi, l’attuale aumento del prezzo del PUN dovuto alla riduzione dell’import nucleare francese, non va visto solo come una curiosità statistica o un fastidio temporaneo, ma come un vero e proprio campanello d’allarme su ciò che avverrà comunque, anche al netto di altre emergenze, entro pochi anni, e in modo definitivo.

Se ci aggiungiamo altri rischi geopolitici legati alle forniture di gas, come esaurimento di giacimenti, contrasti o guerre che chiudono questo o quel gasdotto, si vede come l’unica nostra “assicurazione sulla vita” in campo energetico siano le rinnovabili, fonti che l’Italia avrebbe tutto l’interesse a potenziare, e non solo per i nobili motivi di salvare clima e ambiente.

Ma chissà se i nostri regolatori e politici di governo, che sembrano al momento più impegnati nell’inventare nuovi sistemi per scoraggiare l’installazione di rinnovabili in Italia, hanno udito la sirena di allerta che suona da oltre le Alpi …

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