Ecco perché il prezzo unico nazionale dell’elettricità è alle stelle

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Nonostante un elevato mix di fonti rinnovabili a maggio il PUN tocca quota 70 €. Diversi i fattori che incidono sul prezzo. Come affrontare questo trend? Ne parliamo con Giacomo Ciapponi di Ref-E.

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Una delle poche cose chiare nel settore energetico sembrava essere questa: quando tira molto vento nel nord Europa o c’è molto sole nel Sud del continente, in Italia il Prezzo unico nazionale dell’elettricità, il Pun, scende.

Questo perché le rinnovabili, direttamente o tramite export, tolgono spazio alla produzione a gas. Questo effetto, unito al fatto che i consumi sono più ridotti alla fine dell’inverno, fa sì che fra gennaio e giugno, prima che cominci l’uso dei condizionatori, il Pun scenda di varie decine di euro.

Ed era chiara anche l’esistenza di un altro calmiere meno stagionale del Pun, il nucleare francese: quando in Francia si produce più elettricità del necessario, il che capita quasi sempre, l’eccesso va ai suoi vicini.

Ecco allora che il costo dell’elettricità in Italia scende, perché l’import nucleare costa meno della generazione a gas nostrana.

Nel 2021, però, sono sparite anche queste poche coordinate fisse: a gennaio il Pun è stato in media di 60 €/MWh, aveva cominciato a scendere a febbraio, come di consueto, ma poi è rimbalzato, crescendo sempre più, toccando i 69 €/MWh ad aprile e i 70 a maggio (69,91 €), con punte di oltre 90 euro in 15 giorni.

E il Pun resta alto anche quando abbondano nel mix elettrico sole, vento o nucleare. A maggio 2021 e rinnovabili hanno coperto circa il 46,9% della richiesta elettrica nazionale.

Nel grafico PUN medio mensile da maggio 2020 a maggio 2021.

Per fare un confronto, la media del Pun nel 2020, tirata ovviamente giù dai lockdown, è stata di 38 €/MWh, ma anche nel “normale” 2019, si era fermata a 52 €/MWh.

Il perché del Pun “alle stelle” ce lo spiega Giacomo Ciapponi, economista dell’energia, che lavora per la società di consulenza milanese Ref-E .

«Il principale motivo per cui il Pun è salito, è molto semplice: sono cresciuti di molto i prezzi dei combustibili fossili che più contano per la produzione elettrica da noi e in Europa: gas e carbone. Fra gennaio e maggio il primo è passato sul mercato internazionale da 20 a 29 €/MWh, il secondo, che ha un mercato più differenziato, negli Usa è, per esempio, salito da 76 a 100 $/ton».

Dottor Ciapponi, perché questo aumento?

«Il primo motivo è che mentre più o meno in tutto il mondo i consumi energetici sono tornati ai livelli pre-pandemia, c’è una forte domanda ulteriore da parte di Cina e Asia orientale di LNG, gas naturale liquido, che è il riferimento per i prezzi del metano: se il costo dell’LNG va su, lo segue anche quello del metano che arriva dai gasdotti. E il metano, fra gasdotti e LNG da noi copre ancora quasi il 40% della domanda elettrica».

Ma non esistono contratti di fornitura di lungo periodo che tutelino da questi sbalzi?

«No, l’LNG si paga al prezzo di mercato giorno per giorno (prezzo spot, ndr), tanto che non è raro che navi metaniere in rotta verso un certo paese, cambino direzione e vadano a scaricare in un altro che paga di più. Anche il gas che arriva con metanodotti è ormai quasi tutto venduto ai prezzi di mercato legati all’LNG, con poche eccezioni come quello algerino e un po’ del russo».

Del resto, anni fa ci lamentavamo che i contratti di lungo termine sul gas erano un pessimo affare, perché ci vincolavano a prezzi più alti di quelli di mercato…

«Esatto, ora che sono stati quasi aboliti, scopriamo che certe volte sono quelli a convenire di più. C’è comunque, come dicevo, un secondo motivo, più locale e temporaneo, che tiene alti i prezzi del gas: aprile e maggio 2021 più freddi della media, hanno fatto consumare più gas delle previsioni in Europa, svuotando le scorte, che ora i fornitori stanno ricostituendo prima dell’inverno. È un’altra cosa che fa salire domanda di gas e prezzi».

Quindi l’aumento del Pun durerà poco?

«Non credo, il riempimento dei depositi, che avviene lentamente, visto gli alti prezzi, durerà ancora mesi, mentre non ci sono indizi di prossimi cali del prezzo dell’LNG, anzi, se la ripresa post pandemia accelerasse e/o ci fosse un’estate torrida, salirebbero anche i consumi e quindi i prezzi dell’energia elettrica».

Ci sono altri fattori che incidono?

«C’è anche una terza causa, non di mercato, e tutta europea, a far salire il prezzo dell’elettricità: il costo della CO2 sul mercato delle emissioni. I nuovi target di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 hanno fatto salire i costi delle quote di CO2 che paga chi usa metano e carbone, e le utility hanno scaricato questo extracosto sul prezzo dell’elettricità».

E quanto influisce?

«Per l’elettricità da gas si calcolano circa 0,37 €/MWh per ogni euro di costo di tonnellata di CO2, quindi agli attuali 50 €/ton, si tratta di un sovracosto di circa 15-16 €/MWh, non poco».

Questo spiega perché non riceviamo più “conforto” dalle giornate di vento in nord Europa?

«Sì, anche lì il Pun è stato trascinato in alto dal sovrapprezzo per la CO2 di gas e carbone e il loro export è meno economico. Il peso del costo della CO2 è meno sentito in Francia, ma il ritardo accumulato nel 2020 nella manutenzione delle sue centrali nucleari, fa sì che ora abbia fermi per lavori diversi impianti, e quindi esporti meno e a prezzi più alti del solito».

Però le stesse rinnovabili italiane, sembrano aver perso il loro tocco magico nel far scendere il Pun. Anche nelle giornate con tanto sole, vento o idroelettrico questo resta alto.

«Se tre delle principali fonti di elettricità in Italia, gas, carbone e import, sono care, l’effetto delle altre si nota meno. Comunque, senza le rinnovabili avremmo un Pun medio stratosferico, meno male che le abbiamo installate e ci proteggono da queste situazioni».

E a proposito di fonti rinnovabili, visto che i prezzi alti dei fossili non scenderanno presto, sembra arrivato il momento che la transizione energetica proceda con le sue sole gambe, essendo ormai competitiva, almeno nel settore elettrico.

«In effetti l’alto costo della CO2, ha già praticamente messo fuori mercato in Italia il carbone: prima quelle centrali funzionavano giorno e notte, ora conviene usarle solo nei momenti di picco. Sostituire il gas, invece, sarà cosa lunga e complicata, anche perché per adesso sta assorbendo la funzione di “baseload” del carbone».

E per insidiarne il predominio cosa ci vorrebbe?

«Se il prezzo della CO2 continuerà, come si pensa, a salire, visto che serviranno circa 100 €/tonCO2 per abbandonare del tutto i fossili, gli impianti a rinnovabili potrebbero diventare imbattibili come costo del loro MWh: già nelle ultime aste in Europa hanno garantito prezzi più bassi di quelli medi in borsa».

E infatti in Europa si installa tanto solare ed eolico.

«Da noi, invece, il mercato è asfittico, soprattutto a causa di norme e permitting inadeguati, come ha dimostrato anche l’ultima asta italiana, andata quasi deserta»

Il gas garantisce la sicurezza del sistema, essendo programmabile?

«Potrebbero progressivamente sostituirlo nel mercato della capacità, solare ed eolico con batterie, o idroelettrico, ma per ora non sembra stia avvenendo molto in Europa, e tantomeno in Italia. La ragione principale è che il mercato della capacità oggi è in teoria aperto a tutti, ma in pratica è disegnato intorno alle fossili: per esempio con una centrale a gas posso garantire di poter dare sempre, per tutto l’anno del contratto, un’alta percentuale della mia potenza massima. Con le rinnovabili intermittenti, su un tempo così lungo, posso garantire sempre solo una frazione minima della mia potenza, il che rende poco appetibile il capacity market per quel settore».

E il prezzo alto dell’elettricità che effetti sta avendo sul comparto produttivo?

«Che cercano alternative. Un’azienda è venuta proprio ieri a consultarci per ridurre le spese di elettricità e gas. È un caso complesso, ma credo che suggeriremo misure di efficienza energetica, di aumento dell’autoproduzione da rinnovabili e anche, se possibile, di acquisto di energia solare o eolica con contratti di tipo PPA»

Quindi, sintetizzando, il Pun alto è destinato a restare, e peserà sui conti di famiglie e imprese. Ma è anche una grande opportunità per la transizione verso le rinnovabili: nei prossimi mesi e anni di aziende e famiglie che cercheranno alternative ai costosi e inquinanti fossili ce ne saranno a migliaia in Italia e sarà bene che si sblocchino le nuove installazioni di rinnovabili, per soddisfarle.

E piccole imprese e famiglie potrebbero anche da subito cambiare il modo in cui si riscaldano, si raffrescano, producono acqua calda. Le soluzioni rinnovabili ci sono.

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