Trump: “possibile” rientro Usa nell’accordo di Parigi… anche se non sono ancora usciti

Leggere nelle parole del presidente Usa un dietrofront sulla questione clima sarebbe una forzatura, mentre, d'altra parte, la maggioranza della stampa sembra dare eccessivo peso alla posizione di The Donald, che conta meno di quel che si pensi per l'impegno internazionale Usa sul clima.

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Un rientro degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima è possibile, “could conceivably re-enter” l’espressione in inglese usata. La dichiarazione di Donald Trump, arrivata ieri in serata, oggi rimbalza sulla stampa internazionale.

Leggere nelle parole del presidente Usa un dietrofront sulla questione clima però sarebbe una forzatura, mentre, d’altra parte, molti sembrano dare eccessivo peso alla posizione di The Donald.

Formalmente, infatti, gli Usa non sono ancora usciti dal patto, ratificato nel 2016: dato che per abbandonarlo serve un preavviso di quattro anni, non potranno farlo prima del novembre 2020, dunque appena dopo le prossime presidenziali.

Nel frattempo, se la presidenza Trump sta sicuramente rallentando lo sforzo Usa a livello federale e indebolendo l’accordo, parlando di singoli stati e di economia, gli Usa sono più attivi che mai sul fronte clima, come non si sono fermati gli altri big che hanno ratificato il patto, Cina in primis.

La nuova dichiarazione è arrivata durante un incontro (vedi video sotto) con la prima ministra della Norvegia, Erna Solberg, che guida uno dei paesi più attivi nella lotta al global warming (nonostante debba la sua ricchezza alle immense risorse petrolifere) e, come detto, quella di Trump come apertura è a dir poco cauta.

Incalzato sulla questione, il presidente Usa ha spiegato che, “non ho problemi con l’accordo di Parigi in sé, ma ho problemi con questo accordo per come è stato firmato, che è molto ingiusto verso gli Usa e che mina la nostra competitività”.

Svaluterebbe i nostri asset, essendo gli Usa un paese molto ricco di gas e petrolio”, ha spiegato, facendo presente che gli impegni di Parigi “costringerebbero gli Usa a chiudere delle aziende per rispettare il target al 2025, mentre la Cina non dovrebbe intraprendere azioni prima del 2030 e la Russia può rimanere addirittura sui livelli (di emissioni, ndr) di metà degli anni ’90.”

L’accordo, ha continuato, “annullerebbe il nostro margine competitivo. E non permetteremo che questo accada, non permetterò che questo accada”.

“Come al solito hanno fatto un brutto affare”, un bad deal, ha rimarcato riferendosi all’amministrazione Obama, per questo “è possibile che ci rientriamo. Ma dico questo: siamo molto forti sull’ambiente. Sono molto sensibile sull’ambiente”.

 

Gli Usa hanno ratificato l’accordo accordo, siglato nella capitale francese nel 2015, il 3 settembre 2016, con la firma dell’inquilino della Casa Bianca del tempo, Barack Obama. Trump ha annunciato la volontà di ritirare l’adesione degli States lo scorso primo luglio 2017.

Come dicevamo, però, gli effetti di quella decisione dovrebbero essere più limitati di quanto si potrebbe credere. Secondo l’articolo 28 dell’accordo, che regola il preavviso che le nazioni che lo vogliono abbandonare devono dare, infatti, gli Usa non potranno uscire dal patto prima del 4 novembre 2020, che per coincidenza è anche il giorno successivo alla prossime presidenziali.

“Molto probabile, dunque, che un prossimo presidente Usa possa annullare la scelta di Trump e riportare gli States nell’accordo”, spiega a QualEnergia.it Leonardo Massai, che ha partecipato alle varie CoP (i negoziati sul clima da cui è noto l’accordo) in qualità di delegato della Repubblica Federale del Congo.

Nel frattempo (anche se i negoziati restano comunque aperti anche alle nazioni che non hanno ratificato l’accordo) gli Usa continuano ad essere a tutti gli effetti parte dell’accordo e a partecipare ai lavori.

La svolta impressa da Trump lo scorso luglio, ci spiega Massai, “si è vista nell’ultima CoP 23 di Bonn con l’invio di una delegazione ridotta e con un mandato limitato, che si è attestata su posizioni attendiste, specie per quel che riguarda l’impegno finanziario. Ma va sottolineato che l’impegno americano a livello dei singoli Stati, evidenziato nei vari side event, si è moltiplicato proprio per effetto della frenata imposta a livello federale dalla nuova amministrazione”.

Gli fa eco Veronica Caciagli, giornalista ed esperta dei negoziati sul clima: “Anche se gli Stati Uniti, formalmente, non potranno uscire dall’Accordo di Parigi prima del 2020 – spiega a QualEnergia.it – Trump sta tentando in ogni modo di disattenderne i principi, promuovendo l’industria dei combustibili fossili. Questo è un pericolo molto grave per un Paese come gli Stati Uniti. C’è però da considerare che l’opposizione interna alle politiche fossili di Trump è molto forte, persino in seno al suo stesso partito: come dimostrato anche dalla recente bocciatura, all’unanimità, del piano di sussidi all’industria del carbone e del nucleare da parte della Federal Energy Regulatory Commission – di cui 4 dei suoi 5 componenti erano stati designati proprio da Trump (vedi qui, ndr).”

Come avevamo riportato raccontando i negoziati di novembre, la rappresentanza della Casa Bianca a Bonn è stata isolata e messa in un angolo dalle molte altre iniziative statunitensi, prime fra tutte quelle della coalizione “We Are Still In” della quale fanno parte Stati, sindaci, aziende e presidi di università americane, che rappresentano, secondo le stime della coalizione stessa, oltre metà della popolazione americana e circa 6,2 miliardi di dollari.

Insomma, che Trump ci ripensi o meno, in un modo o nell’altro alla battaglia per il clima gli Usa continueranno a partecipare.

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