Tassare la CO2 è un’ipotesi (ancora un po’ lontana) anche per BusinessEurope

La super-lobby delle industrie europee inizia a valutare l’idea di una tariffa sulle emissioni di carbonio.

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Perfino in una super-lobby molto conservatrice come BusinessEurope si fa strada l’ipotesi di tassare in qualche modo le emissioni inquinanti, anche se per il momento rimane una possibilità abbastanza lontana, più uno spunto di discussione che una vera assunzione di responsabilità.

Ma è già un passo avanti rispetto ai mesi scorsi, quando la confederazione che riunisce migliaia di aziende dei diversi paesi europei, tra cui le imprese della nostra Confindustria, non voleva sostenere obiettivi climatici più ambiziosi rispetto a quelli già messi in campo da Bruxelles per il 2030 (vedi qui).

Ora BusinessEurope ha un pochino allentato il freno, nel presentare a Bruxelles due documenti con le nuove strategie sui cambiamenti climatici e sul commercio internazionale (allegati in basso).

Il numero uno della confederazione, Markus J. Beyrer, rispondendo in conferenza stampa all’agenzia EurActiv, ha dichiarato che BusinessEurope, per la prima volta, è pronta a discutere la possibile futura adozione di una “carbon tariff” esterna all’Unione europea, ma sarebbe l’ultima risorsa da considerare (last resort) se tutte le altre misure avranno fallito.

Il tema è quello della competitività delle industrie europee a livello internazionale, soprattutto quelle che consumano molta energia nei loro processi manifatturieri, pensiamo ad esempio alle acciaierie: come tutelare questa competitività, se le norme antinquinamento in Europa diventeranno sempre più severe, anche attraverso la riforma del mercato EU-ETS (Emissions Trading Scheme)?

In un recente comunicato, la confederazione afferma di supportare l’obiettivo Ue della neutralità climatica entro il 2050, che punta ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica in linea con gli accordi di Parigi per limitare a 1,5-2 gradi centigradi il surriscaldamento terrestre.

Per quanto riguarda le politiche finanziarie, ci sono diverse possibilità che aiuterebbero a raggiungere un simile traguardo, tra cui: una carbon tax globale come quella suggerita dall’economista americano Joseph Stiglitz, un’ipotesi però che ora sembra quasi impossibile da realizzare, un prezzo “domestico” del carbonio da sommare al costo della CO2 sull’ETS (ci sta pensando anche la Germania, come ha fatto la Gran Bretagna: vedi qui), un meccanismo di “aggiustamento” ambientale applicato a tutti quei paesi extra Ue che non rispettano gli impegni di Parigi sul clima.

In quest’ultimo caso si potrebbe parlare di una tariffa doganale sulle emissioni di CO2 da aggiungere al costo dei prodotti fabbricati fuori dell’Europa.

Era stato il presidente francese, Emmanuel Macron, l’anno scorso, a rilanciare l’idea di una sorta di dazio climatico contro le nazioni che rifiutano di adottare politiche efficaci volte a ridurre le concentrazioni di gas-serra. Certo, non sarebbe facile né immediato definire una strategia di questo tipo, perché andrebbe negoziata con il WTO (World Trade Organization) e soprattutto bisognerebbe evitare il rischio di ritorsioni doganali da parte dei paesi colpiti dalle tariffe anti-CO2.

Senza dimenticare la necessità di coordinare una politica del genere con i meccanismi esistenti, in primis l’ETS europeo.

Ricordiamo che Stiglitz, di recente, ha parlato di una possibile alleanza Europa-Cina contro gli Stati Uniti con l’eventuale applicazione di sanzioni commerciali a scopo climatico, “climate-related trade sanctions”.

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