Stiglitz: “Perché Europa e Cina dovrebbero allearsi sul clima contro gli Usa”

Un ricorso al WTO contro gli States: l’idea è dell’economista americano e premio Nobel Joseph Stiglitz, già sostenitore di una carbon tax globale per ridurre le emissioni inquinanti dei combustibili fossili.

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Europa e Cina alleate contro gli Stati Uniti sui cambiamenti climatici: idea folle?

Può darsi, ma a proporla è un economista americano di fama mondiale, premio Nobel nel 2001, Joseph Stiglitz, tra i maggiori critici di molti aspetti della globalizzazione economica e dei suoi impatti anche in termini ambientali.

Proprio Stiglitz, infatti, è un forte sostenitore della necessità di correggere alcune storture, per esempio applicando su vasta scala il principio “chi inquina paga” con una carbon tax a livello internazionale.

Già nel 2017, Stiglitz e l’ex capo economista della Banca mondiale, Nicholas Stern, raccomandavano di adottare una politica di carbon pricing che consentisse di far pagare sempre di più ogni tonnellata emessa di anidride carbonica nei vari settori industriali, in modo da penalizzare le attività più inquinanti (vedi qui).

Tuttavia, imporre una tassa globale su carbone, gas e petrolio sembra irrealizzabile al momento, per una serie di ragioni: la principale è che una misura di questo genere andrebbe a sovvertire l’equilibrio economico planetario, colpendo soprattutto quei paesi che producono, esportano, utilizzano ingenti quantità di combustibili fossili, tra cui Stati Uniti, Cina, India, Russia (vedi l’approfondimento di QualEnergia.it).

Stiglitz, in questi giorni, è stato a Bruxelles per promuovere il suo nuovo libro, Rewriting the rules of the European economy (scaricabile gratuitamente da questo link); tra le sue dichiarazioni, riportate dall’agenzia EurActiv, spicca l’idea che l’Europa e la Cina dovrebbero promuovere un’azione legale presso il WTO (World Trade Organization, l’organizzazione mondiale del commercio) contro gli Stati Uniti.

In pratica, si tratta di considerare la possibilità di varare sanzioni commerciali contro gli Usa motivandole con il mancato impegno, da parte americana, di rispettare gli accordi internazionali di Parigi sul clima (si parla, infatti, di “climate-related trade sanctions”).

Ricordiamo che la Casa Bianca, con la presidenza di Donald Trump, ha sempre rifiutato di aumentare gli sforzi volti a limitare il surriscaldamento terrestre, come raccomandato dall’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organo scientifico delle Nazioni Unite che studia il cambiamento climatico).

Di recente, la parte più agguerrita dell’opposizione democratica ha proposto di lanciare un Green New Deal per investire massicciamente in tecnologie pulite, in modo da azzerare o quasi le emissioni inquinanti entro la metà del secolo.

Tornando a Stiglitz, la sua idea potrebbe fondarsi sul precedente legale dello Shrimp-Turtle Case del 1998, quando il WTO stabilì che era lecito, come aveva deciso il governo Usa, vietare le importazioni di gamberetti da tutti quei paesi (Thailandia e Malesia ad esempio) che utilizzavano metodi di pesca contrari alla convenzione CITES sulla protezione delle specie a rischio; in quel caso, erano delle trappole per gamberetti che rischiavano di uccidere anche le tartarughe marine.

E ora, proprio il rapporto dell’IPCC con le sue evidenze scientifiche del cambiamento climatico antropogenico (cioè causato dalle attività umane, soprattutto l’utilizzo di carbone, gas e petrolio), potrebbe diventare la base su cui costruire dei procedimenti legali contro chi non si sta impegnando a sufficienza per proteggere la salute dei cittadini, salvaguardare gli ecosistemi, ridurre le emissioni di gas-serra e così via.

Uno scenario, quest’ultimo, che secondo Stiglitz potrebbe vedere Europa e Cina in stretta collaborazione per spingere anche gli Stati Uniti a perseguire gli obiettivi climatici internazionali.

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