Nel sud della Francia, due piccoli impianti fotovoltaici a terra stanno attirando l’attenzione del settore per una scelta tecnica inedita: l’utilizzo di supporti in tronchi di legno locale al posto delle consuete strutture in acciaio e alluminio.
I progetti, realizzati dalle cooperative CéléWatt e ERE43, puntano a integrare la produzione di energia rinnovabile in un modello di economia circolare, evitando cemento, riducendo l’impronta di carbonio e valorizzando filiere forestali locali.
Ma al di là dell’originalità, l’adozione del legno per strutture fotovoltaiche solleva anche dubbi tecnici, normativi e commerciali.
Un’alternativa a basso impatto per installazioni su piccola scala
Nel villaggio di Carayac (Lot), un parco solare da 250 kWp costruito da CéléWatt si estende su 3.200 m2, con 746 moduli montati su travi in quercia grezza proveniente da foreste vicine. Nessun getto di calcestruzzo, nessuna fondazione invasiva: i supporti in legno sono stati fissati tramite piastre metalliche ancorate al terreno, in modo da garantire il completo e un più facile ripristino del suolo a fine vita dell’impianto.
Analogamente, a Rosières (Haute-Loire), ERE43 ha installato 736 moduli per una potenza complessiva di 300 kWp su una ex discarica, usando telai in legno locale (raffigurati sia nell’immagine di copertina che nella foto sotto, entrambe di Énergie Partagé) forniti dall’azienda Mecowood, senza scavi né opere civili permanenti. L’impianto dovrebbe entrare in funzione il 24 maggio.
Oltre il legno: un modello economico alternativo
Nel caso della centrale di Rosières, l’originalità non si limita alla scelta dei materiali da costruzione. Il progetto, promosso dalla cooperativa ERE43, è stato concepito per rafforzare l’economia locale lungo tutta la filiera.
Oltre a impiegare legno locale per i supporti fotovoltaici, il progetto ha coinvolto imprese del territorio e ha beneficiato di un finanziamento etico da parte della banca cooperativa La Nef, senza ricorso al credito bancario tradizionale.
Il modello si basa inoltre sulla condivisione locale dell’energia prodotta: circa il 10% dell’elettricità generata sarà consumata direttamente da enti e aziende del territorio, tra cui il consorzio rifiuti SICTOM e l’area urbana di Puy-en-Velay. Il restante 90% sarà immesso in rete, ma con delle particolarità.
La commercializzazione dell’elettricità in eccesso, acquistata dal fornitore locale Energie d’Ici, che fa anche da autorità di bilanciamento, avverrà in Lien, una moneta locale che circola nella zona dell’Alta Loira, pensata per stimolare gli scambi economici all’interno della stessa comunità.
“Pagando l’energia in valuta locale, questo progetto promuove le filiere corte, sia economiche che energetiche. È un grande passo verso un sistema più resiliente e più radicato nelle comunità locale. È anche un modo unico di pensare alla condivisione del valore e ai benefici economici locali”, ha commentato Yann Petroff, coordinatore del Lien.
Una cooperativa di cittadini per finanziare l’energia pulita
Anche il progetto realizzato a Carayac dalla cooperativa CéléWatt si distingue per il modello economico adottato.
L’intero investimento, pari a 220.000 euro, è stato coperto senza ricorrere a prestiti bancari, grazie al contributo diretto di oltre 400 cittadini e al sostegno della Regione Occitanie. La scelta di coinvolgere direttamente la comunità nella fase di finanziamento riflette un’impostazione mutualistica e partecipativa, che affonda le radici nella tradizione delle Società Cooperative di Interesse Collettivo (SCIC), riconosciute dal diritto francese.
CéléWatt possiede già un altro parco fotovoltaico in funzione dal 2018 nel vicino comune di Brengues e intende realizzare una “grappe” di 5 o 6 impianti distribuiti nella valle del Célé. L’obiettivo è arrivare a coprire i consumi elettrici di tutte le famiglie dei comuni coinvolti, mantenendo il pieno controllo locale sulle infrastrutture energetiche.
Come per il progetto di Rosières, l’attenzione alla sostenibilità è estesa a tutta la filiera: niente cemento, legno locale certificato, assemblaggio in loco e facile reversibilità totale del sito a fine vita.
Anche in questo caso, oltre al ricorso al legno, è l’aspetto economico, cioè la proprietà collettiva dell’impianto, a rappresentare l’aspetto distintivo del progetto (Riqualificazione energetica e inclusione sociale: l’esempio francese e le sfide per l’Italia).
I vantaggi ambientali: meno acciaio, più filiera corta
Il primo beneficio evidente dell’uso del legno riguarda la riduzione delle emissioni associate alla produzione e al trasporto dell’acciaio galvanizzato e dell’alluminio, materiali standard per supporti e telai del fotovoltaico a terra.
Utilizzando legno proveniente da foreste certificate e prossime al sito di installazione, si evitano processi energivori e lunghi trasporti, e si stimola al contempo la gestione sostenibile delle risorse boschive.
La facile reversibilità è un altro punto di forza: entrambe le installazioni sono state realizzate senza gettate di cemento, grazie a sistemi di ancoraggio su piastre o palificazioni leggere. In caso di smantellamento, il sito potrà essere completamente e facilmente ripristinato.
In termini di ricadute economiche, l’impiego di manodopera e imprese locali rappresenta un moltiplicatore per l’economia dei piccoli centri rurali.
Ma il legno reggerà? I dubbi tecnici e normativi
Accanto agli aspetti positivi, non mancano critiche e interrogativi da parte di tecnici e operatori del settore.
In un vivace dibattito su LinkedIn relativo al progetto di Rosières, diversi professionisti hanno sollevato riserve sulla durata del legno esposto a tutte le intemperie per 25-30 anni. Anche con trattamenti protettivi e accorgimenti costruttivi, l’azione di umidità, funghi o insetti resta un rischio, soprattutto nel caso di una manutenzione irregolare o assente.
Altro tema critico è il comportamento al fuoco. Il legno è un materiale combustibile, e in caso di guasti o incendi, pur rari, potrebbe contribuire alla propagazione delle fiamme. In molti paesi le norme antincendio per impianti a terra richiedono materiali ignifughi certificati, cosa che potrebbe rappresentare un impedimento per le strutture in legno, dal punto di vista regolatorio, delle garanzie e delle coperture assicurative.
Alcuni critici hanno osservato che i supporti in legno, meno rigidi rispetto all’acciaio, possono causare deformazioni nei moduli, con possibili effetti sull’efficienza, sulla tenuta meccanica e anche in questo caso sulla garanzia.
Ci si interroga anche su come queste soluzioni si comportino sotto carichi di vento o neve, solitamente regolati e dimensionati secondo standard tecnici sviluppati per strutture metalliche. Non è chiaro poi se le soluzioni in legno siano accompagnate da certificazioni strutturali equivalenti a quelle dei supporti in acciaio.
Un’idea interessante, ma probabilmente di nicchia
I due progetti francesi mostrano che il fotovoltaico può essere declinato anche con estrema sensibilità ecologica e sociale, valorizzando risorse locali e modelli economici alternativi.
Tuttavia, l’adozione di strutture in legno per impianti a terra resta per ora una scelta di nicchia, legata a contesti ben definiti: piccoli impianti, forte coinvolgimento comunitario, assenza di vincoli normativi stringenti.
Affinché questa soluzione possa affermarsi oltre l’ambito sperimentale, sarebbe necessario chiarire i requisiti tecnici minimi, sviluppare protocolli di manutenzione, ottenere il riconoscimento delle garanzie da parte dei produttori di moduli e affrontare i nodi legati alla normativa antincendio e alla stabilità strutturale.
“Non sono sicuro che i ‘benefici’ di questo sistema superino i rischi”, ha commentato Thomas Koerner, vicepresidente senior di Canadian Solar.
Per ora, insomma, legno e fotovoltaico sembrano destinati a incontrarsi solo dove sostenibilità e modelli economici alternativi in un ambito comunitario sono prioritari rispetto alla fattibilità commerciale internazionale e su vasta scala.