Smart working sì o no? Dati e vantaggi per l’ambiente in un primo studio su Milano

Durante il lockdown gli spostamenti sistematici sono diminuiti del 53% in città: ecco le lezioni che si possono trarre secondo Rse.

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Lavorare da casa fa bene, e quanto, all’ambiente? Qual è il contributo del telelavoro alla riduzione di traffico e inquinamento nelle città? Bisogna continuare a puntare sul lavoro a distanza, anche dopo il lockdown?

Sono domande che si rincorrono nelle agende di chi deve amministrare città come Milano, Torino, Roma.

In queste settimane il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha un po’ riassunto le perplessità di chi vede nello smart working un’arma a doppio taglio, in sostanza utile nell’emergenza coronavirus ma da non applicare su vasta scala quando l’emergenza è passata.

Insomma, secondo questa tesi bisogna tornare alla “normalità” fatta di uffici, riunioni in presenza, spostamenti casa-lavoro in auto o sui mezzi pubblici e tutto ciò che ne consegue, rimettendo in moto l’economia cittadina in ogni suo aspetto (compresi bar e ristoranti: quante colazioni al bar e pranzi al ristorante in meno bisogna calcolare, con migliaia di persone che lavorano da casa?).

L’argomento ha interessato anche RSE (Ricerca Sistema Energetico), che allo smart working ha dedicato un dossier, intitolato “Smartworking e mobilità: l’esperienza del lockdown a Milano” (allegato in basso), che fornisce dati e spunti con cui sviluppare nuove soluzioni di mobilità sostenibile nelle aree urbane.

Il lockdown, quindi, è considerato come uno “stress-test” per elaborare nuovi modelli di sviluppo urbano, più attenti a diminuire l’impatto ambientale dei trasporti e favorire al contempo le occasioni di socialità-vivibilità degli spazi cittadini. Il dato principale che emerge dalle analisi, si legge nel dossier, è che gli spostamenti “sistematici” da casa verso i luoghi di studio e lavoro e viceversa sono calati del 53% a Milano, nel periodo di massimo lockdown rispetto alla situazione che ha preceduto le misure di contenimento.

E contestualizzando questo dato, spiega RSE, in un’analisi sul potenziale massimo dello smart working, decurtando cioè la quota di chi è rimasto a casa senza poter lavorare, si ottiene un potenziale di riduzione degli spostamenti totali giornalieri, grazie al ricorso al lavoro agile, pari al 14,5% rispetto alla “normalità” senza smart working.

Questa percentuale, precisa lo studio, è sicuramente una stima di massimo potenziale esprimibile dalla città, perché presuppone che tutti i lavoratori che possono ricorrere allo smart working lo utilizzino contemporaneamente e tutti i giorni della settimana.

Lavorare da casa nel lockdown, in base alle stime di RSE, per quanto riguarda il solo trasporto privato in automobile (60% circa del totale a Milano), ha permesso di ridurre i consumi nell’ordine di 112 ktep/anno (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio), pari a circa il 15% dei consumi totali dovuti ai viaggi in auto nell’area di Milano, con la conseguente mancata emissione di circa 500 tonnellate/giorno di PM 2,5.

Ma anche in versione più snella, il lavoro agile potrebbe assicurare diversi vantaggi alla città.

Secondo RSE, infatti, il ricorso allo smart working, anche se applicato in forma più leggera rispetto a quanto ipotizzato nello studio preliminare, potrebbe permettere di ridurre consumi ed emissioni in modo paragonabile a quello che si potrebbe ottenere con altre tipologie di interventi, come il potenziamento del trasporto pubblico locale e la diffusione della micro-mobilità elettrica individuale, dai monopattini alle bici, passando per i servizi di car sharing.

In definitiva, lo smart working, secondo gli esperti di RSE, è un ingrediente da inserire nella ricetta per una città più efficiente, pulita e vivibile.

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