Salvare gli aerei senza vincoli sulle emissioni è un errore

  • 27 Aprile 2020

Le associazioni ambientaliste raccomandano ai governi di inserire clausole ambientali nei piani di salvataggio per le compagnie aeree in crisi. Ma sta avvenendo proprio il contrario.

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Come dovrà ripartire l’economia dopo l’emergenza coronavirus?

La domanda rimbalza tra i settori industriali maggiormente colpiti dal lockdown, come le società petrolifere, le case automobilistiche, le compagnie aeree.

Queste ultime, in particolare, stanno chiedendo con insistenza ai governi di aiutarle a sopravvivere con maxi piani di salvataggio che però escludono qualsiasi vincolo finanziario-ambientale.

Al contrario, le associazioni ambientaliste spingono affinché i governi soccorrano le imprese a fronte del loro impegno a soddisfare determinate condizioni nel post-coronavirus.

In sostanza, l’azienda salvata, quando sarà passata la tempesta, non dovrà semplicemente tornare a fare quello che faceva prima, ma dovrà farlo “meglio” in termini ambientali, impegnandosi a utilizzare più energie rinnovabili e a ridurre le emissioni inquinanti.

Lo stesso dovrebbe valere per il settore automobilistico: ad esempio, Transport & Environment suggerisce di varare piani di rottamazione finalizzati a premiare l’acquisto di veicoli elettrici.

Secondo le ultime stime diffuse dall’associazione internazionale dei trasporti aerei (IATA, International Air Transport Association), in Europa le linee aeree potrebbero perdere 89 miliardi di dollari nel 2020; a fine marzo la IATA aveva parlato di perdite potenziali per 76 miliardi.

Inoltre, si legge in una nota dell’associazione, il crollo attuale del traffico aereo sta minacciando circa 6,7 milioni di posti di lavoro in tutto il continente.

Per l’Italia si parla di potenziali perdite per 11,5 miliardi di dollari con circa 83 milioni di passeggeri in meno e 310.000 posti di lavoro a rischio.

“Poiché le compagnie aeree stanno affrontando una crisi di liquidità senza precedenti, abbiamo disperato bisogno del supporto finanziario dei governi europei”, ha dichiarato il vicepresidente regionale per l’Europa della IATA, Rafael Schvartzman.

Secondo il database aggiornato al 22 aprile da Transport & Environment, Greenpeace e Carbon Market Watch per monitorare i piani di salvataggio dell’aviazione, Airline bailout tracker (allegato in basso), da quando è iniziata l’emergenza coronavirus le linee aree del nostro continente hanno chiesto 12,8 miliardi di euro in aiuti ai rispettivi paesi, di cui circa 3,3 già ottenuti.

E in questi piani di salvataggio non c’è traccia di criteri ambientali né di vincoli sulla distribuzione dei dividendi, con l’eccezione del governo austriaco che sta discutendo un piano da 800 milioni di euro per Austrian Airlines che prevede di non pagare dividendi agli azionisti per un anno e limitare i bonus ai manager della compagnia.

Molte critiche ha sollevato il caso di Easyjet che si è vista approvare un piano da quasi 690 milioni di euro da Londra senza alcun vincolo di tipo finanziario e/o ambientale, dopo che a marzo erano stati distribuiti dividendi per oltre 190 milioni di euro. Di questi, oltre 60 milioni erano andati al fondatore e principale azionista di Easyjet, Stelios Haji-Ioannou.

Perché gli ambientalisti chiedono che i pacchetti di salvataggio siano legati con “stringhe verdi”?

Il punto, evidenziano Transport & Environment (TE), Greenpeace e Carbon Market Watch, è che le società aeree hanno avuto enormi vantaggi economici per tantissimi anni, tra cui soprattutto l’esenzione dal pagamento delle tasse sul kerosene per un totale di circa 27 miliardi di euro l’anno in Europa.

Inoltre, l’inquinamento atmosferico provocato dai voli continua a crescere: da una recente analisi di TE sul mercato europeo ETS (Emissions Trading Scheme), è emerso che le emissioni di CO2 dei voli aerei sono aumentate del 27,6% dal 2013 al 2019.

E ricordiamo che Ryanair nel 2018-2019 è entrata nella lista dei dieci maggiori inquinatori europei, unica realtà industriale diversa dalle centrali a carbone che dominano la classifica.

Ecco perché le associazioni ambientaliste raccomandano ai governi di concedere aiuti finanziari alle compagnie aeree solo con determinate condizioni vincolanti che impongano all’aviazione di diventare più “pulita”, ad esempio incrementando gli investimenti in bio-carburanti a minore impatto ambientale, oppure acquistando aerei più leggeri ed efficienti.

Insomma l’aviazione dovrebbe iniziare a pagare per l’inquinamento che produce: ricordiamo che lo scorso anno era montato il dibattito in Europa sull’opportunità di far pagare una tassa sul jet-fuel in modo da stimolare le compagnie aeree a investire in tecnologie che permettono di consumare meno carburante e-o impiegare combustibili prodotti da materie prime rinnovabili.

Certo è una via difficile da percorrere. Elettrificare gli aerei è una soluzione ancora lontana, mentre il bio-kerosene costa di più e non ha ancora raggiunto livelli produttivi su vasta scala.

Una ragione in più per costruire un Green Deal europeo incentrato sull’innovazione tecnologica e sulla transizione verso energie con un ridotto impatto sull’ambiente.

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