Rilascio di metano: un regolamento Ue in preparazione che lascia troppi buchi

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No (con eccezioni) al gas flaring e al gas venting, obblighi di monitoraggio e riparazione, ma si dimentica l'agricoltura e gli impegni potrebbero restare sulla carta: cosa prevede la bozza di regolamento europeo.

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Le politiche internazionali per il clima si stanno concentrando con più forza e attenzione su un impegno finora trascurato: ridurre le emissioni di metano.

La Commissione europea è in prima linea in questo campo, con una proposta legislativa che sarà presentata il 14 dicembre, parte di un più ampio pacchetto di norme per il settore gas.

La proposta fa seguito alla strategia sul metano pubblicata a ottobre 2020.

Nella bozza di regolamento, vista in anteprima dall’agenzia Euractiv (link in basso) si parla di proibire, con alcune eccezioni ben specificate, due pratiche ampiamente diffuse durante le attività estrattive di combustibili fossili: il flaring, che consiste nel bruciare il gas in eccesso estratto insieme al petrolio, e il venting, il rilascio intenzionale e controllato di gas in atmosfera.

Inoltre, i Paesi dovranno monitorare le emissioni di CH4 e le aziende oil & gas dovranno riparare eventuali fughe di metano dalle loro infrastrutture, come gasdotti e depositi di stoccaggio.

Gli Stati membri dovranno designare autorità nazionali responsabili del monitoraggio e della applicazione delle nuove regole, anche attraverso ispezioni. Mentre gli operatori del gas dovranno presentare un rapporto sulle diverse fonti di emissione di metano e definire un programma di rilevamento e riparazione delle perdite, che dovrà essere approvato dalle autorità.

Nella bozza di regolamento si parla anche di sanzioni ai trasgressori. I Paesi Ue, infatti, dovranno adottare tutte le misure necessarie per garantire che le regole siano attuate, con sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” che potrebbero includere, ad esempio, delle multe per danni ambientali.

Nella proposta Ue però ci sono delle falle.

Innanzitutto, il regolamento si concentra sulle emissioni di CH4 delle industrie fossili, lasciando fuori la più grande singola fonte di emissioni di metano: cioè di agricoltura, soprattutto negli allevamenti e nelle coltivazioni di riso.

Difatti, oltre metà delle emissioni globali di metano deriva dalle attività umane in tre settori: combustibili fossili (35%), rifiuti (20%) e agricoltura (40%), secondo il Global Methane Assessment pubblicato dal programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep) e dalla Climate and Clean Air Coalition.

In secondo luogo, mancano obiettivi vincolanti sulla riduzione complessiva di CH4 immesso in atmosfera. Si fa riferimento solamente al Global Methane Pledge, storico accordo rilanciato da Unione europea e Stati Uniti alla Cop 26 di Glasgow.

Questa iniziativa punta a tagliare di almeno il 30% le emissioni globali di CH4 al 2030, in confronto ai livelli del 2020; hanno già aderito oltre 100 Paesi, Italia compresa. Tuttavia, si tratta di impegni volontari che potrebbero rimanere sulla carta.

Il metano, ricordiamo, è un gas a effetto serra molto potente: nel breve termine, su un orizzonte di permanenza in atmosfera di 20 anni, il CH4 ha un potenziale di riscaldamento circa 80 volte superiore a quello della CO2.

Nel 2020, secondo le stime della Iea (International energy agency), le attività del settore oil & gas hanno comportato il rilascio di oltre 70 milioni di tonnellate di metano in atmosfera, che equivalgono al 5% circa delle emissioni globali per usi energetici.

Nello scenario di sviluppo sostenibile della Iea (SDS: Sustainable Development Scenario), le emissioni globali di metano associate alla produzione e al trasporto di combustibili fossili dovrebbero calare del 70% al 2030, attestandosi a circa 20 milioni di tonnellate.

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