Rifiuti radioattivi, l’Italia è ancora in alto mare

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Dati e analisi nel nuovo rapporto di Legambiente.

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L’Italia no nuke, oltre a dover gestire la pesante eredità lasciata dalle centrali e dai depositi nucleari collocati in siti inidonei, pericolosi e spesso a rischio di esondazione, si trova a dover far i conti con il grande problema del traffico illecito di rifiuti radioattivi, causati anche dall’elevato costo di smaltimento.

È quanto torna a denunciare oggi Legambiente nel nuovo rapporto “Rifiuti radioattivi ieri, oggi e domani: un problema collettivo”, lanciato in vista del decimo anniversario dall’incidente di Fukushima.

L’esistenza di un’illegalità “sommersa” viene confermata anche dai dati del Ministero della giustizia pubblicati nel rapporto Ecomafia 2020: dal 2015 al 2019 i procedimenti penali avviati sono stati 25, di cui ben 14 contro ignoti (anche a causa del fenomeno delle cosiddette “sorgenti orfane” abbandonate tra i rifiuti), con dieci persone denunciate e un arresto.

Tra le inchieste, l’ultima in ordine di tempo, ha visto impegnata lo scorso febbraio la Direzione distrettuale antimafia di Milano che è riuscita a smantellare un’associazione a delinquere, con forti connessioni con la ‘ndrangheta, attiva nel traffico illecito di rifiuti, tra cui anche 16 tonnellate di rame trinciato contaminato radioattivamente.

Per fermare la rincorsa alla “radioattività in nero”, oltre alla realizzazione del deposito nazionale di rifiuti a media e bassa attività e alla piena applicazione della legge 68/2015 che ha introdotto i delitti ambientali nel codice penale, per l’associazione ambientalista è indispensabile anche la rapida entrata a regime del Sistema informatico di tracciabilità di tutta la filiera legata all’uso di materiali e/o sorgenti radioattive, dal commercio alla detenzione, previsto dal decreto legislativo 101 entrato in vigore nell’agosto dello scorso anno e che ha finalmente recepito nel nostro Paese la direttiva Euratom del 2013.

Legambiente ricorda che in Italia, secondo gli ultimi dati disponibili (riferiti a dicembre 2019), ci sono 31.000 metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti, distribuiti su 16 siti in otto Regioni.

A questi numeri, andranno poi aggiunti nei prossimi anni i rifiuti radioattivi ad alta attività che torneranno nella Penisola, dopo il ritrattamento all’estero del combustibile esausto proveniente dagli ex impianti nucleari italiani, e quelli di media attività che si verranno a generare dalle attività di smantellamento degli impianti dismessi.

Occorre poi ricordare che l’Italia è in ritardo sulla realizzazione del deposito unico nazionale per i rifiuti a media e bassa attività. La pubblicazione della Cnapi (si veda qui), arrivata a inizio gennaio, rappresenta un primo passo al quale deve però seguire, afferma Legambiente, un percorso trasparente, partecipato e condiviso con i territori.

Non può mancare nel report uno sguardo ai territori, con 17 storie sulle condizioni in cui si trovano gli impianti e le strutture di stoccaggio di materiale radioattivo più importanti della Penisola.

Siti come l’ex centrale nucleare di Borgo Sabotino, a Latina, posta a meno di un chilometro dall’attuale linea di costa, o come le ex centrali di Garigliano e di Caorso, rispettivamente in provincia di Caserta e di Piacenza, entrambe poste in aree ad elevato rischio idrogeologico in quanto costruite a ridosso di due importanti fiumi come il Garigliano e il Po.

Analogo discorso vale per Saluggia, nel vercellese, dove in un punto a ridosso della Dora Baltea e a soli tre chilometri dalla confluenza con il Po, sono collocati ben tre impianti diversi (Eurex, LivaNova ed il deposito Avogadro), che hanno spesso corso il rischio di essere alluvionati e dove sono stoccati i rifiuti con la carica radioattiva più elevata (circa il 70% del totale presente in Italia).

Passando all’Europa, secondo i dati della Commissione Europea, sono 126 le centrali nucleari attive in 14 Paesi (Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Olanda, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito) che detengono, insieme ai due Stati che hanno intrapreso la strada del decommissioning (Italia e Lituania), circa il 99,7% del volume totale dei rifiuti radioattivi stoccati nel continente.

Le ultime stime, riferite al 2016, vedono 3,46 milioni di metri cubi di rifiuti radioattivi costituiti prevalentemente da rifiuti a molto basso e basso livello di radioattività (il 90% circa), per il trattamento e lo stoccaggio di questi rifiuti sono in funzione 30 impianti distribuiti in 12 Stati Membri.

Le stime prevedono entro il 2030 un raddoppio dei rifiuti a molto bassa attività, mentre per le altre classi l’incremento sarà tra il 20% e il 50% e molti Stati si stanno preparando ad aumentare il numero di depositi idonei.

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