La Francia nucleare: da esportatore di energia a basso costo a malato d’Europa

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La necessità di forti importazioni di elettricità da tutto il continente sta mettendo in crisi la Francia, ma anche altri paesi europei. Ne parliamo con l’economista dell’energia Yves Marignac, che dirige l’istituto négaWatt di Parigi.

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Da “grande esportatore” di energia elettrica a basso costo grazie al suo nucleare, la Francia dall’autunno 2021 in poi, si è trasformata nel malato elettrico d’Europa.

Sempre più spesso bisognoso per andare avanti di enormi importazioni di elettricità da tutto il continente, fino a 12 GW in certi giorni e ore, presi soprattutto dall’area Germania-Belgio, ma talvolta persino dall’Italia.

Questa situazione, mette non solo la Francia a rischio di improvvisi blackout, ma contribuisce non poco all’aumento generalizzato del prezzo dell’elettricità nel continente, che si era abituato al grande export francese a basso costo per moderare i vari Pun (vedi I problemi strutturali del nucleare francese che inguaiano il mercato elettrico europeo).

Abbiamo chiesto spiegazioni all’economista dell’energia Yves Marignac, che dirige l’istituto négaWatt di Parigi, un’associazione che promuove efficienza e risparmio energetico, come mezzo sia per combattere cambiamento climatico e inquinamento, che per liberarci dalla dipendenza dall’estero, che tanti guai sta causando in questi tempi.

Dr. Marignac, quali sono le cause di questa situazione in Francia?

«Edf sta affrontando un livello senza precedenti di indisponibilità: sono spenti 32 dei suoi 56 reattori, con una potenza nucleare scesa da 61 a circa 30 GW. Alcuni di questi reattori sono spenti per il rifornimento di combustibile nucleare, operazione che Edf svolge in genere d’estate per averli pronti in inverno, quando il fabbisogno di elettricità è molto più elevato per la grande diffusione dell’inefficiente riscaldamento elettrico.

Altri sono offline per manutenzione programmata, e il loro numero è più alto del normale sia per i ritardi dovuti al Covid-19, sia perché sono reattori sempre più vecchi che richiedono più manutenzione. Visto che molti hanno anche raggiunto i 40 anni di teorica fine vita, per legge la loro manutenzione deve essere particolarmente approfondita, se vogliono continuare ancora a funzionare. Infine, in 12 reattori si sono scoperte crepe nelle tubazioni di un importante sistema di raffreddamento di emergenza, il che ha costretto Edf a spegnerli ed eseguire alcuni test distruttivi, il che significa che saranno necessarie lunghe riparazione prima che possano tornare in funzione».

Quindi quanto produrrà così il parco nucleare francese?

«Tutto ciò farà sì che quest’anno avrà un fattore di capacità del 52%, contro il 90% negli Usa, producendo soli 280 TWh, invece dei 430 medi. In definitiva mancano 150 TWh all’appello, praticamente la metà dei consumi italiani».

Ma è possibile che la Francia non abbia un piano B per affrontare una situazione simile, con una elettricità in arrivo da altre fonti, invece di affidarsi a grandi quantità di import?

«Mantenere una capacità di “riserva” aggiuntiva, a un livello sufficiente per far fronte alla mancanza di 150 TWh, sarebbe troppo costoso. Ma il punto è capire il perché ci si sia esposti a questo rischio, negando la necessità di alternative.

Negli ultimi decenni l’industria nucleare ha resistito con forza alla reale accelerazione delle rinnovabili o alle politiche di controllo della domanda, sulla base dell’affermazione che la flotta nucleare esistente era la migliore risorsa contro il rischio di una carenza di fornitura. Eppure, già nel 2013, durante il dibattito nazionale sulla transizione energetica, il presidente dell’Autorità francese per la sicurezza nucleare avvertì che il sistema elettrico era vulnerabile: bastava fossero indisponibili 10 reattori e ci sarebbero stati problemi; serviva sviluppare dei margini per non rischiare in una situazione del genere. Ma non è stato ascoltato».

Si riferisce a poche politiche per le rinnovabili e l’efficienza energetica?

«Sì, la Francia è stato l’unico paese dell’UE in ritardo rispetto all’obiettivo del 2020 per le energie rinnovabili. Le politiche di efficienza energetica si sono occupate solo della riduzione dei consumi dei fossili, non di elettricità, non limitando l’uso di tecniche molto “sprecone” come i riscaldamenti elettrici. Fino a tempi recenti i governi si sono opposti a politiche di “sobrietà” della domanda elettrica, per poter mantenere un alto livello di funzionamento della flotta nucleare, negando i pericoli di questa strategia».

Il risultato è che ora, in certi giorni, la Francia, pur sfruttando tutte le sue fonti, ha bisogno di 12 o più GW di elettricità importata. Cosa succede se un giorno non ci dovesse essere abbastanza energia disponibile dal resto d’Europa? O se Edf scoprisse problemi in altri reattori nucleari? Oppure se si interrompesse una grande linea elettrica dalla Germania?

«La situazione è tesa, ma al momento si pensa esista abbastanza back up di produzione in Europa da far fronte a quegli imprevisti. Ma è chiaro che il rischio di blackout elettrico sarà reale nel corso del prossimo inverno quando il sistema elettrico francese e dell’Europa occidentale opererà con margini molto più ridotti. Questo significa che qualsiasi ulteriore incidente potrebbe addirittura portarlo al collasso. Ed è quindi possibile che la Francia debba attuare tagli organizzati, per prevenire blackout, come disconnettere un quartiere dopo l’altro, per due ore a volta».

Come ha detto, oltre all’eccessivo ricorso al nucleare, la responsabilità di questi rischi va anche all’eccessivo consumo elettrico del sistema francese. Ci sono al momento piani per risparmiare energia?

«La gravità della situazione sta finalmente portando all’ordine del giorno la riduzione dei consumi elettrici. Le uniche opzioni che potrebbero essere attivate a breve termine risiedono un cambiamento di comportamento dei consumatori, visto che altre soluzioni, come aumentare l’isolamento degli edifici, richiedono tempi più lunghi.

A questo scopo il governo sta consultando anche negaWatt in cerca di idee, e dovrebbe pubblicare un “piano di sobrietà” entro la fine di settembre. Vedremo quanto sarà ambizioso e realistico. Intanto Edf si è impegnata a riportare in linea tutti i reattori entro l’inverno, ma sembra altamente irrealistico, perché succede spesso che le manutenzioni durino molto di più del previsto, e ciò è probabile soprattutto nel caso dei 12 spenti per la corrosione dei tubi. Inoltre, alcuni dei reattori oggi in funzione, andranno spenti e riforniti durante l’inverno. Secondo una valutazione tedesca, la Francia non riuscirà ad avere più di 40 GW nucleari in inverno: anche per questo hanno deciso di mantenere aperti i loro ultimi due reattori».

Quali potrebbero essere invece i rimedi di medio-lungo periodo per affrontare questa rischiosa situazione?

«Chiaramente, costruire più reattori nucleari non risolverà un problema causato dall’eccessivo ricorso al nucleare. Sono scioccato dai commenti del Ceo di Edf, Jean-Bernard Lévy, che non si assume la propria responsabilità e incolpa il governo di aver dato al nucleare “poco sostegno politico”, mentre sono loro che hanno sempre resistito a qualsiasi riduzione, imponendo il prolungamento della vita dei vecchi reattori, che sta causando così tanti problemi. E comunque nuove centrali non sono previste prima del 2035, peraltro già rimandati al 2037, visionando dei rapporti riservati.

Sono queste scelte che ci hanno messo in trappola. Finalmente il dibattito pubblico si sta concentrando sulla sobrietà energetica come unica opzione possibile per fornire margini di sicurezza energetica a breve termine. Su tempi più lunghi, però, la narrativa dominante è ancora che abbiamo bisogno di più nucleare e assicurarci che sia affidabile. È davvero una sciocchezza, secondo noi di negaWatt.

C’è una sola strada: sfruttare a fondo le potenzialità delle energie rinnovabili e dell’efficienza e puntare alla sobrietà energetica. Queste opzioni affrontano fin da subito la triplice urgenza di ridurre le emissioni di gas serra, aumentare la sovranità energetica e ridurre l’impatto sui prezzi della bolletta energetica di famiglie e imprese. Gli investimenti in nuovo nucleare andrebbero dirottati in quella direzione».

Ma intanto, cosa accadrebbe se, speriamo mai, in caso di un grave incidente nucleare in Francia, si dovessero chiudere tutti i reattori per controlli e miglioramenti, come è avvenuto in Giappone dopo Fukushima? Loro avevano altre fonti disponibili, ma in Francia…

«Questa è una possibilità che Edf, il governo e la società francese non hanno mai avuto il coraggio di affrontare. Non c’è assolutamente nessun piano. In teoria un incidente potrebbe innescare un tale timore e necessità di controlli, da far chiudere tutti i reattori, con una riduzione della fornitura di energia elettrica a un livello così basso che tutto si bloccherebbe. Più probabile pensare che la pressione per mantenere le luci accese sarebbe così forte che il governo avallerebbe la decisione di mantenere comunque in funzione un numero sufficiente di reattori per andare avanti».

A parte il rischio di black out, la scarsità di altra produzione di energia elettrica ha portato alle stelle il prezzo dell’elettricità in Francia, e di riflesso in Europa, che contava sul suo export a basso costo. I francesi non sono abituati agli alti prezzi elettrici. Come state affrontando il problema?

«Questa situazione è così in conflitto con la narrativa dominante che la Francia gode di prezzi dell’elettricità stabili e bassi grazie al nucleare, che c’è una sensazione di perdita di controllo e di panico nei vari soggetti coinvolti. Gli annunci governativi di far ripartire tutto il parco nucleare prima dell’inverno, potrebbero essere controproducenti sul mercato, se poi l’obiettivo non sarà raggiunto. Al tempo stesso sta cercando di attutire con aiuti economici l’impatto su cittadini, specialmente i più poveri. Ma anche le aziende sono in difficoltà e premono per aiuti, che comporteranno l’impiego di ingenti risorse, che mancheranno poi per risolvere il problema energetico alla radice».

Secondo lei, passata la crisi ucraina, si riuscirà mai a tornare al “vecchio normale”, o questa è la “nuova normalità” dell’energia, e dobbiamo adattarci ad essa?

«La “nuova normalità” non potrà certo essere un ritorno al passato: serve l’implementazione di un sistema energetico molto più resiliente, basato su un’impronta energetica ridotta e un’offerta orientata al 100% alle rinnovabili. Se la Francia seguirà questa strada è una questione aperta: al momento la nuova narrativa sta contendendo spazio alla vecchia, uguale dagli anni ’70, che vede l’energia nucleare come garanzia a lungo termine per la sicurezza energetica. Se la ragione prevarrà, la prima narrazione dovrebbe prendere il sopravvento. Ma grazie allo stato d’animo dell’opinione pubblica francese e all’orientamento dei media mainstream, in gran parte di destra e conservatore, la narrativa del “ritorno al nucleare” per ora domina».

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