Pompe di calore geotermiche… in rete

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Un'azienda britannica ha pensato di adottare una soluzione per abbattere i costi di installazione delle PdC geotermiche, soprattutto legati alla perforazione e alla costruzione dei pozzi.

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Chi ha già installato una pompa di calore (PdC) lo sa: anche con la loro “quasi magica” efficienza, che le porta ad ottenere 2-3 kWh di calore per ogni kWh di elettricità consumato, questi dispositivi di energia ne succhiano tanta.

Si stima che per climatizzare un appartamento “medio” (in quanto a superficie, clima, utilizzo e isolamento termico) durante tutto l’anno, una PdC aria-acqua (le più usate) richieda fra i 1400 e i 1800 kWh, il doppio rispetto ai consumi medi di una famiglia italiana. Quindi, considerando un costo attuale sul mercato libero per kWh (tutto incluso) di circa 0,32-0,36 €, si avrà una spesa in più di circa 500-650 euro annui.

Ovviamente a questa spesa andrà sottratta quella evitata, non utilizzando più il gas allo stesso scopo, che spesso era superiore. Inoltre moltissime famiglie, accoppiando la PdC all’impianto fotovoltaico, si autoproducono buona parte dell’energia necessaria, cosa che con il metano non era certo possibile.

Visto che le PdC sono al momento la strada obbligata per sostituire le caldaie a gas, responsabili di circa il 17% delle emissioni italiane, viene da chiedersi se non sia possibile trovarne una versione meno energivora di quelle aria-acqua.

La risposta sono le pompe di calore geotermiche. Estraggono il calore dal terreno in pozzi scavati a circa 100 metri di profondità e sono molto più efficienti di quelle che estraggono il calore dall’aria.

La ragione è semplice: la PdC aria-acqua d’estate cerca di cedere il calore interno della casa all’ancora più bollente aria esterna e d’inverno di spostare calore dalla fredda atmosfera ai tiepidi interni domestici. In entrambi i casi consuma una gran quantità di elettricità per convincere il calore a muoversi “controcorrente”.

Le PdC geotermiche (ma anche quelle acqua-acqua, che estraggono calore dall’acqua di pozzi, fognature, mari o fiumi) sfruttano invece il fatto che il mezzo che cede o assorbe il calore è più o meno sempre alla stessa temperatura tutto l’anno, circa 12 °C nel caso del terreno.

Con una temperatura costante la cessione del calore del condizionamento estivo è addirittura spontanea, ma anche d’inverno c’è una bella differenza fra estrarre calore dal denso terreno a 12 °C, invece che dalla rarefatta aria, ad esempio, a zero gradi.

Secondo il Department of Energy (DoE) americano è per questo che i consumi delle PdC geotermiche si aggirano intorno alla metà di quelli delle PdC aria-acqua.

Altro vantaggio è che le PdC geotermiche sono molto meno ingombranti di quelle ad aria, non avendo né il grande e, a volte, rumoroso “componente esterno”, perché il dispositivo può essere posizionato in un ripostiglio dentro l’abitazione.

Allora perché in Italia installiamo PdC geotermiche con il contagocce?

Essenzialmente perché costano molto di più delle PdC aria-acqua: circa 25.000 euro contro 10.000. La ragione non sta nel dispositivo in sé, quasi identico nei due casi. La vera differenza la fa la perforazione e la costruzione dei pozzi per il prelievo e immissione del calore nel terreno, il cui costo complessivo alla fine si aggira da solo intorno ai 15-20.000 euro.

Un’azienda britannica, Kensa, specializzata in PdC geotermiche, ha però avuto una idea interessante: e se invece di fare perforazioni singole per ogni utente, se ne facesse solo una, ma abbastanza grande da servire tutte le abitazioni di una strada, ognuno dotata della propria PdC individuale?

In questo modo si eviterebbe di moltiplicare permessi e studi geologici, mentre si otterrebbe un prezzo più vantaggioso anche per lo scavo del pozzo, visto che gran parte dei costi di perforazione dipendono dal tempo di impiego di macchinari e del personale specializzato necessario per ogni nuovo singolo impianto.

“La barriera più grande per le PdC geotermiche è l’elevato costo iniziale dell’infrastruttura”, spiega Lisa Treseder, direttrice business di Kensa. “Ma questa infrastruttura nel terreno è costituita da tubature in plastica, prive di parti in movimento, e quindi di manutenzione, con una vita stimata di 100 anni, perfette per investimenti privati collettivi di lungo termine”.

Per testare questo modello di PdC con perforazioni in comune, Kensa ha realizzato in Cornovaglia Heat the Streets, tre progetti (finanziati dalla Ue, prima della Brexit) in tre diverse situazioni abitative: un nuovo condominio, un condominio esistente di edilizia pubblica e le case lungo una strada privata.

“Nel ‘caso stradale’ i pozzi necessari sono stati scavati a 110 metri di profondità e collegati con gli utenti da tubature orizzontali, che convogliano nelle loro PdC la miscela di acqua e antigelo carica del calore del terreno”, spiega Treseder. “Nelle PdC il fluido fa evaporare un liquido a basso punto di ebollizione, il cui vapore viene poi fatto condensare per compressione in uno scambiatore di calore, così che ceda il suo calore latente all’acqua per il riscaldamento domestico”.

La perforazione è stata effettuata sotto la strada pubblica comune. L’azienda si occuperà della gestione dei pozzi, mentre i residenti pagheranno una tariffa fissa di circa 60 sterline al mese per l’uso della loro quota di fluido.

“Abbiamo così decarbonizzato in un colpo tutte le abitazioni di una strada, in un luogo dove non sarebbe stato possibile fare perforazioni individuali per mancanza di spazio nelle aree circostanti a ogni singola casa”, spiega la direttrice. “Tuttavia, non è stato semplice: in casi come questi bisogna mettere d’accordo decine di proprietari diversi, ottenere le autorizzazioni per scavare sotto le strade e, infine, districarsi nel groviglio di cavi e tubi già esistenti nel sottosuolo urbano”.

Per le singole famiglie il costo finale non è stato poi così conveniente: sommando quello della PdC individuale al non piccolo canone mensile per l’uso della perforazione comune, oltre al costo dell’elettricità, si arriva a una cifra non troppo distante dal precedente utilizzo del metano per il riscaldamento.

Secondo Kensa, questa soluzione al momento sarebbe conveniente solo se affiancata da incentivi pubblici, oppure da una riduzione delle tariffe elettriche per questi usi “verdi”.

“Invece il modello funziona molto bene per i condomini in costruzione e le case popolari: in questi casi si lavora con un unico decisore, realizzando le perforazioni nelle pertinenze del condominio stesso e con pompe di calore condominiali; così si abbassa decisamente la spesa per il singolo utente. E infatti questa esperienza sui condomini sta già interessando molti costruttori, tre dei quali ci hanno chiesto di replicarla per i loro edifici”, conclude Lisa Treseder.

Ma il “modello stradale” viene portato avanti su scala molto più ampia negli Usa, con un progetto pilota da 10 milioni di dollari dell’azienda energetica Eversource: un sistema di PdC geotermiche, collegate ai pozzi da una rete di tubi posti sotto le strade, fornirà riscaldamento e raffrescamento a 37 edifici della città di Framingham, in Massachusetts.

Se funzionerà bene, sia in termini di soddisfazione dei clienti sia di ritorno economico, l’azienda statunitense ritiene che potrà essere l’inizio di una vera rivoluzione nella climatizzazione delle abitazioni americane.

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