Pochi fondi per il teleriscaldamento efficiente e rinnovabile. Per il governo meglio le reti gas

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Nonostante l'impatto del caro energia su cittadini e imprese si continua a puntare sul gas. Eppure c'è spazio anche per il TLR, soprattutto in aree non metanizzate e di montagna. Con Walter Righini, presidente Fiper, abbiamo parlato delle opportunità di questa soluzione e della risorsa biomassa.

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Diverse piccole e medie industrie rischiano la chiusura o un forte ridimensionamento dell’attività a causa dei recenti rincari dell’energia elettrica e del gas.

Ci sono casi di cantine che non riescono a imbottigliare per un forte rallentamento delle industrie vetrarie che stanno subendo l’incidenza del caro bolletta, oppure industrie del tessile che si trovano con spese energetiche triplicate nell’arco di poche settimane, così come quelle dell’agroalimentare.

Sono solo alcuni degli esempi nel mondo delle Pmi dell’impatto che sta avendo il costo di luce e gas sul nostro sistema di imprese.

Qualcuna si sta attrezzando per trovare soluzioni tecnologiche (interventi di efficientamento e rinnovabili) in grado di abbattere in modo stabile almeno del 20-30% i costi energetici; altre chiedono aiuti statali che non potranno però che sterilizzare provvisoriamente il peso dell’import di fonti fossili che ha contraddistinto la “non politica energetica” di questi ultimi anni, peso che continuerà in futuro se non cambiamo il modello energetico.

Da Confindustria, intanto, ci fanno sapere entusiasti che il governo ha un piano: estrarre più gas dai nostri pozzi invece di aumentare la sua importazione! I numeri: forse anche 8 miliardi di metri cubi in più tra un paio di anni per la modica spesa di 1,5 mld di euro. Ma questo gas ce lo regaleranno o avrà un prezzo di mercato? È ovvio che la prima ironica opzione non è nemmeno da considerare.

E poi per quanto tempo riusciremo a mungere questi giacimenti che nel 1997 davano 19 mld di mc e nel 2020 appena 4 mld? Diciamo pure che questi “nostrani” 7-8 miliardi di mc/anno, semmai dovessero arrivare tutti all’Italia (cosa non garantita da nessuno), coprirebbero una ventina di giorni di consumo nazionale all’anno.

Se questa è una delle strategie per la transizione energetica, come quella di abbindolare i cittadini con le magnifiche opportunità offerte dal nucleare, il governo e il ministero in questione dovrebbe rispondere direttamente a un paese che sta rischiando grosso con questa crisi.

Servono soluzioni rapide e ben costruite. Ogni tentativo di ritardarle deve essere considerato colpevole.

Una delle battaglie da intraprendere è di non garantire più nessun ecobonus o superbonus che incentivi l’uso del gas o di altre fonti fossili (come il Gpl) e, dove è possibile intervenire per sigillare il contatore del metano o rottamare il serbatoio del Gpl sostituendo un vecchio modo di riscaldarsi con tecnologie pulite come pompe di calore, moderne caldaie/stufe a biomassa, solare termico e fotovoltaico, puntando al contempo all’efficientamento dell’involucro edilizio.

Si potrebbe fare già su un parco di oltre 9 milioni di abitazioni residenziali (case mono e bifamiliari) oltre ai piccolissimi condomini. E di queste oltre 2 milioni e mezzo non sono metanizzate.

Non vanno però in questa direzione, ad esempio, le scelte dell’attuale governo come quella di richiedere di estendere e potenziare le reti gas nei comuni già metanizzati e realizzarne di nuove in quelli non metanizzati appartenenti alle zone climatiche E-F, quelle di montagna e scarsamente popolate per essere più chiari.

Investimenti considerati idonei secondo una analisi costi-benefici governativa che, di fatto, scaricherà sui consumatori le sicure perdite economiche.

Alternative? Tanto per dirne una, tra le tante, il teleriscaldamento efficiente, un sistema che utilizza il 50% di fonti rinnovabili o il 50% calore di scarto o il 75% di calore da cogenerazione ad alto rendimento o il 50% di una combinazione delle precedenti fonti.

A questi sistemi però il Pnrr riserva in totale appena 200 milioni di euro da spendere entro il 2026, per uno sviluppo di 330 km di reti e la realizzazione di impianti per soli 360 MW termici.

“Forse dovremmo aumentare di dieci volte questi scenari, dando una corretta ripartizione degli investimenti con almeno il 50% della spesa alle aree non urbane. Tuttavia, un altro problema sta nei tempi troppo stretti per la presentazione dei progetti, ma anche per la loro realizzazione visto che in aree di montagna in inverno è molto complessa l’esecuzione dei lavori”, ci ha spiegato Walter Righini, presidente di Fiper, la Federazione di Produttori di Energia da Fonti Rinnovabili che rappresenta i produttori di biomassa legnosa, i gestori di impianti di teleriscaldamento e biogas/biometano alimentati da fonti rinnovabili.

Ricordiamo che la Fiper aveva segnalato a settembre alla Commissione europea che la normativa italiana andrebbe a violare quella europea, spingendo ad ogni costo la nuova metanizzazione nelle aree montane, principalmente dell’arco alpino, a detrimento del teleriscaldamento, incluso quello alimentato a biomassa legnosa, ostacolando così gli obiettivi europei sulle rinnovabili.

La scarsa attenzione per il teleriscaldamento a biomassa, alla luce degli attuali costi dell’energia, dovrebbe essere rivista anche alla luce del caro bollette. Ci dice Righini: “in questi impianti nel corso dell’attuale stagione invernale non si è registrato alcun aumento delle tariffe per la fornitura di calore alle utenze allacciate, se non nei casi il cui prezzo di riferimento era ancorato al prezzo del gas”.

Oggi in Italia ci sono in esercizio 331 reti di teleriscaldamento (TLR), con una estensione di 4.800 km e una potenza termica di 9,3 GW. Di questi il 72% sono reti di TLR efficiente. Questi sistemi nel complesso riescono a riscaldare una volumetria pari a 375 milioni di metri cubi.

Secondo Fiper l’utilizzo della biomassa locale in impianti di teleriscaldamento, contrariamente a quanto si creda, ha un anche impatto ambientale ed economico positivo.

Oltre al fatto di utilizzare impianti di generazione altamente efficienti e con bassissime emissioni, persino inferiori a quelli che bruciano metano, va detto che la risorsa nazionale sarebbe ampiamente sfruttabile, senza intaccare il patrimonio boschivo, che anzi richiede una maggiore cura e manutenzione, evitando così all’Italia quel pessimo primato di essere il maggiore importatore mondiale di legna da ardere.

Qui i numeri possono smentire alcune falsi miti sull’energia da biomassa che secondo alcuni causerebbe deforestazione.

L’area dei boschi italiani è cresciuta in venti anni del 20%. Degli attuali 10,8 milioni di ettari di boschi (il 36% dell’intero territorio nazionale) circa l’80% è disponibile per il taglio del legname.

L’incremento annuale della biomassa legnosa è di 4,10 metri cubi per ettaro, ma il prelievo è oggi inferiore a 1 mc/anno, tra i più bassi in Europa.

Come detto, utilizzare residui legnosi per la filiera produttiva ed energetica, spiegano da Fiper, avrebbe ricadute positive non solo a livello ambientale, ma anche a livello economico e occupazionale.

Per l’utilizzo energetico si possono includere anche gli scarti delle segherie, visto che circa il 30% della prima lavorazione diviene, appunto, scarto.

Inoltre, si può includere la biomassa agricola presente sul territorio nazionale proveniente dalle potature (viti, ulivi, frutteti, ecc.) stimata in oltre 5,6 milioni di tonnellate/anno. Si tratta di biomasse residuali che spesso vengono bruciate in campo con il peggioramento della qualità dell’aria.

Altra possibile fonte di approvvigionamento locale è la biomassa legnosa derivante dalle potature del verde urbano di parchi, viali, giardini, ma attualmente destinata integralmente al compostaggio.

Alla luce di questo potenziale della risorsa e delle opportunità offerte dal teleriscaldamento efficiente, Righini ritiene importante che si possa riallocare una parte del gettito derivante dalla bolletta del gas destinato al fondo di efficienza energetica alla misura del Pnrr specifica per lo sviluppo di reti di teleriscaldamento efficiente.

In questo modo si potrebbe attivare un importo finanziario complessivo, pubblico-privato, per le opere realizzabili pari a circa 1,2 mld di euro, quindi almeno sei volte quanto previsto dal Pnrr.

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