Bocciato da due referendum e dagli esami sui costi, il nucleare, ormai in declino ovunque, è tornato in auge nel dibattito italiano.
“Un ritorno improbabile e poco credibile, anche se si parla di nucleare di quarta generazione”, spiega Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Ma allora perché se ne parla?
La nostalgia dell’atomo è figlia di un vecchio modo di pensare l’energia, dell’influenza delle lobby e viene disseminata dalle parole di un ministro, Cingolani, che da quando si è insediato non ha perso occasione per parlare a tv e giornali del “sogno lontano del nucleare a fusione” e “dell’utilizzo dei mini reattori nucleari a fissione” (si veda anche il nostro articolo sul tema).
Inoltre, come sottolineava su queste pagine Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, la ripresa del dibattito sull’atomo nel nostro Paese ha un’origine tutta francese: la pressione per far classificare l’energia nucleare nella tassonomia europea tra le tecnologie “verdi” e, dunque, renderla appetibile a investimenti privati “sostenibili”.
Secondo il nostro ministro per la Transizione ecologica “se la Commissione europea dovesse considerarla una fonte di energia pulita, sarebbe nostro dovere fare una discussione e prendere in considerazione il mini nucleare. Anche qui occorrerebbe fare un’analisi accurata dell’impatto ambientale, dei costi e del rapporto vantaggi e svantaggi, senza nessuna ideologia“.
Ma ormai anche gli esperti di energia nucleare sanno che la rivoluzione eolica e fotovoltaica di oggi renderà poco attraente anche l’attesa per l’agognata fusione nucleare prima ancora che ne sia stato dimostrato il funzionamento (vedi QualEnergia.it “Non aspettiamo la fusione nucleare“).
“Per valutare sicurezza, rischi, impatti e costi reali di questi impianti – spiega Ronchi – si dovrebbe disporre delle analisi di almeno una centrale in condizioni di reale funzionamento, tenendo conto sempre che le centrali di quarta generazione continuerebbero ad usare la fissione dell’uranio, che genera radioattività e rifiuti radioattivi ad alta attività che l’Italia non è in grado di stoccare, visto che ancora oggi non è stato localizzato neppure un sito”.
“Per avere solo un terzo della potenza nucleare installata in Francia – insiste il Presidente della Fondazione – servirebbero in Italia 100 reattori di 4a generazione da 200 MW, cioè un reattore nucleare in ogni provincia italiana”.
Inoltre, ai nostalgici del nucleare, Ronchi ricorda i costi: l’energia prodotta dall’atomo costa 150 dollari per MWh, contro i 50 dollari dell’eolico e i 55 del fotovoltaico.
Oltre ai rischi e ai costi, investire nel nucleare ad oggi non servirebbe neanche alla decarbonizzazione: “Fino al 2030 ed oltre – conclude Ronchi – non vi sarà alcuna centrale nucleare di 4a generazione funzionante. Nel prossimo decennio, decisivo per ridurre le emissioni di gas serra, non potranno quindi dare alcun contributo. E anche nel decennio successivo, viste le difficoltà per localizzare, realizzare e finanziare questi impianti, il loro apporto alla decarbonizzazione sarà modesto, per non dire ininfluente”.