Scrivi

Non aspettiamo la fusione nucleare

La fusione nucleare ha fatto nuovamente capolino nel dibattito energetico. Ma come stanno veramente le cose ce lo spiega un esperto del settore nucleare, tecnico e ricercatore in istituti italiani ed esteri, Giuseppe Cima.

ADV
image_pdfimage_print

Pochi paesi investono ancora in centrali a fissione, la forma tradizionale dell’energia nucleare.

Oltre alla forte avversione del pubblico per questi impianti ci sono buone ragioni economiche perché sia così. C’è però un’altra forma di energia nucleare, la fusione termonucleare, quella che alimenta le stelle.

La fusione ad alta temperatura di atomi leggeri è una reazione nucleare molto diversa dalla fissione dove atomi pesanti, come l’uranio, si scindono anche a temperatura ambiente.

La produzione di energia da fusione è stata perseguita, dalla seconda guerra mondiale in poi, in eccellenti laboratori nazionali e università di tutto il mondo, senza però dare una chiara indicazione del suo potenziale per la produzione energetica.

Cos’è la fusione a “confinamento magnetico” e i suoi inconvenienti

Sulla terra ci sono due modi per bruciare il combustibile nucleare della fusione: farlo reagire molto rapidamente prima che il gas si raffreddi espandendosi, come avviene nella bomba H, o mantenere il gas caldo isolato dal mondo esterno con un campo magnetico.

Per produrre energia elettrica con il metodo della bomba il ritmo di ripetizione delle micro-esplosioni deve essere molto elevato. Con un gigantesco budget giustificato dallo sviluppo di nuove armi, un esperimento USA di fusione laser, il National Ignition Facility, ha dimostrato quanto sia difficile produrre una micro-esplosione una volta al giorno.

Una centrale elettrica richiederebbe di farlo centinaia di volte al secondo per anni, un obbiettivo per ora ritenuto proibitivo in pratica.

Dall’inizio di queste ricerche la maggior parte degli sforzi è stata dedicata al confinamento del combustibile gassoso con campi magnetici.

Dopo 70 anni di tentativi lo schema che ha mostrato le migliori prestazioni è il TOKAMAK, un’invenzione russa.

ITER, un TOKAMAK attualmente in costruzione nel sud della Francia (foto in alto) per dimostrare la fattibilità della fusione, non un reattore capace di produrre energia con continuità, è un progetto così costoso, 30 miliardi di euro, che la sua costruzione sta richiedendo il contributo finanziario della maggior parte delle nazioni sviluppate.

Il reattore, a forma di ciambella, ha un diametro di 30 metri e un’altezza di 20. È un dispositivo estremamente complesso, molto più sofisticato di un reattore nucleare a fissione altrettanto potente, e circa 10 volte più grande in volume.

Il suo nucleo pesa più di 100mila tonnellate e le ultra solide fondamenta richieste da ITER hanno richiesto 200mila metri cubi di cemento.

Ecco il primo inconveniente della fusione nucleare, le inevitabili grandi dimensioni di un reattore a fusione ne rendono impossibile una produzione in serie; è necessariamente un “grande impianto” con tutte le sue specificità e costi organizzativi.

L’attuale panorama della concorrenza è caratterizzato da una vasta produzione industriale di generatori relativamente piccoli: turbine a gas naturale da 50-100 MW, mulini eolici da pochi MW, pannelli solari fotovoltaici da poche centinaia di watt.

Questi generatori possono essere costruiti efficientemente in fabbrica, trasportati sul luogo di impiego e, ancora più interessante, la velocità del loro sviluppo industriale è stata inversamente proporzionale alla potenza del singolo modulo.

In aggiunta il costo dell’elettricità per fotovoltaico ed eolico (€/kWh) origina solo dal costo del capitale investito nel generatore e nelle sue apparecchiature ausiliarie, il combustibile non costa nulla.

La materia prima della fusione sarebbe sostanzialmente gratuita solo per combustibili avanzati, ma non per i reattori derivati da ITER, basati sulla miscela di Deuterio e Trizio, due rari isotopi dell’idrogeno.

A causa delle sue grandi dimensioni e complessità è molto difficile immaginare che un reattore a fusione TOKAMAK possa essere meno costoso del già poco attraente reattore a fissione convenzionale. Stime dettagliate pongono il costo del kWh a più di 12 centesimi, solo per il costo d’impianto e prima di conoscere i dettagli di un reattore funzionante.

D’altra parte, l’energia elettrica commercializzata da generatori fotovoltaici ed eolici non sovvenzionati è già venduta a prezzi compresi tra 2 e 7 ¢ent€/kWh, con possibilità di ulteriori risparmi. Queste fonti sono intermittenti, ma il costo aggiuntivo dello stoccaggio, per quanto prodotto e non utilizzabile in tempo reale, comporterebbe una frazione del costo dell’energia.

C’è un secondo inconveniente molto rilevante legato alle grandi dimensioni del reattore a fusione: il suo tempo di sviluppo.

ITER, l’installazione che dovrà dimostrare l’effettiva potenzialità della fusione, sperimenterà con il vero combustibile non prima degli anni ’40 e si spera arrivi a conclusioni utili verso la metà del secolo.

Ciò implica che questa fase sperimentale, non un prototipo di reattore, poiché ITER non potrà produrre energia, avrà richiesto circa 50 anni e dovrà necessariamente essere seguita da ulteriore sperimentazione di un vero e proprio reattore.

L’attuale consumo di energia primaria mondiale è superiore a diecimila GW, per fare una differenza sul totale si dovrebbero implementare migliaia di reattori da 1 GW, la dimensione tipica di un già gigantesco Tokamak.

Quanto tempo sarà necessario per raggiungere questo obiettivo da quando ITER avrà risposto al primo ciclo di domande?

Oltre ad una pletora di questioni progettuali irrisolte la fusione magnetica pone dunque un paio di problemi che sono entrambi conseguenza delle enormi dimensioni del nucleo del reattore: un elevato costo del kWh e un tempo di sviluppo molto lungo.

Perché il reattore a confinamento magnetico dev’essere grande

La dimensione minima di un reattore a fusione termonucleare è causa di gravi inconvenienti. Ma è proprio necessario che sia così grande?

Perché una combustione si sostenga il calore prodotto dev’essere maggiore del calore disperso, diversamente il fuoco si spegne. Il calore prodotto è proporzionale alla densità di combustibile. Cosa la limita in un TOKAMAK?

L’alta temperatura della fusione contribuisce alla pressione massima che una struttura meccanica può sopportare in misura inversa alla densità di combustibile. La densità del gas reagente è quindi limitata a valori milioni di volte più piccoli di quella dell’aria che respiriamo.

In un reattore che si auto-sostiene, per compensare alla bassa densità di reazioni, il volume totale dev’essere molto grande. Con il confinamento della sola forza di gravità, il caso del sole, la dimensione minima è gigantesca, con l’aiuto del più intenso campo magnetico realizzabile, in pratica, la dimensione minima diventa quella di una casa di diversi piani.

Incidentalmente questa è anche la ragione fondamentale per la quale la fusione termonucleare è così sicura, la ragione per la quale il “nocciolo” non può fondere. Non può fondere perché è quasi inesistente, il combustibile è sempre presente nel reattore in piccolissime quantità.

Questo non vuol dire che il reattore a fusione sia intrinsecamente non radioattivo. Al contrario dei reattori a fissione, il cui combustibile è solido, la bassa densità del plasma permette ai prodotti delle reazioni, i neutroni, di investire parte delle strutture di confinamento rendendole istantaneamente fortemente radioattive. Anche in un esperimento come ITER decine di migliaia di tonnellate di materiali che circondano il plasma diventerebbero fortemente radioattive nei primi secondi di funzionamento.

La competizione ha vinto

Per ora le attuali energie rinnovabili sono notevolmente meno costose, e quindi più adatte al processo di decarbonizzazione in corso di un prevedibile reattore a fusione nucleare.

Qualcosa del genere è già accaduto in USA in anni recenti con la deregolamentazione del settore elettrico voluta dall’amministrazione Reagan, la ragione fu l’avvento delle centrali a gas naturale.

Lo sviluppo delle grandi turbine per aviazione aveva reso possibili generatori di elettricità a gas naturale efficienti, poco costosi, prodotti in fabbrica, che si sono rivelati imbattibili. In molti casi gli investitori nelle centrali a carbone fecero bancarotta ma l’industria americana trasse vantaggio da una tecnologia più recente e meno costosa.

Oggi aggiungeremmo anche: molto più pulita.

Allora era troppo presto per quella rivoluzione eolica e fotovoltaica che ora rende obsoleta la fusione nucleare prima ancora che ne sia stato dimostrato il funzionamento.

ADV
×