Mercati di gas e greggio sull’allerta per la crisi in Medio Oriente

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Lo scontro fra Hamas e Israele sta provocando rincari più pronunciati dei prezzi del gas rispetto a quelli del greggio. Oltre ad altre criticità internazionali, il rischio di un'escalation militare in Medio Oriente rende tutti i mercati degli idrocarburi molto nervosi.

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I prezzi energetici sono saliti sulla scia del drammatico conflitto scoppiato fra Hamas e Israele, anche se l’intensità dei rialzi varia in base al tipo di fonte energetica.

Il gas trattato al mercato di riferimento europeo, il TTF, è rincarato in misura molto maggiore rispetto al Brent, il greggio di riferimento per il vecchio continente. In Italia prezzo del gas e tensioni internazionali, oltre ad altri possibili rischi e variabili, hanno fatto schizzare il PUN del 16 ottobre a 175,76 €/MWh.

I future ICE Brent per il mese di dicembre venivano scambiati venerdì 13 quasi a 91 $ il barile, in rialzo del 4,5% rispetto agli 86 $/barile del 12 ottobre e di oltre il 6% rispetto agli 84,58 $ del giorno prima l’attacco di Hamas contro Israele.

Per contro, il future sul gas per consegna il prossimo mese, cioè a novembre, è rincarato del 43% a quasi 54 euro per MWh nella settimana che è quasi trascorsa rispetto alla sessione precedente all’attacco di Hamas, salendo del 4% in un giorno.

Ciò indica che i trader differenziano le loro attese e i loro timori in base alle fonti energetiche, rimanendo comunque relativamente incerti rispetto all’evolversi della situazione geopolitica internazionale

Mercato del greggio relativamente indifferente, ma fino a quando?

I mercati petroliferi hanno tratto sostegno dalle dichiarazioni del ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, secondo cui la riduzione volontaria della produzione di greggio del Regno continuerà per tutto il tempo necessario, quindi potenzialmente anche nel 2024.

I prezzi del greggio si sono rafforzati anche dopo che gli Stati Uniti e il Qatar hanno concordato di impedire all’Iran di accedere a 6 miliardi di dollari di fondi recentemente trasferiti dalla Corea del Sud. Sebbene, infatti, il petrolio iraniano sia soggetto a sanzioni, di recente è affluito in volumi significativi in Cina e altrove, alleggerendo i mercati petroliferi sulla scia delle restrizioni imposte al petrolio russo.

Gli operatori rimangono attenti a eventuali segnali di un ulteriore giro di vite contro l’elusione delle sanzioni sulle esportazioni di greggio iraniano verso la Cina, stretta che potrebbe spingere i prezzi petroliferi ulteriormente al rialzo.

Se l’Iran, infatti, dovesse essere coinvolto attivamente nel conflitto con Israele, gli Stati Uniti e gli altri paesi sarebbero costretti a rafforzare l’applicazione delle sanzioni sul petrolio iraniano, con il risultato di una riduzione dell’offerta iraniana e un maggiore rincaro dei prezzi.

Per ora, comunque, i tagli alla produzione da parte dell’Arabia Saudita, di altri membri dell’Opec e della Russia significano che esiste una notevole capacità di riserva nel caso in cui l’offerta di petrolio iraniano venga ridotta. Rimane tuttavia incertezza su come Riyadh potrebbe rispondere, viste le recenti tensioni con gli Stati Uniti.

Mercati del gas e prezzi volatili

Nel frattempo, il giacimento di gas Tamar al largo di Israele è stato chiuso in via precauzionale, cosa che ha contribuito ulteriormente al rialzo dei prezzi del gas di riferimento europeo TTF, già in fibrillazione a causa del sabotaggio avvenuto nei giorni precedenti al gasdotto fra Finlandia ed Estonia e degli scioperi in Australia.

Questi movimenti dei mercati del gas sono gli ultimi in ordine di tempo di una serie molto più altalenante e impattante avvenuta dopo la fine della pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

I prezzi non sono tornati alla loro media storica precedente a questi eventi, ma comunque sono scesi drasticamente da un picco di oltre 300 euro/MWh nell’agosto del 2022. L’Europa al momento può contare su scorte di gas quasi del tutto piene e superiori alle medie storiche in vista dell’inverno, risultando quindi abbastanza protetta nel breve-medio termine.

Ciò non toglie che i nuovi rincari, pur relativamente contenuti rispetto ai picchi del passato recente, rendano nervosi non solo i mercati, ma anche imprese e consumatori, soprattutto se ci trovassimo di fronte a un inverno rigido, una volta che le scorte invernali del continente si saranno assottigliate.

Se i mercati petroliferi stanno facendo un po’ spallucce al conflitto tra Israele e Hamas, almeno per quanto riguarda il suo impatto sui prezzi del greggio, gli operatori sembrano più preoccupati delle minacce alle forniture di gas, non solo in Europa, ma un po’ in tutto il mondo, vista anche la maggiore internazionalizzazione di questo mercato nell’ultimo anno circa.

“I prezzi del gas sono aumentati a causa della diminuzione dell’offerta, ma, cosa probabilmente più importante, dei possibili rischi per l’offerta. Forse la preoccupazione maggiore è che il conflitto Hamas-Israele possa trasformarsi in un conflitto regionale“, ha dichiarato Edward Gardner, economista delle materie prime presso Capital Economics.

Il bacino di Tamar genera circa la metà degli oltre 20 miliardi di metri cubi di gas prodotti annualmente da Israele. Sebbene la maggior parte di questo gas venga consumato all’interno del Paese, circa un terzo viene esportato tramite gasdotti in Egitto e sui mercati globali, e poi trasformato in gas naturale liquefatto (Gnl), prendendo la via anche dell’Europa.

“Con Tamar fuori servizio, Israele farà fatica a continuare a esportare gas in Egitto tramite gasdotto. Ciò significa che è improbabile che le esportazioni di Gnl dell’Egitto verso il mercato globale si riprendano di molto dopo la pausa estiva”, ha detto Gardner.

Anche la produzione dell’altro grande giacimento di gas israeliano, il Leviathan, vicino al Libano, potrebbe arrestarsi se il conflitto in Medio Oriente dovesse estendersi.

Allo stesso tempo, si teme che una perdita individuata domenica su un gasdotto del Mar Baltico tra Finlandia ed Estonia possa essere il risultato di un sabotaggio.

“La perdita del gasdotto baltico alimenta il rialzo dei prezzi più che la perdita di fornitura di gas al mercato”, ha dichiarato Tom Marzec-Manser, responsabile dell’analisi del gas presso ICIS, una società di ricerche del mercato energetico. La mancanza di chiarezza sulle cause della fuga di gas dal gasdotto ha creato “molto nervosismo” tra gli operatori, ha dichiarato.

Anche le minacce di sciopero da parte dei lavoratori australiani degli impianti di Gnl gestiti dalla Chevron stanno aumentando le preoccupazioni per l’approvvigionamento globale. I lavoratori sono in causa con Chevron per le condizioni salariali presso gli impianti di Gorgon e Wheatstone, che generano circa il 7% delle forniture mondiali di Gnl.

La situazione nel suo complesso evidenzia, insomma, come i prezzi europei del gas siano sempre più influenzati dal mercato globale del Gnl, nonostante il vecchio continente sia oggi molto meno dipendente dal gas russo.

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