Ma veramente siamo disposti a “fare come Greta”?

Quanti di noi sarebbero disposti a modificare i propri comportamenti per una seria lotta al cambiamento climatico? Ce lo spiega una ricerca condotta in quattro ricchi paesi europei da un sociologo dell’Università del Sussex.

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Sarebbe veramente paradossale se, dopo valanghe di allarmi e moniti dalle più alte autorità scientifiche, morali e politiche del mondo, a tirarci fuori dai guai climatici alla fine fosse una 16enne.

Nessun scrittore avrebbe potuto immaginare una storia simile, anche se Elsa Morante già diede a una sua raccolta di poesie il titolo adatto: «Il mondo salvato dai ragazzini».

Parliamo ovviamente della svedese Greta Thunberg, che con il suo inflessibile “Sciopero scolastico per il clima”, con tanto di sit-in in solitaria per mesi di fronte al Parlamento di Stoccolma, è pian piano diventata un personaggio globale e sta ora trascinando dietro di sé milioni di coetanei in tutto il mondo, che finalmente sembrano essersi accorti che è il loro futuro ad essere a rischio.

Greta continua a farsi ricevere in Parlamenti e consessi di potenti, per maltrattarli, sottolineando la loro “immaturità” e incapacità di affrontare il problema climatico, e per questo riceve calorosi applausi da parte di chi scambia la sua protesta per l’ennesimo attacco alla “Casta”, cioè contro una cricca che perfidamente starebbe facendo scaldare il pianeta per i suoi loschi interessi, mentre il popolo e del tutto innocente e felicissimo di dare il suo contributo a risolvere il problema climatico.

La verità, che la stessa Greta cerca di far capire, con il suo esempio di neovegetariana, che rinuncia anche a trasporti e consumi ad alto contenuto di CO2, è che nel caso del cambiamento climatico siamo tutti, chi più chi meno, sia vittime che carnefici: ognuno di noi ha la sua pesante fetta di emissioni sulle spalle, che cresce ogni volta che beneficiamo del cibo, consumi, servizi e trasporti di alta qualità e bassi prezzi, che l’attuale sistema energetico consente.

Questo i politici lo hanno capito benissimo, e non è per una loro intrinseca malvagità o perché “servi delle lobby dei fossili” (o almeno non solo) che trascinano i piedi verso le soluzioni, facendo infuriare Greta, ma perché sanno che il giorno dopo che iniziassero a fare veramente sul serio, per esempio tassando il carbonio quanto basta per “far cessare le emissioni entro il 2025”, come chiedono i gruppi inglesi sospinti dal movimento Extinction Rebellion, si ritroverebbero con le piazze piene di consumatori infuriati e la poltrona rimossa sotto di loro in pochi minuti.

Del resto Emmanuel Macron ci ha provato ad abbozzare una politica fiscale climatica, tassando un po’ di più il gasolio, solo per ritrovarsi con i Gilet Jaune in strada a bloccare la Francia.

Che le persone, in realtà, non siano molto disposte a fare i sacrifici che una seria lotta al cambiamento climatico richiederebbe, lo conferma anche una ricerca apparsa su Energy Research and Social Science, e condotta dal sociologo Benjamin Sovacool, dell’Università del Sussex, che ha intervistato a questo proposito un campione rappresentativo di oltre 300 cittadini di Francia, Germania, Norvegia e Svezia, di nazioni cioè, ad alto reddito e fra le più convinte della necessità di contenere il cambiamento climatico.

Sovacool e colleghi sono partiti dal fatto che i consumi dei privati, direttamente o indirettamente, sono responsabili del 72% delle emissioni di gas serra, e quindi non si può evitare di discutere i loro comportamenti quotidiani, se si vuole fare una seria politica climatica.

Hanno quindi costruito una mappa dei consumi tipici delle famiglie e delle emissioni connesse nel campione considerato, calcolando che i trasporti pesano per il 34% della CO2 fossile, il cibo per il 30%, i consumi domestici per il 21% e gli altri consumi e servizi per il 15%, e da ciò hanno dedotto i tagli minimi che ogni europeo dovrebbe fare in questi settori, per arrivare al 2030 al rispetto degli impegni presi con il trattato di Parigi del 2015.

Infine, sono state elaborate 65 proposte concrete per tagliare le emissioni delle famiglie come rinunciare all’uso dell’auto, riciclare tutto, diminuire i consumi di carne o tagliare i voli aerei. Proposte che sono state sottoposte ai componenti dei campioni nazionali per verificare quanto effettivamente siano disposti a seguirle per “salvare il clima”.

«I risultati sono stati abbastanza sconfortanti – ammette Sovacool – viste che più le misure erano efficaci, e meno venivano accettate. Per esempio solo il 5% circa era disposto a rinunciare all’auto privata o a tagliare i voli aerei, mentre il 60% si dichiarava a favore del “guidare in modo più ecologico” o “andare di più in bicicletta”».

Nel grafico (clicca per ringrandire) alcune delle proposte per il cambiamento, in funzione del loro impatto a livello di emissioni e della loro accettazione sociale.

Stessi risultati negli altri settori: diventare vegetariano era accettabile per il 2% del campione, mentre il 40% avrebbe ridotto al massimo di un terzo i consumi di carne e il 65% era disposto a usare alimenti con meno imballaggi e ridurre gli sprechi.

Solo il 15% avrebbe poi comprato una casa ad alta efficienza energetica, mentre il 40% era disposto ad abbassare di 1 °C il termostato e il 55% a comprare elettricità “verde”.

E persino scelte non particolarmente impegnative, come scegliere abbigliamento, oggetti per la casa o dispositivi elettronici, in base alle emissioni connesse alla loro produzione, interessava solo poco più della metà del campione.

«In totale, le scelte a cui il campione era disposto, coprivano solo il 50% delle riduzioni di CO2 necessarie», sintetizza il sociologo.

«In generale sembra mancare la percezione dei rapporti fra rischio climatico e i comportamenti di tutti i giorni, come guidare per andare al lavoro, o comprare una bistecca. Inoltre entrano in gioco forti fattori immateriali, come prestigio e identità, connessi a certe scelte nel campo dei trasporti o del cibo, il che rende il cambiarle ancora più difficile».

Insomma, sembra che per quanto riguarda il problema del clima non ci sia una diffusa cognizione della sua magnitudine e complessità e, quindi, di cosa comporti per ognuno di noi risolverlo. Pare più che altro che si speri che mezze misure bastino e che i veri sacrifici li faccia “qualcun altro”.

«Certo, siamo entrati con la nostra ricerca in un territorio tabù, che ben pochi politici hanno finora osato affrontare: quello dei cambiamenti nei comportamenti nella nostra vita privata, che tendiamo a considerare innocenti, garantiti e liberi»,  dice Socvacool.

«Ci sono state certo in Europa politiche climatiche “ad alto livello”. Per esempio per spingere le utilities a produrre più energie verdi o per far costruire case più efficienti, ma nessuno ha detto chiaramente che anche le scelte quotidiane devono cambiare profondamente. Ebbene, la nostra ricerca indica che se ci si aspetta che questi cambiamenti arrivino volontariamente nella misura necessaria, si resterà delusi».

E se non arriveranno volontariamente, toccherà alla politica far sì che arrivino in altro modo.

«In effetti abbiamo testato nel campione la possibilità che i cambiamenti proposti fossero obbligati da nuove leggi. E così abbiamo visto che ciò portava ad accettare cambiamenti più importanti rispetto a quelli volontari. Ma ciò avveniva soprattutto nel settore dell’alimentazione, mentre i cambiamenti forzati venivano rifiutati per i trasporti, quelli aerei soprattutto».

E allora come se ne esce?

«Secondo noi è indispensabile che si affronti il tema degli stili di vita, ma non colpevolizzando i cittadini o forzandoli con leggi draconiane. Così si rischiano reazioni pericolose e controproducenti», conclude Sovacool. «Occorre agire attraverso un intelligente mix di normative gradualmente più restrittive, incentivi al cambiamento, costruzione di infrastrutture che lo favoriscano e campagne di convincimento, che spingano via via a comportarsi in modo più sostenibile».

Ammesso, certo, che il clima sia così gentile da aspettare i nostri tempi, prima di andare fuori controllo.

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