La transizione energetica può avvenire senza drammi

La sostituzione delle fossili con le rinnovabili è un processo avviato che si autoalimenta. La tesi relativamente rassicurante di un economista presentata su Economic Modelling.

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Ai lettori di QualEnergia.it probabilmente sarà chiaro che tutto il benessere materiale che l’umanità o almeno una parte di essa ha guadagnato negli ultimi 200 anni, dipende dalla non scontata presenza nel sottosuolo terrestre di enormi quantità di combustibili fossili facilmente raggiungibili, grazie ai quali i progressi tecnici e scientifici hanno potuto essere applicati massicciamente nella vita reale.

Basti considerare, per esempio, che in assenza di carbone, navi e treni a vapore, alimentati a legna, avrebbero portato rapidamente a un disastroso disboscamento prima dell’Europa e poi del mondo, che si sarebbe arrestato solo con la caduta dell’ultimo albero, con conseguenze ecologiche inimmaginabili.

Un mondo così ecologicamente impoverito, forse, non avrebbe poi avuto abbastanza risorse per applicare le successive scoperte su fonti energetiche alternative a quelle basate sulla combustione, come l’idroelettrico, il nucleare o il solare.

Quindi, sia pure a malincuore, considerando i danni che petrolio carbone e metano hanno fatto a clima, ambiente e convivenza fra le nazioni, dobbiamo comunque ringraziarli per averci dato questi due secoli di “vita facile”, in cui abbiamo potuto anche investire pesantemente nella scienza e nella tecnologia, e avere oggi fra le mani anche alternative energetiche più sostenibili.

Purtroppo queste ultime (idroelettrico e nucleare a parte), sono arrivate quando ormai i fossili, grazie al loro prezzo basso, alla loro versatilità e a infrastrutture, finanza e tecnologie tarate su di essi, avevano occupato ogni nicchia, dai trasporti alla produzione elettrica, dalla fabbricazione di fertilizzanti, acciaio e cemento fino al riscaldamento domestico, producendo quindi una “dipendenza” dai fossili pressoché assoluta.

Ma questa dipendenza prima o poi, dovrà finire, perché, anche se non producessero danni ambientali e climatici, si tratta comunque di risorse finite, che la natura ha accumulato in decine di milioni di anni, e che noi siamo riusciti a far fuori in un milionesimo di quel tempo.

Il problema, quindi non è se, ma quando e come usciremo da questa dipendenza.

Secondo i sostenitori della teoria del “peak”, cioè dell’inevitabile aumento di prezzo a cui vanno incontro le risorse fossili, dopo che se n’è sfruttato il 50% delle riserve, il momento della “disintossicazione”, volenti o nolenti, è già arrivato, visto che per quanto riguarda il petrolio, le sue riserve “facili”, estraibili a basso costo, sono ormai oltre il picco, sostituite da petrolio molto più costoso (e inquinante) da sabbie bituminose, scisti, giacimenti marini profondi.

Se è così, paventano molti, il rischio è che il progressivo esaurimento delle riserve renda difficile soddisfare la domanda, così che il prezzo crescente dell’energia, trascini in alto il costo della vita, facendo mancare risorse a servizi essenziali come sanità, scuola, sicurezza, fino a un collasso economico.

Oppure si teme che si riesca sì a sostituire i fossili con energie alternative, ma che queste non siano in grado di coprire, in modo affidabile, economico e programmabile, abbastanza consumi energetici da garantire una qualità della vita accettabile.

Secondo l’economista Raul Barreto, dell’Università di Adelaide, in realtà, non c’è ragione di essere così pessimisti: la transizione energetica ha ottime possibilità di avvenire in modo non troppo traumatico, se svilupperemo abbastanza velocemente la produttività a delle fonti energetiche rinnovabili.

Questa conclusione Barreto l’ha illustrata in un articolo apparso su Economic Modelling, in cui ha mostrato i risultati di un suo modello economico, in grado di riprodurre questo passaggio epocale fra i due sistemi energetici (“Fossil fuels, alternative energy and economic growth”,

link in basso).

“Si tratta di una transizione che procede spontaneamente, alimentata dalla differenza fra le produttività, cioè costo per unità energetica, delle diverse fonti”, spiega. “Da una parte abbiamo le fonti fossili che diventano via via meno produttive, sia per l’esaurimento dei loro giacimenti sia per il caricarsi su di loro di oneri dovuti alla necessità di ridurre inquinamento e cambiamento climatico, dall’altra abbiamo le fonti sostenibili, che partono da una produttività assai bassa, essendo un tempo costose e poco produttive, ma che hanno rapidamente migliorato entrambi gli aspetti, diventando via via più competitive “.

La ragione di questo incrociarsi delle due produttività risiede proprio nella natura complementare di fossili e rinnovabili: le prime sono economiche e versatili, ma, ormai la loro efficienza è già stata ottimizzata al massimo, mentre la loro dipendenza da risorse finite li espone a un costo estrattivo crescente, le seconde richiedono investimenti iniziali più alti, anche per renderle versatili (basti pensare agli accumuli), ma non hanno limiti nelle fonti a cui attingono. Quindi il loro costo cala nel tempo, grazie all’aumento della loro produzione industriale e al miglioramento della loro qualità.

“Gli scenari catastrofici della fine dell’era dei fossili, che prevedono collassi economici delle società che dipendono da essi, non tengono conto di queste considerazioni di base. In realtà, come dimostra il modello che ho elaborato, quello che avverrà sarà una progressiva sostituzione delle fonti fossili, con quelle rinnovabili, via via che queste ultime diventeranno convenienti”.

E questo indipendentemente dalle ragioni ecologiche o dalla volontà della politica di favorire le “lobby dei fossili”, come dimostra il caso americano, dove nonostante due anni di “pro coal” Trump, l’uso del carbone continua a declinare e le rinnovabili a crescere.

La variabile cruciale, però, è il tempo. “Gli scenari di esaurimento delle risorse fossili, variano da 50 a 100 anni. Il mio modello mostra che anche se la crescita di produttività e versatilità delle fonti rinnovabili è scarsa o troppo lenta, non si ha nessun collasso economico. Però in questo scenario le rinnovabili restano sempre le “cugine minori” delle fonti fossili, affiancandole, senza però essere in grado di sostituirle. E quando le fossili verranno a mancare del tutto, i consumi energetici, e quindi la qualità della vita delle persone, che consentiranno non saranno all’altezza di quella degli anni d’oro dei fossili”.

Certo, nel mondo reale sappiamo che l’uso di rinnovabili eviterà catastrofi ecologiche o climatiche, ma i disastri “evitati” non migliorano di per sé la qualità della vita, evitano solo che peggiori. La necessità di un rapido aumento della produttività delle fonti rinnovabili, che porti a una sostituzione dei fossili, senza produrre troppi svantaggi economici nel processo, è quindi imperativo.

“Anche questo, per fortuna, è un processo che si autoalimenta: via via che una frazione crescente della società comincia a usare le fonti alternative, verso di loro accorrono capitali, che stimolano sia la produzione che la ricerca per migliorare la qualità dei prodotti, aumentando così la loro produttività energetica”.

È quanto accaduto per il fotovoltaico e l’eolico, in effetti, tanto da averli resi in pochi anni competitivi nella produzione elettrica su larga scala (in molte realtà il kWh solare, per esempio, costa ormai meno di quella da fonti fossili).

Ma notevoli passi avanti devono ancora essere fatti nel far rimanere l’elettricità rinnovabile competitiva dopo aver aggiunto sistemi di accumulo che la rendano programmabile, così come nel campo dei trasporti, dove i progressi sono per ora lenti e per lo più limitati alle sole auto, e nell’uso di tecnologie rinnovabili nel campo dell’industria pesante, come, per esempio, impiegare idrogeno al posto del coke nella siderurgia.

“Questa è la chiave della questione: se la società, anche con aiuti decisi dalla politica, riuscirà a aumentare sul medio-lungo termine, la produttività delle fonti rinnovabili in tutti i settori a una velocità almeno pari a quella del declino di competitività delle fonti fossili, non c’è nulla da temere: la qualità della vita materiale futura sarà brillante almeno quanto quello della società basata sui fossili prima del peak oil. Se invece non ce la faremo, per motivi tecnici, economici o politici, beh, allora, le società del futuro non potranno far altro che pensare con nostalgia ai “bei tempi andati” del petrolio, metano e carbone” conclude Barreto.

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