In Iraq i pozzi di petrolio di Eni aggravano la crisi idrica

CATEGORIE:

Un'inchiesta pubblicata su IrpiMedia mostra i devastanti impatti ambientali delle estrazioni di greggio nei giacimenti Eni di Zubair, che hanno contribuito a prosciugare canali e paludi.

ADV
image_pdfimage_print

La continua espansione delle attività petrolifere ha impatti ambientali sempre più devastanti, con gravi conseguenze per gli ecosistemi e le popolazioni che vi abitano.

Un esempio di quanto possa essere critica, per l’uomo e l’ambiente, l’estrazione di greggio, arriva da un’inchiesta italiana pubblicata da IrpiMedia (Investigative Reporting Project Italy, testata indipendente di giornalismo investigativo) focalizzata sui progetti di Eni in Iraq, dal titolo “Iraq senz’acqua: il costo del petrolio che arriva fino in Italia” (link in basso).

Due giornaliste, Sara Manisera e Daniela Sala, raccontano quello che sta avvenendo nelle paludi di Hammar, nel sud-est del Paese, nella zona di Basra, originate dal sistema fluviale del Tigri e dell’Eufrate.

In questa zona umida, gli abitanti hanno sempre vissuto di pesca, agricoltura e traffici commerciali, grazie alla presenza di canali e paludi.

Tuttavia, nel 2020 Eni – attraverso il contractor locale Iraq General Company for Execution of Irigation Projects (IGC) – ha iniziato a realizzare un impianto per il trattamento dell’acqua in quella zona, con il risultato che paludi e canali si sono prosciugati.

Lungo l’argine di un canale, hanno osservato le autrici dell’inchiesta, è stata costruita una diga per dirottare l’acqua in un bacino di raccolta.

L’acqua serve per l’estrazione di petrolio nel giacimento di Zubair, uno dei più grandi in Iraq, sfruttato da Eni dal 2010. Si prevede di arrivare a una produzione di circa 700.000 barili al giorno.

“L’aumento delle temperature, le piogge sempre più irregolari, la costruzione di dighe a monte in Turchia e in Iran e metodi di irrigazione obsoleti – scrivono le giornaliste di IrpiMedia – hanno causato nell’ultimo decennio una drastica riduzione nella portata dei fiumi Tigri ed Eufrate. Ma la situazione già grave per il concorso di diverse cause è resa critica dall’industria del petrolio”.

Difatti, per estrarre il greggio, “le compagnie che operano in Iraq utilizzano la tecnica dell’iniezione d’acqua. In media, per ogni barile di petrolio estratto servono da un barile e mezzo fino a tre barili d’acqua”. L’acqua in Iraq viene prelevata dai fiumi, sottraendola ad altri utilizzi.

Alle richieste di chiarimento di IrpiMedia, Eni ha risposto che «non c’è nessun utilizzo di acqua dolce», e che l’impianto di Al Khora, la cui costruzione terminerà nel 2025, “preleverà l’acqua dal canale Main Outfall Drain (MOD) […] che raccoglie l’acqua salmastra e contaminata risultante dal drenaggio delle acque di irrigazione […]”.

In ogni caso, un terzo dell’acqua utilizzata per le iniezioni a Zubair (circa 156.000 barili al giorno), afferma Eni, è fornita “attraverso un canale di raccolta acque superficiali salmastre denominato Qarmat Ali”.

Tuttavia, riportano le giornaliste, “se è vero che l’acqua dei fiumi e dei canali, utilizzata dalle compagnie petrolifere, è di scarsa qualità a causa della concentrazione di sale e di altri inquinanti, non è vero però che non sia utilizzata per altri scopi. Se depurata quest’acqua può essere utilizzata dai cittadini per uso domestico”.

E come verificato da IrpiMedia, “poco più a valle dell’impianto di Al Khora e di quello di Qarmat Ali, i canali da cui le compagnie si riforniscono di acqua confluiscono in un impianto pubblico di depurazione” da cui proviene il 35% dell’acqua usata nelle case di Basra.

Inoltre l’acqua, pur salmastra, consentiva la navigazione e la pesca in quello che restava del delicato ecosistema delle paludi di Hammar.

ADV
×