I prezzi del petrolio schizzano dopo gli attacchi alle strutture in Arabia Saudita

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Fuori uso circa il 5% delle forniture mondiali giornaliere.

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L’attacco missilistico a due importanti strutture del gigante petrolifero Aramco avvenuto durante il fine settimana in Arabia Saudita ha fatto schizzare oggi i prezzi del greggio sui mercati internazionali.

L’attacco, compiuto con dei droni e rivendicato dal movimento yemenita di fede sciita Houti, filoiraniano, ha provocato all’apertura odierna dei mercati un’impennata senza precedenti dei prezzi. L’incursione ha infatti messo fuori uso una capacità petrolifera pari a 5,7 milioni di barili al giorno – equivalenti al 5% delle forniture mondiali giornaliere – più di quanta ne avessero compromesse eventi epocali quali la rivoluzione iraniana del 1979, la guerra arabo-israeliana del 1973 o l’invasione irakena del Kuwait del 1990 (Vedi grafico Bloomberg accanto)

Le quotazioni spot per il Brent, la varietà di riferimento per l’Europa, sono balzate in apertura del 20% a oltre $71 al barile, per poi stabilizzarsi attorno ai $65-66 a metà giornata, con rialzi di circa il 10% rispetto all’ultima seduta. I contratti future per consegna a novembre, sempre del Brent, rispecchiano tale valore e oscillano a metà seduta attorno ai $65-66 al barile.

Rialzi leggermente più contenuti per la varietà di riferimento statunitense, la West Texas Intermediate (WTI), che segna a metà giornata un balzo di circa il 9% attorno a $60 al barile. Si tratta comunque dei prezzi più alti dallo scorso maggio.

L’aumento record del prezzo del petrolio giunge in un momento molto delicato per l’economia mondiale, già alle prese con un rallentamento delle attività manifatturiere – oltre che della domanda globale – e sulle cui sorti si addensano incertezze come la guerra dei dazi fra USA e Cina e l’esito della Brexit.

I rincari petroliferi potrebbero non avere impatti duraturi sulle sorti della crescita economica, se sui mercati prevarrà un atteggiamento più razionale e pragmatico piuttosto che emotivo.

Nonostante l’ingente capacità messa fuori uso in Arabia Saudita, infatti, l’offerta di petrolio nel mondo è ancora alta, sia grazie alla produzione corrente che alle riserve strategiche. Non dovrebbero esserci quindi problemi di approvvigionamento nel breve termine, anche perché circa la metà della capacità danneggiata negli attacchi, secondo Robert Yawger, direttore Energia presso Mizuho Securities, dovrebbe tornare disponibile nel giro di pochi giorni.

Gli attacchi potrebbero però acuire di nuovo le tensioni fra Iran e USA, perdurare più di qualche giorno o settimana e alimentare quindi il clima diffuso di incertezza economica, che pesa per esempio sulla fiducia dei direttori acquisti delle maggiori imprese internazionali. In tal caso, i rincari petroliferi potrebbero aggiungere insicurezza a insicurezza e pesare sulle prospettive economiche mondiali.

Ampliando lo sguardo, prezzi del greggio in crescita potrebbero però fare diventare ancora più favorevole il confronto economico fra combustibili fossili ed energie rinnovabili, a favore di quest’ultime. Il caro-petrolio può quindi facilitare una maggiore diffusione dell’energia verde. D’altro canto, la paura di una recessione mondiale probabilmente non crea il clima e l’umore ideali per i nuovi investimenti che una più rapida transizione energetica verso la decarbonizzazione necessita.

Da qui, appunto, la delicatezza del momento, che richiede saldezza di nervi e una visione chiara e di lungo termine dei costi-benefici economici e ambientali, sia per le sorti dell’economia fossile che di quella rinnovabile. Oltre che di tutti noi.

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