Guerre, clima, combustibili fossili: l’Ipcc spiega perché è tutto collegato

Il nuovo rapporto dell'Intergovernmental panel on climate change approfondisce i nessi tra la crisi energetica (esacerbata dal conflitto ucraino) e il surriscaldamento globale.

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Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel presentare il nuovo rapporto Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) sui cambiamenti climatici (impatti, adattamento e vulnerabilità), ha affermato che “la nostra continua dipendenza dai combustibili fossili rende l’economia globale e la sicurezza energetica vulnerabili agli shock e alle crisi geopolitiche.

Poche ore dopo, il Governo italiano ha approvato un decreto che prevede la possibile riaccensione delle centrali più inquinanti, a carbone e olio combustibile, se dovesse arrivare meno gas dalla Russia come conseguenza del conflitto in Ucraina.

Crisi climatica e crisi energetica sono sempre più connesse: il massiccio uso di fonti fossili su scala globale sta riscaldando il Pianeta e sta mettendo a nudo le debolezze di un mix di energia troppo agganciato alle forniture di petrolio, gas e carbone, molte delle quali provengono da Paesi con elevati rischi di instabilità politica, economica e finanziaria.

Un altro passaggio rilevante del discorso di Guterres è quando accusa le strategie industriali poco credibili delle grandi compagnie oil & gas.

“Non puoi affermare di essere verde, mentre i tuoi piani e progetti minano l’obiettivo net-zero al 2050 [azzeramento delle emissioni nette di Co2, ndr.] e ignorano i maggiori tagli alle emissioni che devono essere fatti in questo decennio”, ha dichiarato, ricordando quanto sia ancora enorme il divario tra gli impegni di oggi e i traguardi di domani.

Il nuovo documento Ipcc, organismo scientifico internazionale nato nel 1988, è stato scritto da 270 autori di 67 Paesi e il suo messaggio è molto chiaro, così riassunto dal co-presidente del gruppo di lavoro, Hans-Otto Pörtner.

“L’evidenza scientifica è inequivocabile: i cambiamenti climatici sono una minaccia al benessere delle persone e alla salute del Pianeta. Ogni ulteriore ritardo nell’azione concertata a livello globale farà perdere quella breve finestra temporale – che si sta rapidamente chiudendo – per garantire un futuro vivibile”.

Il punto è che ogni mezzo grado in più di surriscaldamento farà la differenza.

Focalizzando l’attenzione sull’Europa e sul Mediterraneo, gli scienziati italiani che hanno contribuito al rapporto Ipcc, evidenziano quattro categorie di rischi: ondate di calore, cali della produzione agricola, siccità, maggiore frequenza e intensità delle inondazioni.

Per quanto riguarda le ondate di calore, ad esempio, gli esperti italiani si attendono che il numero di decessi e di persone a rischio per lo stress da calore raddoppierà o triplicherà con un innalzamento della temperatura pari a 3 °C, rispetto a un innalzamento di +1,5 °C (ricordiamo che il traguardo fissato dagli accordi di Parigi è contenere il global warming a +1,5 °C entro fine secolo, rispetto alla temperatura media in età preindustriale).

Per quanto riguarda la scarsità di risorse idriche, il rischio è già elevato in Europa meridionale con un riscaldamento globale di 1,5 °C e diventa molto alto, in queste regioni, in un Pianeta più caldo di 3 °C. Difatti, osservano gli scienziati, a causa di una combinazione di caldo e siccità, si prevedono nel XXI secolo perdite sostanziali in termini di produzione agricola nella maggior parte delle aree europee, che non saranno compensate dai guadagni attesi nell’Europa settentrionale.

Il Mediterraneo, scrivono gli autori italiani dell’Ipcc, continuerà a riscaldarsi più della media globale, soprattutto in estate. La regione diventerà quindi più arida per effetto combinato delle minori precipitazioni e della maggiore evapotraspirazione.

Più in generale, la nota di sintesi dell’Ipcc sul suo rapporto di valutazione osserva che con un riscaldamento globale di 1,5 °C, “nei prossimi due decenni il mondo affronterà molteplici rischi climatici inevitabili. Anche il superamento temporaneo di questo livello di riscaldamento provocherà ulteriori gravi impatti, alcuni dei quali saranno irreversibili. Aumenteranno i rischi per la società, inclusi quelli relativi a infrastrutture e insediamenti costieri”.

L’aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni, inoltre, “sta già superando le soglie di tolleranza di piante e animali, causando mortalità di massa in alcune specie tra alberi e coralli. Questi eventi meteorologici estremi si stanno verificando simultaneamente, causando impatti a cascata che sono sempre più difficili da gestire”.

Che fare? Gli scienziati ribadiscono che è necessario, innanzi tutto, ridurre rapidamente e profondamente le emissioni di gas-serra”.

E poi bisogna preparare azioni ambiziose e accelerate per adattarsi al cambiamento climatico, in modo da salvare più vite umane possibili, tutelare la biodiversità e proteggere gli ecosistemi.

Tuttavia, sottolinea il rapporto, “i progressi sull’adattamento non sono uniformi ed è sempre più ampio il divario tra le azioni intraprese e ciò che è necessario fare per affrontare i crescenti rischi connessi ai cambiamenti climatici”.

Il nodo finale da sciogliere rimane sempre lo stesso, quello della volontà politica di agire con tempestività e di assumere decisioni oggi (magari impopolari e che richiedono anche di modificare abitudini e stili di vita) volte a tutelare le generazioni future.

Con la consapevolezza che ogni anno di ritardo delle azioni per il clima, fa aumentare sensibilmente i costi sociali, economici e ambientali delle future politiche di adattamento e mitigazione.

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