Forum “QualEnergia?”, Legambiente: “L’Italia punta ancora troppo sulle fonti fossili”

Il governo Meloni in linea di continuità con quello precedente: sette proposte dell'associazione ambientalista a Palazzo Chigi contenute nel report “Stop sussidi ambientalmente dannosi”.

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È tempo di pagelle per l’Italia. Dopo la bocciatura sulle politiche climatiche che ci ha visti retrocedere al 44esimo posto nella classifica delle performance climatiche tra i principali Paesi del mondo, arriva un’altra pesante nota negativa, questa volta sul fronte delle politiche energetiche.

Ancora oggi il nostro Paese continua a puntare sulle fonti fossili, mentre le rinnovabili e i tanti progetti che riguardano la realizzazione di nuovi impianti continuano a restare fermi sulla carta. I numeri messi in fila da Legambiente al XVI Forum QualEnergia con il report “Stop sussidi ambientalmente dannosi” (link in basso) parlano chiaro.

Nel 2022, con il governo Draghi, il Paese ha speso 94,8 miliardi di euro in attività, opere e progetti connessi direttamente e indirettamente alle fonti fossili, ma anche sostegno non strutturale e basato su politiche climalteranti a imprese e famiglie, raddoppiando la cifra dell’anno precedente con i decreti per l’emergenza bollette causata dalle speculazioni sul gas prima e dopo l’aggressione militare russa in Ucraina.

Il settore energia si conferma quello più sussidi con 52,2 miliardi di euro, seguito dal settore trasporti con 20,5 miliardi di euro. C’è poi quello edilizio che, tra detrazioni fiscali, IVA agevolate, deduzioni IRPEF e crediti d’imposta, conta 17 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi.

Troppo timide, invece, le politiche di eliminazione e rimodulazione dei sussidi attivati fino ad ora. A fronte dell’eliminazione di appena 6 voci nel 2022, pari a 193 milioni di euro, sono 53 le voci in più introdotte solamente per far fronte all’emergenza energetica per una spesa totale di 51,2 miliardi di euro.

Dall’altra parte il Governo Meloni, in continuità con quelli precedenti, fa anche molto poco per agevolare la diffusione e lo sviluppo delle rinnovabili frenate da ritardi negli iter burocratici, mancate semplificazioni e “no” delle sovrintendenze, spiega Legambiente in una nota.

Ad oggi sono almeno 1.400 i progetti in valutazione al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase), tra valutazione impatto ambientale, progetti legati al PNRR e PNIEC, verifiche di ottemperanza. Tra questi, il più vecchio risulta essere il progetto di eolico off shore presentato nel Golfo di Manfredonia nel lontano 2008, e che da allora ha avviato ben tre modifiche di progetto riducendo il numero di torri dalle iniziali 100, poi 65 e poi ancora 50.

Oggi, dopo ben 15 anni, dovrebbe essere (secondo quanto riportato sul portale del MASE) alla firma del Ministro. Un impianto che, nonostante la riduzione del numero delle torri, trova l’opposizione del Comune di Manfredonia che ha richiesto, nell’ultima versione presentata alla Capitaneria nel 2018 la sospensione del progetto in attesa di una pianificazione territoriale e regionale.

È quanto Legambiente denuncia oggi presentando il nuovo report “Stop sussidi ambientalmente dannosi” in occasione della prima giornata della XVI edizione del Forum QualEnergia, che ha organizzato insieme a Kyoto Club e La Nuova Ecologia e in programma fino a domani nella Capitale.

I numeri raccontano con chiarezza la rotta intrapresa dal Paese tra sussidi, settori più finanziati, e nuovi inventivi per far fronte all’emergenza energetica; a cui si aggiunge anche un possibile ritorno all’utilizzo del nucleare.

Eppure, ben 18,86 miliardi di euro di sussidi si possono eliminare entro il 2025, ai quali vanno aggiunti 8 miliardi di euro per quelli emergenziali, e che comprendono sussidi alle trivellazioni, agevolazioni per il diverso trattamento fiscale tra benzina gasolio, GPL e metano, il Capacity Market e il supporto per l’installazione di nuove caldaie a gas, per le quali solo nel 2022 sono stati spesi 3,2 miliardi di euro.

Numeri che per l’associazione ambientalista darebbero al Paese ampio respiro per intervenire nello stesso settore energetico o in altri con misure strutturali che potrebbero scongiurare una crisi sociale, visto che secondo i dati della Banca d’Italia, oltre il 60% delle famiglie che vive in questo Paese, già nel 2021, non arrivava a fine mese.

Per questo Legambiente indirizza oggi al Governo Meloni sette proposte e ricorda l’impegno che deve portare avanti l’Italia in questa Cop28, giunta al termine, a partire dall’uscita concreta dalle fonti fossili:

  • Inserire nel Pniec un percorso concreto che porti entro il 2025 alla rimodulazione e cancellazione di tutti i sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030.
  • Riformare le accise e le tasse sui diversi combustibili fossili in modo che il costo finale medio annuale sia progressivamente proporzionale alle emissioni di gas serra (CO2 equivalente) generate nella loro combustione, secondo il principio “chi inquina paga”.
  • Aggiornare annualmente il catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD).
  • L’Italia deve fare la sua parte in tema di aiuto ai paesi poveri ed impegnarsi, per il periodo 2023-2025, così da garantire la “sua giusta quota” dell’impegno collettivo di 100 miliardi dei Paesi industrializzati. Risorse che possono essere reperite facilmente attraverso il taglio dei sussidi alle fonti fossili.
  • Mettere in sicurezza energetica il Paese con misure strutturali che vadano nella direzione di aiuto e supporto a famiglie, imprese e allo stesso sistema Paese puntando in primis sulle rinnovabili.
  • Avviare una riforma complessiva del sistema incentivante del settore edilizio. Prioritaria la rimozione immediata dei sussidi per l’installazione di nuove caldaie a gas, che oggi riguardano ecobonus, superbonus e bonus casa, e lo stop all’installazione di nuovi impianti al 2025.
  • Rivedere il tema degli onori di sistema in bolletta eliminando i sussidi diretti, spostando sussidi e voci improprie sulla fiscalità generale.

“Il Governo Meloni – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – sta dimostrando di preferire una transizione energetica basata sul gas fossile piuttosto che su un nuovo sistema basato su prosumer, autoproduzione, reti smart, accumuli, grandi impianti industriali a fonti rinnovabili e comunità energetiche. Parla di piano Mattei e di un possibile ritorno al nucleare, tutte strade che non porteranno al Paese nessun beneficio e alimenteranno la dipendenza dall’estero”.

“Se l’Italia vuole davvero frenare l’avanzata della crisi climatica – spiega Ciafani – servono interventi concreti per contribuire agli obiettivi in discussione alla COP28 di Dubai: triplicare la capacità installata di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030 e avviare da subito il phasing-out, senza esitazioni, delle fossili. Al Governo chiediamo anche un atto di coraggio: preveda la rimodulazione e la cancellazione di questi sussidi entro il 2030, modifichi sia il decreto sulle aree idonee, perché rischia di bloccare lo sviluppo delle rinnovabili, che quello ‘energia’ con cui sono dichiarati ‘di pubblica utilità, indifferibili e urgenti’ i rigassificatori a terra, a causa dei quali nei prossimi decenni continueremo ad acquistare sempre più gas liquefatto dall’estero, con buona pace dell’obiettivo di decarbonizzazione entro il 2050”. 

“Il mondo del fossile – dichiara Gianni Silvestrini, direttore scientifico Kyoto Club – sfugge come un’anguilla alla definizione di scadenze precise 2030, 2035, 2040 verso la neutralità climatica. Europa e Usa rispondono in modo chiaro su questo passaggio e, questa è una novità, la Cina pare più vicina allo schieramento che punta all’abbandono dei fossili”.

“L’Italia, condizionata dal mito dell’hub del gas con i forti rischi di stranded costs per infrastrutture che non si potranno utilizzare, non sembra aver imboccato con decisione il percorso delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, della mobilità elettrica e sostenibile che molti paesi europei hanno ormai avviato. C’è un forte rischio di non cogliere l’onda positiva della transizione ma di rimanere su posizioni di retroguardia con impatti negativi sull’occupazione e sulla definizione di una reindustrializzazione green che avvantaggerebbe in particolare il Sud”, ha detto Silvestrini.

Altro tema è quello del settore edile e la sua decarbonizzazione, su cui Legambiente insieme a Kyoto Club ha avviato il progetto #Per un salto di classe che annovera tra i principali obiettivi: stimolare gli investimenti pubblici e privati per la decarbonizzazione del comparto, supportare l’approvazione ambiziosa della revisione della direttiva “Case verdi” in sede europea nonché il suo recepimento da parte del Parlamento e del Governo italiani, mobilitare la società civile e le imprese, documentare ai media e ai decisori politici che la decarbonizzazione degli edifici è una soluzione vantaggiosa per tutti, moltiplicare e divulgare le buone pratiche del settore.

Eppure, le rinnovabili, come racconta la terza edizione della Guida Parchi del Vento, presentata oggi al Forum QualEnergia e realizzata con il contributo di Agsm, Erg, FERA, RWE, IVPC, LEITWIND e con il patrocinio di ANEV, rappresentano una vera e propria occasione per il nostro Paese, anche dal punto di vista turistico.

Sono 24 i parchi eolici scelti e raccontati da Legambiente lungo la Penisola, cinque quelli nuovi inseriti quest’anno che riguardano tre regioni: il Piemonte con il parco eolico Colle San Giacomo da 6 MW di potenza complessiva e ospitato tra i Comuni di Priola (dove è presente un solo impianto) e Viola (dove si trovano gli altri tre). Monte Greppino e Cascinassa, entrambi in provincia di Savona, in Liguria, rispettivamente da 20 e 25,2 MW. E in Sicilia, nella provincia di Trapani, con i parchi Vento di Vino da 23,8 MW, immerso in un paesaggio viticolo, e Selinus da 25,2 MW immerso invece in un oliveto, entrambi nella provincia di Trapani.

Si tratta, in sintesi, di storie di impianti legati anche all’importanza del consenso delle comunità e a come si possono trovare forme innovative e affascinanti di valorizzazione delle risorse locali. Impianti tra uliveti e vitigni, o inseriti tra montagne e boschi, dolci colline coltivate a grano, dove si incontrano animali al pascolo e punti di osservazioni verso meravigliose visuali che spaziano dal mare alla montagna. Tra cui è possibile fare gite a cavallo o in bicicletta. Impianti immersi in aree spesso poco conosciute e scarsamente visitate nelle tradizionali vacanze.

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