Energia e ambiente, cosa può succedere con una Brexit senza accordo

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Crescono le incognite sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea dopo gli ultimi scossoni politici a Londra. Vediamo le possibili conseguenze dell’eventuale “no deal” sui temi energetici e ambientali.

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Come e quando la Gran Bretagna uscirà dall’Unione europea? Con quali conseguenze?

Sui tempi e i modi della Brexit, l’incertezza ha raggiunto il massimo livello dopo che a Londra il 15 gennaio la Camera dei Comuni ha bocciato nettamente (432 voti contrari e 202 favorevoli) l’accordo negoziato dal premier britannico Theresa May con gli Stati membri Ue.

Tutto da rifare in sostanza: May, che intanto è rimasta a galla per un soffio nella mozione di sfiducia presentata dal leader laburista Jeremy Corbyn (mozione respinta 325 a 306 alla Camera dei Comuni), proverà a evitare quell’uscita senza accordo, “no deal”, che potrebbe avere degli effetti molto negativi sull’economia inglese.

Così il governo conservatore, sempre più in affanno sul dossier-Brexit, potrebbe chiedere all’Europa di posticipare la scadenza del 29 marzo, quando la Gran Bretagna diventerà un “paese terzo” e la legislazione Ue cesserà di essere applicata al Regno Unito.

A meno che Londra riesca a ottenere un po’ di tempo in più per cercare una nuova intesa con l’Ue.

Scenario complesso, considerando che ci sono voluti due anni di trattative per comporre le oltre 500 pagine di accordo poi sfumate nella bocciatura del 15 gennaio.

Londra, infatti, aveva notificato al Consiglio Europeo la sua intenzione di abbandonare (leave) l’Ue il 29 marzo del 2017.

L’accordo, che era stato raggiunto dalla Gran Bretagna con il capo negoziatore europeo Michel Barnier lo scorso novembre, prevedeva di mantenere una stretta collaborazione tecnica su molti aspetti cruciali in tema di energia e ambiente, ad esempio per l’utilizzo delle reti elettriche e del gas e il coordinamento delle politiche sui prezzi della CO2.

Cosa accadrebbe, invece, nell’ipotesi sempre più concreta di una separazione netta e priva di regole specifiche tra i mercati energetici sulle due sponde della Manica?

Conviene riprendere quei documenti che Bruxelles ha stilato per approfondire le possibili conseguenze di una Brexit “no deal”: sono le Preparadness notices (documenti allegati in basso) sui singoli settori di interesse: non solo energia e clima ma anche lavoro, salute, finanza, trasporti eccetera.

Per quanto riguarda il mercato interno dell’energia, si legge nella relativa scheda, dalla data della Brexit (neretti nostri in questa e in tutte le citazioni successive) “gli operatori basati nel Regno Unito cesseranno di partecipare alla piattaforma unica di allocazione delle capacità a termine di interconnessione, alle piattaforme di bilanciamento europee e al coupling unico del giorno prima e infragiornaliero dei mercati”.

Inoltre, gli operatori inglesi dell’energia “diventeranno operatori di un paese terzo” e di conseguenza quelli che vorranno continuare a commercializzare i loro prodotti energetici all’ingrosso nell’Ue “dovranno registrarsi presso l’autorità nazionale di regolamentazione dell’energia di uno Stato membro in cui svolgano attività”.

E poi: alle importazioni/esportazioni di elettricità da e verso la Gran Bretagna saranno applicati dei pagamenti per il diritto di utilizzare il sistema di trasmissione.

Infine, gli operatori di trasmissione controllati da investitori inglesi, per continuare o avviare le loro attività nell’Unione europea, dovranno ottenere la certificazione prevista dalle direttive 2009/72 e 2009/73, certificazione che potrebbe essere negata dagli Stati membri in caso di rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

I 27 Paesi membri potrebbero anche negare le autorizzazioni chieste da compagnie inglesi per svolgere attività di ricerca/coltivazione di petrolio e gas nell’Ue “per motivi di sicurezza nazionale”.

In tema di fonti rinnovabili, il documento preparato dalla Commissione Ue chiarisce che le garanzie di origine dell’energia pulita, rilasciate dagli organismi designati nel Regno Unito, “non saranno più riconosciute dagli Stati membri dell’Unione a 27”.

Conseguenze di ampia portata ci saranno poi nel campo dell’Emissions Trading Scheme, il mercato ETS europeo della CO2 cui gli impianti industriali britannici non potranno più partecipare.

Ci saranno anche diverse complicazioni per l’impiego, da parte delle società inglesi, dei marchi Ecolabel ed EMAS, senza dimenticare che Londra uscirà dal mercato comune dell’energia atomica così diventeranno più complesse per il Regno Unito le procedure per gli approvvigionamenti di materiali nucleari e per il trasporto di scorie radioattive/combustibile esaurito.

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