Enel sta accelerando l’uscita dal carbone non solo in Italia, ma anche in Cile, come riporta la stessa società energetica italiana in due note sulle rispettive operazioni.
Per quanto riguarda il nostro paese, il ministero dello Sviluppo economico ha dato via libera alla chiusura anticipata del Gruppo 2 della centrale termoelettrica Federico II di Brindisi dal 1° gennaio 2021.
Si tratta, evidenzia Enel, della prima delle quattro unità produttive a carbone della centrale che si avvia alla chiusura definitiva. In coerenza con la propria strategia di decarbonizzazione della produzione di energia elettrica e con gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), chiarisce poi la società, Enel ha avviato negli scorsi mesi l’iter di permitting per la riconversione del sito con un impianto a gas ad altissima efficienza necessario per assicurare la chiusura completa dell’impianto a carbone di Brindisi entro il 2025 e per assicurare contestualmente la sicurezza della rete elettrica nazionale.
Inoltre, Enel sta sviluppando progetti per l’installazione di potenza fotovoltaica all’interno del sito, come parte della più generale iniziativa di sviluppo di nuova capacità rinnovabile su tutto il territorio italiano.
Intanto il gruppo Enel, in linea con la sua strategia di decarbonizzazione, si legge in una nota sulle attività in corso in Cile, prevede di chiudere l’Unità I da 128 MW dell’impianto di Bocamina entro il 31 dicembre 2020 e l’Unità II del medesimo impianto (da 350 MW) entro il 31 maggio 2022, in modo da uscire totalmente dal carbone nel paese sudamericano. Allo stesso tempo, Enel sta pianificando il completamento di 2 GW di capacità rinnovabile attraverso Enel Green Power Chile.
Il WWF, commentando i provvedimenti di Enel, afferma che a questo punto (neretti nostri) “è fondamentale che l’azienda […] invii come richiesto dal Ministero dell’Ambiente, il piano dettagliato per la dismissione completa dell’uso del carbone da completarsi entro il 2025. Allo stesso tempo il WWF auspica che si rinunci al processo di riconversione a gas che vedrebbe la nascita di un impianto di ben 1.680 MW, una potenza assolutamente ingiustificata per un sistema energetico che dovrebbe essere decarbonizzato (cioè ad emissioni di carbonio nulle) e quindi dovrebbe puntare sulla massiccia produzione da fonti rinnovabili, su un adeguamento della rete elettrica e sulla realizzazione di adeguati sistemi di accumulo”.
Secondo Greenpeace Italia “la scelta di iniziare a chiudere la centrale a carbone di Brindisi, una delle più inquinanti d’Europa, è senza dubbio positiva, purtroppo però rovinata dalla volontà dell’azienda di convertire l’impianto a gas fossile”, dice Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. “Da un punto di vista climatico, passare dal carbone al gas significa non accelerare come necessario verso la vera soluzione, ovvero energie rinnovabili, efficienza energetica e sistemi di accumulo. Cittadine e cittadini di Brindisi meritano un futuro diverso. Dopo decenni di inquinamento legato al carbone, per la città occorrerebbe una transizione energetica che metta al centro i lavoratori e l’ambiente”, ha concluso Giannì.