Elezioni Usa: Kamala Harris preferisce non parlare di energia e clima. È una mossa vincente?

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Una breve analisi della strategia elettorale democratica in vista delle elezioni presidenziali americane di novembre.

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La vicepresidente statunitense e candidata democratica alla Casa Bianca, Kamala Harris, ha finora parlato pochissimo di energia e clima nella sua campagna elettorale, tralasciando di prendere impegni particolari in materia.

A molti è sembrata una scelta rischiosa per una candidata democratica. Una scelta addirittura di discontinuità rispetto alla precedente campagna elettorale, visto che Harris non solo non ha fatto passi in avanti, ma è sembrata addirittura tornare indietro sul fronte energetico.

Tutto ciò in una fase in cui sicurezza energetica e azioni pro-clima dovrebbero invece servire a calamitare l’attenzione di molti elettori progressisti.

In realtà, la relativa assenza di temi energetici e climatici dalla piattaforma di Harris riflette una ricchezza di misure “verdi” ricevute in dote dal passato e risponde a una precisa strategia comunicativa del presente pre-elettorale, secondo vari analisti statunitensi.

È possibile che Harris esca vincitrice da questa partita a scacchi comunicativa basata sull’assenza di temi divisisi fra l’elettorato come il clima e le energie rinnovabili. Ma la carenza di impegni precisi rischia di essere un boomerang politico che potrebbe rallentare Harris se verrà eletta, annacquando l’urgenza della crisi climatica e della transizione energetica.

Cerchiamo di spiegare meglio i termini di questa sorta di partita a scacchi elettorale in corso con i repubblicani e svolta soprattutto in funzione degli indecisi.

Una ricca eredità verde

Harris ha contribuito e può contare sul capitale politico lasciato in dote da un’amministrazione Biden che ha fatto più di qualunque altra per cambiare l’azione federale Usa a favore della riduzione delle emissioni, per la diffusione delle rinnovabili e per la reindustrializzazione green del Paese.

L’Inflation Reduction Act (IRA), approvato nel 2022, è la più importante legislazione sul clima nella storia degli Stati Uniti, e indirizza ciò che potrebbe arrivare a più di 1000 miliardi di dollari in crediti d’imposta federali e decine di miliardi di dollari di sovvenzioni e incentivi per la produzione e la distribuzione dall’energia solare ed eolica alle diverse tecnologie di decarbonizzazione industriale.

La maggior parte di questi incentivi rimarrà in vigore per un decennio dopo l’approvazione della legge, dando a sviluppatori, investitori e produttori di energia rinnovabile degli Usa un livello di certezza a lungo termine, fortemente carente nelle politiche di credito fiscale dei decenni precedenti.

Una laconica piattaforma tendente al grigio

Harris però non ha ancora articolato la sua politica climatica. L’argomento è stato appena accennato alla convention democratica della settimana scorsa.

Durante il suo discorso di quasi 40 minuti, la candidata alla presidenza ha parlato dell’economia, della guerra a Gaza e dell’immigrazione, ma ha fatto un solo breve riferimento alla questione, affermando che fra le “libertà fondamentali” in gioco in queste elezioni c’è anche “la libertà di respirare aria pulita, bere acqua pulita e vivere liberi dall’inquinamento che alimenta la crisi climatica”.

Per contro, la campagna di Harris ha recentemente fatto marcia indietro rispetto alle posizioni politiche sostenute dalla stessa vicepresidente durante le primarie democratiche del 2020.

Una recente dichiarazione del suo comitato elettorale ha infatti ribaltato la precedente posizione di Harris sul fracking, una questione molto divisiva in alcuni di quei sei-sette Stati in bilico che decideranno l’esito delle elezioni di novembre, come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin.

Sebbene sia stata una delle promotrici del Green New Deal americano al Senato e una forte sostenitrice delle sue disposizioni nel 2020, Harris non ha ancora riaffermato il suo sostegno a questa politica nel 2024.

Cosa include la “vecchia” piattaforma democratica

In attesa di eventuali significativi dettagli su come Harris affronterà la transizione energetica e il cambiamento climatico, si può fare riferimento ai punti chiave della piattaforma democratica stilata prima che l’attuale presidente Joe Biden cedesse il passo alla sua vicepresidente come candidata alle prossime elezioni.

Sono sette le pagine che i democratici hanno dedicato ai temi climatici ed energetici sulle 90 che compongono la piattaforma elettorale.

Sintetizzando molto, il partito intende continuare a costruire le politiche sulle basi dell’Inflation Reduction Act, rendere l’agricoltura a emissioni nette zero entro il 2050, elettrificare il settore dei trasporti, finanziare le agenzie e la ricerca sul clima, “opporsi al Big Oil“, rafforzare le infrastrutture e la “leadership globale dell’America in materia di clima”.

Oltre a essere piuttosto generici, alcuni di questi punti contengono possibili contraddizioni. La sezione “Abbassare i costi dell’energia”, per esempio, include la riduzione dei prezzi del gas fossile, qualcosa che sembra incompatibile in un documento incentrato nell’azione sul clima che dovrebbe invece favorire le rinnovabili.

La piattaforma ribadisce l’impegno a ridurre l’inquinamento, a far pagare chi inquina e a costruire comunità resistenti al clima. Tuttavia, il linguaggio è spesso vago, non ci sono impegni forti per la decarbonizzazione dei trasporti dei passeggeri, né si affrontano le questioni del trasporto merci via terra, del trasporto marittimo o le emissioni dell’aviazione.

La piattaforma riflette anche i limiti dell’autorità federale Usa, che lascia ai governi statali e locali gran parte dell’azione sui regolamenti edilizi e sull’efficienza energetica. La piattaforma democratica per il 2024 rappresenta insomma una cauta continuazione delle politiche già attuate, con poche indicazioni di altre nuove e più coraggiose iniziative.

La scommessa “(n)evergreen” di Harris

La scommessa è che Harris si possa permettere di rischiare un sostanziale mutismo sulla decarbonizzazione perché la tavola della transizione energetica Usa è già apparecchiata e il menù già pronto.

In questo modo, non va ad urtare la suscettibilità degli indecisi più conservatori, né rischia di irritare gli indecisi più progressisti, visto che in questo caso ritiene di essersi già guadagnata i galloni pro-clima.

Secondo diversi collaboratori di Harris, citati da Reuters, questa ambiguità è quindi una strategia calcolata. Uno studio condotto su 14 democrazie europee suggerisce infatti che, quando ci sono di mezzo questioni politiche complesse o divisive, la strategia elettorale migliore è la vaghezza politica.

“Penso che temano che se lei prendesse una posizione forte sul clima, anche se fosse la stessa di Biden, la farebbe apparire troppo progressista. È un tema che divide e hanno bisogno di entrambi gli schieramenti il più possibile per vincere” negli Stati in bilico, ha detto Kevin Book, amministratore delegato di ClearView Energy Partners, una società di ricerca con sede a Washington, citato dal New York Times.

Stevie O’Hanlon, portavoce del Sunrise Movement, un gruppo di giovani che si occupa di clima, ha detto a CBS News che la decisione di Harris di non parlare con più forza del cambiamento climatico, sia alla convention democratica che nel periodo precedente, è stata una “occasione persa“, poiché “chiunque si candidi alla presidenza ha la responsabilità di parlarne”.

Rimane da vedere se il pranzo così apparecchiato da Harris e dai democratici soddisferà le attese di decarbonizzazione, sia rispetto ai desideri della base, sia rispetto alle azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici. Su questo punto è lecito dubitare, visto che, nonostante la sua generosità, l’IRA potrebbe non bastare (In Europa e Usa servono ulteriori 400 GW di rinnovabili. Ma la politica è troppo lenta).

Il possibile boomerang verde

A differenza di Kamala Harris, il suo rivale Donald Trump è stato tutt’altro che reticente in materia di energia e clima.

L’ex presidente Usa ha sottolineato senza mezzi termini di voler porre una forte enfasi sui combustibili fossili, abrogando le norme sulle trivellazioni di petrolio e gas, puntando su un’ampia riduzione dei vincoli alle fonti fossili e su un drastico ridimensionamento delle politiche pro-rinnovabili (Elezioni Usa e clima: un Trump vittorioso farebbe impennare le emissioni).

Questo, secondo Trump, dovrebbe servire a ridurre i costi dell’energia, a raggiungere il “dominio energetico” e ad aumentare la competitività delle industrie statunitensi. Il candidato repubblicano intende inoltre rimuovere nuovamente gli Usa dall’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico e terminare il “Green New Deal socialista” (Elezioni Usa, l’effetto Trump sulla transizione energetica).

Tutto ciò risulterà scellerato e anacronistico per i molti fautori della transizione energetica, ma non si può dire che Trump non sia stato chiaro nelle sue intenzioni, se sarà eletto presidente, anche se difficilmente riuscirebbe a realizzare pienamente il suo disegno.

Il fatto che Harris non sia stata altrettanto chiara, porrebbe esporle il fianco a critiche e opposizioni anche veementi, se verrà eletta e se volesse accelerare la transizione energetica, come l’urgenza della decarbonizzazione richiederebbe.

Il rischio è che per accattivarsi gli indecisi ora, evitando controversie e divisioni, ci si ritrovi una volta eletta ad affrontare controversie e divisioni ancora maggiori e più paralizzanti, da parte di elettori scontenti per motivi opposti, cioè per troppa o troppo poca ambizione climatica.

Forse sarebbe preferibile il rischio calcolato di una chiarezza maggiore, rispetto alla sola speranza che una volta eletta riuscirà a mediare fra istanze potenzialmente molto diverse fra loro. Il tempo comunque c’è ancora per Kamala Harris.

“Sebbene sia probabile che un’amministrazione Harris sia più proattiva in materia di clima, la piattaforma stessa non riflette questo potenziale. Data l’urgenza climatica, l’attenzione del documento ai risultati ottenuti in passato piuttosto che agli impegni futuri suggerisce la necessità di piani più ambiziosi e dettagliati per il futuro”, ha commentato l’analista e strategista energetico Michael Barnard.

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