Quanto slancio darà alla lotta globale per il clima la vittoria di Lula in Brasile?

Tra i principali impegni del nuovo presidente, che prenderà il posto di Bolsonaro, c'è lo stop alla deforestazione in Amazzonia. Potrebbe essere un tema centrale alla Cop 27 sui cambiamenti climatici che sta per iniziare in Egitto.

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La vittoria di Lula in Brasile potrebbe dare una nuova spinta alle politiche globali contro il cambiamento climatico e frenare la deforestazione in Amazzonia, dopo la parentesi di devastazione ambientale promossa da Jair Bolsonaro.

Ma non sarà un compito facile.

Al secondo turno delle elezioni presidenziali brasiliane di domenica 30 ottobre, Lula ha vinto con uno stretto margine di vantaggio (50,9% vs 49,1%) su Bolsonaro. Lula, ricordiamo, è già stato presidente del Brasile tra 2003 e 2010.

Tuttavia, Lula entrerà in carica il primo gennaio 2023 e fino a quel momento le forze di destra al Congresso continueranno a supportare Bolsonaro e cercheranno di approvare nuove leggi con cui indebolire ulteriormente la tutela ambientale delle foreste e i diritti delle popolazioni indigene, avverte la Ong ambientalista Climate Observatory tramite il suo portavoce, Claudio Angelo (fonte Climate Home News).

Nel discorso post vittoria elettorale, Lula ha rimarcato il suo impegno per le questioni ambientali e in particolare ha affermato di voler azzerare la distruzione delle foreste amazzoniche.

Il tema è di fondamentale importanza per la lotta contro il cambiamento climatico: il Brasile, infatti, è il sesto Paese al mondo per emissioni complessive di gas-serra, dovute principalmente alla deforestazione e agli allevamenti di bovini.

La tutela delle foreste pluviali, molto probabilmente, sarà uno degli argomenti cruciali alla Cop 27, la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si terrà in Egitto, a Sharm El Sheik, dal 6 al 18 novembre.

Ridurre la deforestazione è un obiettivo imprescindibile per combattere il surriscaldamento del Pianeta, perché le foreste sono letteralmente dei polmoni verdi che assorbono e trattengono anidride carbonica. Di conseguenza, la loro scomparsa elimina interi ecosistemi che agiscono da carbon sink, bacini naturali di assorbimento della CO2.

Con Lula, il Brasile potrebbe fornire un nuovo status di protezione a più di mezzo milione di km quadrati di territorio amazzonico, destinandolo direttamente alle popolazioni native o creando riserve naturali.

Negli anni della sua presidenza, invece, Bolsonaro ha indebolito poteri e funzioni delle agenzie governative che avrebbero dovuto vigiliare contro i tagli illegali.

Tra le cause principali delle deforestazioni in Brasile, ci sono le attività di allevatori e industrie agroalimentari, alla continua ricerca di terreni liberi in cui far pascolare le mandrie; oltre alle attività delle industrie minerarie e di chi coltiva piantagioni su vasta scala, anche per fornire cibo agli animali e per produrre biocarburanti.

Ci sono quindi molteplici e spesso conflittuali interessi in gioco per gli utilizzi delle enormi distese amazzoniche; interessi che difficilmente contemplano i diritti delle tribù indigene e men che meno le esigenze di conservazione degli habitat naturali.

Secondo le stime pubblicate da Carbon Brief a fine settembre, la deforestazione in Amazzonia ha toccato il picco di oltre 27mila km quadrati nel 2004, per poi scendere, negli ultimi anni di Lula, intorno ai 7mila km quadrati nel 2009-2010 e mantenersi tra 4-7mila km quadrati nel periodo 2011-2018, sotto le presidenze di Dilma Roussef e Michel Temer.

Con Bolsonaro gli abbattimenti di alberi sono aumentati fino quasi a raddoppiare: circa 13mila km quadrati persi nel 2021.

Il ritorno di Lula potrebbe salvare complessivamente circa 75mila km quadrati di Amazzonia al 2030, sempre secondo i calcoli di Carbon Brief, riducendo il tasso di deforestazione di quasi il 90% in confronto agli anni della presidenza Bolsonaro.

Un segnale positivo su questa strada è che diversi Paesi, tra cui Norvegia e Germania, dovrebbero tornare a finanziare programmi di tutela e conservazione delle foreste amazzoniche (Amazon Fund), nel quadro di una rafforzata cooperazione internazionale che invece con Bolsonaro si era affossata.

E questo potrebbe dare nuova linfa anche ai negoziati per il clima della Cop 27, magari creando un fronte più unito di Nazioni, volto a contrastare i tagli illegali e investire in progetti e iniziative per salvaguardare gli ecosistemi più a rischio.

Vedremo; intanto il nuovo rapporto Unep Emission Gap Report, avverte ancora una volta che gli impegni per decarbonizzare le economie mondiali e tagliare le emissioni di CO2 sono del tutto insufficienti.

Difatti, con i target climatici attuali, nella ipotesi di rispettarli appieno, si va verso un aumento medio delle temperature di circa +2,4-2,8 °C in confronto ai livelli preindustriali, quindi ben sopra il traguardo fissato dagli accordi di Parigi (1,5 °C).

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