Dalla pandemia al clima: quanto è importante non sottovalutare i rischi

  • 26 Gennaio 2021

Analisi e considerazioni nel Global Risks Report 2021 del World Economic Forum.

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Ignorare i rischi di lungo periodo (su un orizzonte di 5-10 anni) può essere un errore dalle conseguenze devastanti per l’economia e la società.

La pandemia lo sta ricordando ogni giorno a economisti, politici, scienziati e analisti che stanno partecipando al World Economic Forum di Davos (l’evento si chiuderà venerdì 29 gennaio): il dibattito non poteva che essere monopolizzato dalla crisi sanitaria del Covid-19 e come uscirne.

Il rischio di una pandemia era ben presente già quindici anni fa, nell’edizione 2006 del Global Risks Report pubblicato ogni anno dal World Economic Forum alla vigilia dell’appuntamento in Svizzera.

L’edizione 2021 (link in basso) si apre con una citazione proprio dal documento del 2006, in cui si affermava che un’influenza letale avrebbe potuto costituire una severa minaccia globale, con impatti in diversi settori tra cui il turismo, i trasporti e diverse filiere industriali e commerciali, anche a causa di insufficienti sistemi di allerta e contenimento del virus.

E dopo che il rischio-pandemia è diventato realtà nel 2020, ci sono altri rischi da non sottovalutare all’orizzonte, in primis quelli ambientali: cambiamento climatico, eventi estremi (alluvioni, ondate di calore, siccità, incendi), perdita di biodiversità, distruzione di ecosistemi naturali.

Nel Global Risks Report 2021, infatti, i rischi ambientali sono ai primi posti, come mostra l’info-grafica seguente, tratta dalla nota del Wef che riassume il rapporto.

Eventi meteo estremi, fallimento dell’azione per il clima, danni causati dall’uomo all’ambiente, sono rispettivamente in prima, seconda e terza posizione nella top-ten dei rischi ritenuti più probabili nei prossimi dieci anni (Top Global Risks by Likelihood).

Mentre la classifica dei dieci rischi con gli impatti ritenuti più devastanti (Top Global Risks by Impact) vede in prima posizione le malattie infettive, seguite dalle mancate azioni per il clima e dalle armi di distruzione di massa; ricordiamo che il rapporto è basato sulle risposte di oltre 650 membri globali del World Economic Forum, che hanno partecipato al sondaggio annuale sui potenziali rischi economici, ambientali, geopolitici, sociali e tecnologici.

Proprio i rischi ambientali e climatici sono andati in cima alla lista nel 2017-2018 e non si sono più mossi da lì. Il punto, quindi, è che bisogna prestare attenzione a non commettere con il clima lo stesso errore che ha portato alla pandemia: essere consapevoli del rischio ma senza agire con rapidità, urgenza e determinazione per ridurre il più possibile quel rischio.

In tema di cambiamento climatico, agire significa aumentare moltissimo gli investimenti in misure di mitigazione del surriscaldamento globale (ridurre le emissioni di gas-serra) e in soluzioni di adattamento al cambiamento climatico (tutela degli ecosistemi, prevenzione di eventi naturali estremi).

Anche secondo il rapporto annuale Top Risks  elaborato da Eurasia Group, la società di consulenza fondata e presieduta dal politologo americano Ian Bremmer, clima e pandemia sono i principali rischi geopolitici del 2021.

Mentre lo scorso dicembre, in due distinti rapporti, il programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep, United Nations Environment Programme) ha rimarcato l’enorme divario tra “dove si sta andando” e “dove si dovrebbe andare” in tema di cambiamenti climatici.

In sostanza, scriveva l’Unep, l’attuale modello di sviluppo economico-energetico è totalmente incompatibile con gli obiettivi per il clima al 2030 e 2050, perché i governi stanno pianificando di incrementare la produzione di carbone, petrolio e gas del 2% l’anno in media da qui al 2030, anziché ridurla.

Quindi le azioni dei governi su scala mondiale contraddicono gli annunci di obiettivi net-zero per azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro metà secolo.

Vedremo se i “nuovi” Stati Uniti di Biden, insieme con la Cina (che sta davvero correndo sulle energie pulite) e con l’Europa, riusciranno a guidare la politica globale verso un’azione più decisa per contrastare il cambiamento climatico.

Secondo Bremmer, c’è anche il rischio di sovrastimare la nuova era di cooperazione globale sul clima, perché i piani verdi potrebbero essere meno coordinati ed efficaci di quanto si creda oggi, tanto da causare un aumento della competizione tra differenti Paesi.

Soprattutto su quei terreni “scivolosi” dove è molto difficile stabilire regole comuni, ad esempio le politiche per tassare le emissioni di anidride carbonica (chi inquina paga).

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