Dal Pniec al Green New Deal: quale contributo per le biomasse?

Nel dibattito per l’aggiornamento del Pniec, le associazioni del settore delle biomasse liquide, solide e gassose si inseriscono per evidenziare gli aspetti che rendono determinante la loro attività nel percorso di transizione energetica. Il punto di vista di Antonio Di Cosimo, presidente dell’Associazione EBS (Energia da biomasse solide).

ADV
image_pdfimage_print

Il patrimonio italiano di produzione di energia da biomasse liquide, solide e gassose riveste un ruolo fondamentale ai fini del raggiungimento dei nuovi e ambiziosi traguardi imposti dal Green New Deal tra i quali ha priorità assoluta quello relativo a una Ue climaticamente neutra entro il 2050.

In coincidenza con la ripresa dei lavori di aggiornamento e revisione del Piano nazionale integrato Energia e Clima e del Recovery Plan, l’Associazione EBS (Energia da biomasse solide) con Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia), Elettricità Futura, Anpeb (Associazione nazionale produttori di energia elettrica e bioliquidi) e DiTNE (Distretto tecnologico nazionale sull’energia) si è rivolta con una lettera al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani per evidenziare il ruolo strategico delle biomasse nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Al Ministro è stato richiesto un intervento nell’aggiornamento del Pniec finalizzato a valorizzare l’apporto delle biomasse al raggiungimento degli obiettivi energetici che l’Europa e l’Italia si sono poste.

È bene evidenziare che gli obiettivi energetici del decennio precedente sono stati raggiunti in anticipo anche e soprattutto grazie al contributo delle biomasse liquide, solide e gassose. Il riconoscimento del contributo di questa fonte di energia è dunque cruciale.

Ciò si può affermare anche alla luce della valutazione finale della Commissione UE sul Pniec, mediante la quale è stato evidenziato che le politiche intraprese potrebbero non essere sufficienti per raggiungere il livello di risultato proposto.

Le biomasse possono contribuire in modo rilevante a questa fase di transizione energetica. La mancanza di una normativa di settore certa sta invece mettendo a rischio l’esercizio stesso di centrali in condizioni efficienti di esercizio, capaci di fornire energia rinnovabile, pregiata, programmabile e in grado di produrre, più di ogni altra fonte, positive ricadute sull’intero Sistema Paese.

Gli impianti di produzione di energia da biomasse garantiscono ad oggi la generazione di circa 20 TWh di energia elettrica, attraverso quasi 3.000 impianti, per una potenza totale installata pari a circa 4.200 MW. Tra le principali caratteristiche della produzione di energia da biomasse vi è quella della programmabilità.

Mentre le altre rinnovabili sono prevalentemente intermittenti, le centrali a biomasse possono superare le 8.000 ore annue di lavoro e permettono così la gestione in tempo reale dei flussi energetici e il sostegno alla RTN per conseguire obiettivi di sicurezza nell’approvvigionamento. In questo modo si garantisce che domanda e offerta siano sempre in equilibrio e che si bilancino eventuali cali o eccessi nella rete, al pari delle centrali termoelettriche da fonti tradizionali.

È importante sottolineare che gli impianti a biomassa generano in modo rilevante anche occupazione: con un fatturato totale di 3.680 milioni di euro, al 2018, il settore della bioenergia in Italia assorbiva 43.700 unità lavorative dei comparti agricolo, metalmeccanico, elettrico e della logistica (fonte: Bioenergy Europe, 2020 – Bioenergy landscape Statistical Report pp. 37, 38).

A questi si aggiungono anche le realtà manifatturiere che, per valorizzare risorse di filiera, combustibili di seconda generazione e sottoprodotti in certa misura autoprodotti, si sono dotate di sistemi di cogenerazione altamente performanti e delle necessarie infrastrutture di connessione, contribuendo alla transizione verso un sistema generativo rinnovabile e decentralizzato.

Il sostegno alla produzione di energia da biomasse garantisce importanti ricadute sia sulle filiere agricole, contribuendo ad evitare l’abbandono dei terreni e integrando il reddito del mondo agricolo, sia sulle filiere della manutenzione boschiva, agroalimentare e, più in generale, del reimpiego di residui altrimenti destinati a smaltimento o pratiche di combustione incontrollata, in coerenza con i principi di economia circolare e sostenibilità.

La forte sinergia con il settore boschivo garantisce una gestione efficiente del patrimonio forestale, prevenendo incendi e realizzando azioni di contenimento del dissesto idrogeologico.

Un caso esemplare, nell’ambito di attività delle biomasse solide, è quello di alcune aziende del bellunese rappresentate da EBS che oggi contribuiscono in maniera significativa allo smaltimento del materiale degli schianti della tempesta Vaia in Trentino.

In virtù di questi elementi, le misure richieste sono indispensabili per garantire la sostenibilità degli interventi di mantenimento in condizioni ottimali di esercizio della capacità produttiva installata, nonché contribuire alla copertura dei costi per l’approvvigionamento della materia prima utilizzata in questi impianti, anche allo scadere del sistema incentivante di cui oggi le centrali beneficiano.

Infine, stringendo il campo d’interesse sul solo ambito delle biomasse solide, il Pniec individua nell’aumento dei tassi di utilizzazione del patrimonio forestale uno strumento per la riduzione delle emissioni nette di gas serra, passando in dieci anni dall’attuale utilizzo del 30-33% dell’accrescimento annuo al possibile impiego del 40-45% dello stesso grazie ai nuovi strumenti di gestione introdotti dal Testo Unico Foreste e Filiere Forestali (TUFF, D.Lgs. n. 34/2018 del 3 aprile 2018).

Ricordiamo che nell’ambito forestale il settore attinge da cascami, residui della lavorazione di prodotti, dalla gestione per la manutenzione del bosco e da biomassa vergine ottenuta dalla lavorazione del legno ed esclusa dal regime dei rifiuti.

In Italia la superficie occupata da foreste, fondamentali per gli equilibri climatici in quanto assorbono circa il 30% della CO2, è il triplo rispetto ai primi anni ’20 del secolo scorso e la disponibilità di biomassa per utilizzi energetici è ampiamente sottoutilizzata secondo molti studi di settore.

In dieci anni, tra il 1990 e il 2010, la superficie dei boschi in Italia è aumentata di quasi il 20% mentre nell’Unione Europea l’incremento è stato, per lo stesso periodo, del 5% (dato Global Forest Resourse Assessment 2010).

ADV
×