Crisi energetica, fino a dove può arrivare il biometano per ridurre gli usi di gas fossile?

  • 10 Marzo 2022

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Nuovi obiettivi Ue, come sbloccare i progetti in Italia, potenziale di produzione degli impianti agricoli: ne parliamo con Piero Gattoni, presidente del Cib (Consorzio italiano biogas).

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Il biometano potrebbe essere una carta vincente per uscire dalla crisi energetica che sta colpendo i Paesi europei, con sempre maggiore forza da quando Putin ha iniziato la guerra in Ucraina.

A condizione però che si mettano in campo tutti gli strumenti necessari a velocizzare progetti e investimenti, che finora sono rimasti bloccati dalla burocrazia, dal vuoto normativo e anche dalle opposizioni locali alla realizzazione degli impianti.

Quali sono le potenzialità del biometano in Italia nel breve e nel medio-lungo periodo? E quanto può contribuire questo gas verde a ridurre i nostri acquisti di combustibili fossili dalla Russia?

Ne abbiamo parlato con Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas (CIB).

Innanzitutto, Gattoni sottolinea che “la strategia appena pubblicata dalla Commissione europea per ridurre le importazioni di gas russo, per la prima volta, ha fissato un obiettivo produttivo per il biometano a livello europeo, pari a 35 miliardi di metri cubi/anno entro il 2030″.

Tale traguardo, infatti, è uno dei pilastri del piano REPowerEU presentato da Bruxelles e finalizzato a incrementare la sicurezza delle forniture energetiche.

Il nostro Paese, più di altri, prosegue Gattoni, “ha già lavorato a obiettivi sfidanti con il Recovery Plan, che prevede di produrre circa 4 miliardi di metri cubi di biometano nel 2026“.

È un valore “significativo”, spiega il presidente del Cib, considerando che ogni anno in Italia si importano 28 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia.

Guardando al 2030 il potenziale identificato dal Cib è ancora più ampio. Si parla di 6,5 miliardi di metri cubi/anno per il solo biometano agricolo, cui va aggiunta una quota di biometano derivato dalla frazione organica dei rifiuti urbani (1,5 miliardi di mc), per un totale di 8 miliardi di metri cubi.

Con un consumo totale di gas in Italia che nel 2021 si è attestato a circa 76 miliardi di metri cubi annuali, il biometano dunque potrebbe coprire il 10% della domanda attuale, e con interventi di riduzione dei consumi il suo contributo potrebbe salire al 15%, in linea con il traguardo fissato dal piano della Commissione Ue.

Al momento però in Italia il biometano prodotto è poco: circa 500 milioni di metri cubi, cui vanno aggiunti 2,5 miliardi di metri cubi di biogas. Il biogas derivato da biomasse agricole è una fonte energetica a elevata flessibilità, perché può essere utilizzato direttamente per la produzione di energia elettrica e termica (in cogenerazione), o depurato in biometano da immettere in rete per gli usi finali nei settori più difficili da elettrificare, come i trasporti pesanti e le applicazioni industriali come acciaio, carta e chimica.

Ecco perché il biometano ha un ruolo strategico nel nuovo piano europeo. Ma questo ruolo potenziale deve fare i conti con un “aspetto critico”, evidenzia Gattoni, in riferimento al “forte ritardo” accumulato dagli investimenti.

Insomma, resta un ampio divario tra obiettivi annunciati e progetti effettivamente realizzati.

Il decreto biometano, notificato a Bruxelles lo scorso novembre 2021, spiega Gattoni, “è ancora in fase di valutazione da parte della Commissione europea” ed è essenziale per attivare le misure del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per circa 2 miliardi di euro di investimenti.

Questo decreto di attuazione del Pnrr “prevede la possibilità di convertire gli impianti esistenti alla produzione di biometano e di costruire nuovi impianti, non solo per il settore dei trasporti ma anche per gli altri usi finali”.

Nel provvedimento è anche previsto “un meccanismo di supporto, in parte legato a un contributo sulla quota di investimento e in parte legato a un incentivo in conto esercizio, per la durata di 15 anni”.

La tempistica per sviluppare un impianto a biometano nel settore agricolo, precisa poi Gattoni, avendo un quadro normativo completo e senza intoppi a livello di permitting, “è di circa un anno e mezzo, di cui sei mesi per le autorizzazioni e un anno per la costruzione vera e propria”, più il tempo per la messa in esercizio.

Intanto il sistema degli impianti esistenti, secondo Gattoni, potrebbe essere potenziato già da subito in modo da produrre un 15% di biogas in più (circa 600 milioni mc) da destinare al mercato elettrico.

Questo però “dovrebbe essere accompagnato da una norma di semplificazione che permetta alla aziende di incrementare il potenziale di produzione già presente negli impianti e la possibilità di cedere questa energia aggiuntiva in tempi veramente rapidi,  rendendola disponibile alle imprese”.

Infine, un altro vantaggio del biometano è la possibilità di impiegare il digestato (il residuo del processo di digestione anaerobica delle biomasse agricole) come fertilizzante organico, al posto dei concimi chimici prodotti a partire da fonti fossili.

Con la fertilizzazione organica, termina Gattoni, “le nostre aziende stanno contribuendo ad alleviare gli incrementi esorbitanti dei costi che le aziende agricole stanno avendo per i fertilizzanti chimici”.

Il biometano, in definitiva, può fare da volano alla conversione agro-ecologica delle aziende agricole, oltre a dare un ampio contributo alla nuova strategia Ue sulla sicurezza delle forniture energetiche.

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