La contraddizione europea sui nuovi gasdotti: non serviranno, ma si investono miliardi

A rischio 87 miliardi di investimenti e l'Italia è tra i paesi più esposti: dopo Carbon Tracker, anche Global Energy Monitor lancia l'allarme stranded asset per il settore gas italiano.

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L’Europa rischia di sprecare decine di miliardi di euro in nuove infrastruttre del gas che saranno inutili e incompatibili con gli obiettivi climatici.

Un rapporto di Global Energy Monitor, Europe Gas Tracker Report 2021 (link in basso), torna sul tema dei cosiddetti stranded asset: infrastrutture destinate a incagliarsi in un mercato energetico non più in grado di generare profitti per il gas fossile, a causa della domanda in calo e della forte concorrenza delle fonti rinnovabili.

Secondo gli autori del rapporto, se l’Europa costruirà tutti i nuovi gasdotti e tutti i nuovi terminali Gnl (gas naturale liquefatto) già in cantiere o pianificati, farà aumentare del 35% la sua capacità complessiva di importazione di combustibile fossile, circa 222 miliardi di metri cubi/anno aggiuntivi, sborsando 87 miliardi di euro per le varie infrastrutture.

Più in dettaglio, in ballo ci sono 71 miliardi di euro di potenziali investimenti in gasdotti e 16 miliardi in terminali Gnl.

Tuttavia, si legge nel documento di Global Energy Monitor, questa crescita del gas fossile cozza contro il nuovo obiettivo Ue di riduzione delle emissioni al 2030: -55% di CO2 in confronto ai livelli del 1990, obiettivo che a sua volta richiede una netta diminuzione dei consumi europei di gas tra 2020 e 2030, pari al 36% secondo le stime di Bruxelles citate nel rapporto.

In sostanza, se l’Europa porterà avanti tutti i progetti nel gas, corre un duplice rischio: mancare il suo traguardo climatico e avere un pacchetto di nuove infrastrutture sovradimensionate rispetto ai bisogni energetici reali dei diversi Stati membri.

E in cima alla lista di chi investe di più nel gas fossile c’è proprio l’Italia.

Nel nostro paese, infatti, secondo le stime di Global Energy Monitor, le future opere nel settore gas, tra quelle in costruzione e quelle proposte, ammontano a circa dieci miliardi di euro (si parla, è bene ribadire, di gasdotti e terminali Gnl, escluse quindi le centrali di generazione elettrica).

Solo la Romania, con 13,3 miliardi, potrebbe battere l’Italia in questa corsa per aumentare la capacità di importare combustibile fossile.

Una corsa che è figlia di una politica energetica ormai obsoleta, incentrata sulla volontà europea di variare le rotte di approvvigionamento del gas per incrementare la sicurezza delle forniture e allo stesso tempo ridurre la dipendenza da alcuni paesi esportatori, come la Russia.

È la stessa logica che ha portato, ad esempio, a realizzare il gasdotto Tap (Trans-adriatic pipeline) nel corridoio Sud dell’Europa, in modo da portare nuovo gas via tubo dai giacimenti azeri alle coste italiane.

Ma questa strategia di investimento ora deve fare i conti con gli impegni climatici e con il boom delle energie rinnovabili.

Tra le opere, in costruzione o proposte, che coinvolgono l’Italia, Global Energy Monitor cita in primis il gasdotto Galsi Algeria-Italia da 8 miliardi di metri cubi/anno e un possibile potenziamento del Tap, per raddoppiare la sua capacità a 20 miliardi di metri cubi/anno.

Poi c’è la realizzazione del terminale Gnl a Porto Empedocle, in Sicilia, da 8 miliardi di metri cubi/anno, senza dimenticare il progetto di metanizzare la Sardegna con oltre 500 km di rete gas che, secondo alcuni studi ripresi dalle associazioni ambientaliste, è insostenibile dal punto di vista tecnico-economico.

Lo studio di Carbon Tracker

L’errore italiano di spingere troppo sul gas è stato evidenziato anche da un recente studio di Carbon Tracker, che si è concentrato invece sui progetti di nuove centrali elettriche a gas con cui sostituire gli impianti a carbone.

Così Catharina Hillenbrand von der Neyen, analista di Carbon Tracker e tra gli autori dello studio sull’Italia, ha spiegato a QualEnergia.it che investendo ancora nel gas fossile per la produzione di elettricità, il nostro paese si espone a un rischio di stranded asset stimato in 11 miliardi di euro di mancati ricavi.

Il punto, afferma l’esperta, è che già oggi investire in un pacchetto di fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico) con accumuli, è più conveniente e permette di fornire gli stessi servizi alla rete elettrica, tenendo però conto che occorre installare una potenza complessivamente maggiore, rispetto alla centrale a gas che si intende sostituire, perché bisogna considerare la variabilità di produzione delle risorse rinnovabili.

Peraltro, la convenienza economica delle rinnovabili è destinata ad aumentare nei prossimi anni, grazie alla discesa dei costi delle tecnologie pulite.

Si parla, infatti, di valori Lcoe (Levelized cost of electricity, il costo tutto compreso per produrre energia elettrica), di 47 euro/MWh per le rinnovabili con storage nel 2030, contro 75 euro/MWh per gli impianti a gas.

L’Italia, secondo l’analista di Carbon Tracker, deve però modificare il suo attuale mercato della capacità.

Il capacity market italiano, infatti, è distorto a tutto vantaggio delle centrali a gas esistenti e nuove, perché premia i grandi impianti da centinaia di MW. Invece servono regole di mercato con cui promuovere la partecipazione di accumuli, rinnovabili e tecnologie demand-response.

Infine, secondo Catharina Hillenbrand von der Neyen, bisogna porre attenzione ai futuri investimenti nell’idrogeno.

Questi non devono diventare una scusa per mantenere in vita le infrastrutture del gas fossile, ma devono concentrarsi sull’idrogeno verde, ricavato da elettricità 100% rinnovabile, da destinare ai settori più difficili da elettrificare direttamente, come trasporti pesanti e industrie.

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