Come uscire dal carbone e rigenerare a 360 gradi i territori coinvolti

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Quali sono gli impatti socio-economici dei processi di decarbonizzazione delle regioni europee che ospitano i poli energetici basati sul carbone? L’ex area mineraria del Sulcis e Brindisi sono i due casi studio italiani del progetto ENTRANCES.

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“Se c’è una transizione economica, la risoluzione è sempre omeopatica, ossia se c’è un problema che riguarda l’industria lo si risolve con un nuovo modello industriale, quello che il mercato sta proponendo con interventi nel medio e lungo periodo”.

A dirlo è il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale, Ugo Patroni Griffi in apertura del secondo webinar di presentazione dello studio dal titolo “Gli effetti del processo di decarbonizzazione del polo energetico di Brindisi” (webinar e studio allegati in basso), elaborato dal Distretto Tecnologico Nazionale sull’Energia (DiTNE).

Secondo Patroni Griffi, quindi, poiché ci sarà sempre più bisogno di energia, il polo energetico di Brindisi dovrà impegnarsi a sostituire l’attuale produzione da fonti fossili con quelle da fonti rinnovabili, recuperando tutte le aree portuali e non, oggi già impegnate allo scopo.

È dunque intenzione della regione Puglia di mantenere comunque la propria vocazione energetica (vedi Percorso ad ostacoli per il phase out dal carbone entro il 2025: il caso pugliese).

Da più parti tuttavia si ritiene che la transizione verso l’utilizzo di fonti di energia eco-sostenibili debba essere considerata come un processo sociale, culturale e psicologico che influenza la vita delle comunità locali (vedi Le comunità energetiche contro lo spopolamento delle aree interne. Il caso di Borutta) e non solo come un mero cambiamento di tipo tecnologico o industriale.

È il caso del progetto europeo ENTRANCES, ENergy TRANsitions from Coal and carbon: Effects on Societies, finanziato con il programma Horizon 2020 della Commissione europea e coordinato dall’Università spagnola della Coruña, che realizzerà una ricerca sulle sfide che le regioni “Coal and carbon-intensive” stanno affrontando nel loro percorso di transizione energetica.

Il Polo energetico di Brindisi e l’area della miniera del Sulcis, in Sardegna, sono due dei 13 studi di caso del progetto, che comprende un consorzio di 14 organizzazioni tra cui i partner italiani ENEA e l’istituto di ricerca Conoscenza e Innovazione.

Con Elena De Luca di Enea e Giovanni Caiati di Conoscenza e Innovazione abbiamo approfondito la genesi e gli obiettivi del progetto, da cui scaturirà un set di raccomandazioni per favorire la transizione di queste regioni verso le energie rinnovabili.

La transizione energetica come strumento di ri-territorializzazione

Giovanni Caiati

“Il progetto ENTRANCES – spiega Caiati – mette al centro il tema del territorio, che in queste aree si è fortemente caratterizzato dal legame con la funzione di estrazione o sfruttamento dei combustibili fossili. Qui la transizione energetica deve essere pensata come un processo di trasformazione profonda del territorio, che riguarda aspetti ambientali, tecnologici, economici, ma anche sociali, culturali, politici ed economici”.

“Il quadro di riferimento dello studio – aggiunge – è quello della teoria della territorializzazione e de-territorializzazione secondo la quale i cambiamenti del territorio non avvengono solo progressivamente, ma anche a seguito di grandi ondate di de-territorializzazione, con comunità locali che perdono il legame con i luoghi in cui abitano, a cui seguono processi di ri-territorializzazione, orientati allo sviluppo e alla coesione territoriali”.

ENTRANCES vuole studiare quali sono i processi di perdita di legame col territorio in queste regioni, ad esempio l’emigrazione, e capire se e a quali condizioni la transizione energetica possa essere una finestra per ri-territorializzare aree e comunità sottoposti a fortissimo stress.

Nel contesto europeo la posta in gioco legata alla transizione delle regioni coal and carbon intensive è molto alta.

Da un lato il phase out del carbone è una condizione necessaria per centrare gli obiettivi della carbon neutrality; dall’altro questa fonte riveste ancora un ruolo molto rilevante nella produzione energetica nazionale di alcuni paesi, pensiamo a Germania e Polonia, e rappresenta una fonte economica e di occupazione primaria per decine di comunità locali e regioni sparse nel territorio europeo.

Elena De Luca

“Per sostenere la transizione di queste regioni – spiega Elena De Luca – l’Europa ha implementato la piattaforma di dialogo e sperimentazione EU coal regions transition e strumenti finanziari come il Just Energy Transition Fund, che interessa, tra gli altri, il Sulcis e la città di Taranto; l’Italia ha chiesto che venga inclusa anche Brindisi”.

Stiamo assistendo a un processo molto simile a quello della de-industrializzazione che ha interessato nei decenni scorsi diverse aree urbane: mentre alcune hanno completato la loro transizione, in altre il processo non si è concluso, determinando una sorta di desertificazione economica e produttiva.

“Il tema energetico globalizza il fenomeno del cambio di vocazione produttiva dei territori che negli anni ’60 aveva carattere locale – dice De Luca – e ci dà la possibilità di fare dei confronti tra realtà che affrontano lo stesso processo. Nell’ambito della pianificazione di un sistema energetico sostenibile, siamo passati dal trilemma energetico, basato su riduzione delle emissioni, sicurezza energetica e competitività industriale, al quadrilemma energetico, che comprende anche la dimensione sociale”.

ENTRANCES, il lavoro sul campo e la raccolta dei dati

Secondo una metodologia di indagine comune a tutti i casi di studio europei, in Italia è stata avviata la raccolta delle informazioni propedeutiche allo studio.

“L’indagine – spiega De Luca – avverrà su tre livelli: il territorio direttamente impattato dalla transizione, dove ci sono gli impianti, i Sistemi Locali del Lavoro, ossia l’area interessata dagli spostamenti casa/lavoro, e l’area amministrativa di riferimento, la Regione”.

“Nel caso pugliese – aggiunge – il primo livello corrisponde al territorio del Comune di Brindisi, dove si trovano le centrali di A2A, chiusa nel 2013, e di Enel, il cui phase out è previsto per il 2025, mentre il secondo comprende anche sei comuni limitrofi”.

“Oltre alle produzioni a carbone e al porto – conclude De Luca – occorre considerare le attività di ENI e Edison e di tutti i soggetti che con diversi ruoli operano in questo ambito e che sono stati censiti e coinvolti nello studio elaborato dal DiTNE”.

Peculiare del caso Brindisi è la presenza del porto, fino a questo momento fortemente interessato alle attività di movimentazione del carbone ed energetiche, più in generale, con la sua forza lavoro e la presenza di infrastrutture importanti. Si pensi ai dome recentemente realizzati per la copertura dei carbonili e al nastro trasportatore del carbone lungo 17 km.

Qui Enel prevede di realizzare una nuova centrale a gas unitamente alla creazione di nuove aree doganali retroportuali gestite dalla neonata Enel Logistics (vedi Con il suo ingresso nella logistica, Enel compatta le comunità locali contro le centrali a gas).

Anche la situazione del Sulcis è piuttosto articolata perché, spiega Caiati, “l’area di studio comprende il bacino carbonifero in cui si trovano l’ex-miniera in corso di conversione, la centrale a carbone di Enel e il distretto industriale di Portoscuso, oltre ai comuni circostanti. Un modello organizzativo territoriale comune ad altre regioni estrattive a livello europeo”.

Nello studio di caso saranno coinvolti anche l’Università di Cagliari e Regione Sardegna.

Metodologia di indagine e raccomandazioni

Il grande valore aggiunto del progetto è dato dalla dimensione europea e dai tredici casi studio che, grazie alla comune metodologia di analisi, darà la possibilità di confrontare esperienze simili o più avanzate, piuttosto che gli esiti delle soluzioni già implementate e sulla cui base elaborare le raccomandazioni.

“Prevediamo di entrare in sintonia con le comunità locali per la raccolta dei dati e per la loro interpretazione – dice Caiati – attraverso interviste a informatori qualificati, interviste in profondità, e focus group. La ricerca prevede anche altre analisi, come quella macroeconomica, quella delle narrazioni riguardanti la transizione energetica e quella psicologica attraverso un’indagine con questionario”.

Se il processo di transizione energetica pone come minacce possibili la perdita di occupazione e il rischio di desertificazione industriale di alcuni territori rende disponibili opportunità inedite, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, la riqualificazione dei processi industriali, degli occupati e miglioramento ambientale.

Secondo De Luca “bisogna pensare in modo nuovo, non solo a riconversioni industriali ma anche a progetti di ricerca e innovazione per trattenere anche i giovani che non erano coinvolti nelle precedenti attività produttive”.

“Non ultima per importanza – conclude – è l’opportunità per le donne di diventare attrici di questo processo. Le donne hanno una attitudine maggiore al cambiamento, anche in senso ecologico, e questo potrebbe creare opportunità che storicamente in certi territori non esistevano e che vanno oltre l’occupazione.”

Lo studio DiTNE (pdf)

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