Le presidenziali Usa e quell’entrata a gamba tesa della Cina sul clima

A meno di due settimane dal voto, in un attacco diplomatico fuori dall’ordinario, Pechino accusa Washington per il sabotaggio delle politiche internazionali contro il cambiamento climatico messo in atto da Trump.

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La straripante tensione fra Stati Uniti e Cina, dilagata da tempo sul fronte commerciale, ha ormai rotto gli argini delle normali relazioni diplomatiche anche nell’alveo ambientale e climatico.

Al foglio informativo diffuso il mese scorso dal Dipartimento di Stato americano sugli “abusi ambientali della Cina”, ha infatti risposto ieri il Ministero degli Esteri cinese con una scheda dati, in cui si dice che gli Stati Uniti sono “ampiamente considerati dei rompi-accordi e dei piantagrane” e in cui si accusa Washington di aver “seriamente minato la governance e la cooperazione globale sul clima” per non aver ratificato il Protocollo di Kyoto e per essersi ritirati dall’Accordo di Parigi, due trattati globali volti a ridurre le emissioni.

Alla scheda dati cinese sul “danno ambientale da parte degli Stati Uniti” ha fatto seguito un rapporto più ampio sul “danno che gli Stati Uniti hanno inferto alla governance ambientale globale”.

La dichiarazione sulle carenze degli Stati Uniti fa seguito all’annuncio, il mese scorso, secondo cui la Cina mira a raggiungere la neutralità climatica entro il 2060, poco dopo che il Presidente USA Donald Trump si era scagliato contro l'”inquinamento dilagante” cinese.

Il documento statunitense accusava Pechino di minacciare l’economia e la salute globale “sfruttando in modo insostenibile le risorse naturali ed esportando il suo intenzionale disdegno per l’ambiente attraverso la sua iniziativa “One Belt One Road” – la cosiddetta nuova via della seta cinese per gli investimenti infrastrutturali all’estero.

Gli USA hanno accusato la Cina di usare deliberatamente il proprio status di Paese in via di sviluppo per “evitare di assumersi maggiori responsabilità nella riduzione delle emissioni di gas serra”.

Da parte sua, facendo riferimento alle politiche del Presidente americano Donald Trump, il governo cinese ha ribattuto dicendo che gli Stati Uniti “non solo hanno fatto marcia indietro sulle loro politiche nazionali di protezione ambientale, ma hanno anche seriamente compromesso l’equità, l’efficienza e l’efficacia della governance ambientale globale“.

Chiamando il riscaldamento globale una “bufala“, Trump ha minato l’ordine multilaterale che ha sostenuto il progresso sul cambiamento climatico in forum come il G20, ha scritto il Ministero degli Esteri cinese.

“Per quanto riguarda ciò che hanno fatto all’ambiente, gli Stati Uniti non si sono ancora giustificati di fronte ai propri cittadini ad altre persone nel mondo”, ha indicato il governo cinese, suggerendo che anche nel caso di una vittoria del candidato democratico Joe Biden alle elezioni del 3 novembre, un’amministrazione democratica dovrebbe comunque affrontare una strada in salita nel rimediare alle conseguenze del ritiro degli Stati Uniti dall’azione per il clima.

Biden, che è in testa ai sondaggi, ha promesso da parte sua che darà un “forte impulso diplomatico” per puntare molto più in alto quanto a obiettivi climatici internazionali e che gli Stati Uniti riprenderanno un ruolo guida, con ambizioni ben superiori a quelle della stessa amministrazione Obama-Biden, attuando una serie di politiche interne che mettano il Paese sulla strada giusta per raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050.

Se il ricongiungimento all’accordo di Parigi sarebbe un primo passo abbastanza facile, un’amministrazione Biden avrebbe il più difficile compito di bilanciare le esigenze interne con quelle internazionali: da una parte dovrebbe infatti aumentare gli sforzi per ridurre le proprie emissioni di CO2, dall’altra dovrebbe mantenere la promessa di aumentare i finanziamenti internazionali per il clima.

Gli ambientalisti e i sostenitori dell’energia pulita americani sono convinti che un’eventuale amministrazione Biden non metterà da parte i problemi energetici e climatici, anche in presenza di una pandemia.

“Non credo che il clima possa essere messo in secondo piano come è stato fatto in passato”, ha detto Johanna Bozuwa, co-direttrice del programma sul clima e l’energia presso Democracy Collaborative, una ONG focalizzata sul rinnovamento democratico e la riduzione delle disuguaglianze.

Sul fronte interno, se eletto, Biden potrebbe iniziare proprio da “casa sua”, cioè dal governo federale, elevando gli standard per l’approvvigionamento energetico e concentrandosi sull’energia pulita e sull’efficienza energetica.

Il governo federale è infatti il più grande datore di lavoro degli USA e la General Services Administration, l’agenzia che gestisce le proprietà del governo federale, è il più grande soggetto immobiliare pubblico del Paese, con 354 milioni di metri quadrati di uffici in gestione, e Biden potrebbe appunto partire da lì per dare l’esempio, legando a doppio filo le priorità di rinnovamento politico ed economico con quelle della tutela del clima.

Sul fronte internazionale, Biden ha detto che chiederà conto alla Cina del suo impatto sul clima, in particolare per l’esternalizzazione dell’inquinamento ad altri Paesi attraverso la sua nuova via della seta. Molti osservatori, da parte loro, sperano in una rinnovata cooperazione sul cambiamento climatico tra Pechino e Washington se Biden riuscirà ad arrivare alla Casa Bianca, anche se potrebbe volerci un po’ di tempo e molta buona volontà da entrambe le parti per ricucire gli strappi degli ultimi tempi.

Un’eventuale conferma di Trump alla presidenza, come raccontato in precedenti articoli, ritarderebbe invece in modo marcato il processo di decarbonizzazione statunitense, e quindi anche la rapidità della transizione energetica mondiale.

Il candidato democratico Biden, con il suo piano climatico da 2.000 miliardi di dollari, mira a eliminare le emissioni di carbonio dal settore elettrico statunitense entro il 2035.

“Se l’offerta di Biden fallisce, gli Stati Uniti perderanno altri quattro anni nella lotta contro il cambiamento climatico. Questo ridurrebbe drasticamente la possibilità di eliminare le emissioni di carbonio dalla rete elettrica americana prima del 2050”, ha indicato la società di ricerche Wood Mackenzie in un recente rapporto.

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