Cina: “neutralità carbonica” entro il 2060, fantasia o realtà?

Le principali incognite che Pechino deve risolvere per puntare davvero alle emissioni-zero entro metà secolo.

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Riuscite a immaginare una Cina senza centrali a carbone, dove tutte le automobili sono elettriche e dove le industrie pesanti utilizzano idrogeno “verde” per produrre l’acciaio?

È difficile pensare a una Cina così, ora che Pechino è il principale responsabile delle emissioni annuali di CO2 su scala globale (un quarto abbondante) e continua a investire massicciamente nel carbone (circa 250 GW di impianti in costruzione/pianificati).

Ma lo scenario a zero-emissioni potrebbe diventare realtà nel 2060, se il paese manterrà la parola appena data dal presidente, Xi Jinping, che ha annunciato l’obiettivo della “neutralità carbonica” da raggiungere poco dopo la metà di questo secolo.

Secondo Climate Action Tracker, se la Cina azzererà le sue emissioni entro il 2060, potrebbe togliere 0,2-0,3 gradi centigradi alle proiezioni sul surriscaldamento del Pianeta nel 2100, dando così il singolo contributo più rilevante, tra tutti i paesi del mondo, alla lotta contro il cambiamento climatico.

In sostanza, lo sforzo cinese consentirebbe di abbassare a circa 2,4-2,5 gradi le stime sull’aumento medio della temperatura terrestre entro fine secolo, in confronto ai livelli preindustriali.

Insomma, si andrebbe più vicino all’obiettivo di +1,5-2 gradi di surriscaldamento, come previsto dall’accordo siglato a Parigi nel 2015; al momento la traiettoria seguita dai diversi paesi sta portando verso un incremento di +2,7 gradi.

La Cina è davvero capace di realizzare il suo nuovo obiettivo?

Restano tante incognite e punti da chiarire.

Innanzi tutto, è bene notare che Xi Jinping ha parlato di “neutralità carbonica” anziché “neutralità climatica” come ha fatto, invece, l’Europa quando ha fissato il suo traguardo al 2050.

E c’è una certa differenza: la neutralità climatica, infatti, implica l’azzeramento di tutti i gas-serra compreso, ad esempio, il metano (che ha un effetto di surriscaldamento maggiore della CO2), oltre agli ossidi di azoto e ai gas fluorurati, in modo da avere un impatto zero sul clima.

Al contrario, la neutralità carbonica prevede di eliminare solamente le emissioni di CO2 quindi è un obiettivo leggermente ammorbidito rispetto a quello europeo; vedremo, perché magari la Cina deciderà di prendere come riferimento le emissioni di CO2eq (equivalente), e così facendo comprenderà tutte le emissioni che hanno un impatto sul clima.

Il punto è che Pechino deve ancora definire le azioni concrete per azzerare le emissioni entro il 2060.

Un primo segnale arriverà dal prossimo piano quinquennale 2021-2025, dove gli analisti si aspettano traguardi particolarmente ambiziosi per la nuova potenza da installare nell’eolico e nel fotovoltaico: si parla di almeno un centinaio di nuovi GW ogni anno per il solare e una quarantina di GW per l’eolico.

Allo stesso tempo, Pechino dovrà accelerare i piani per dismettere il carbone.

Per quanto riguarda la seconda affermazione di Xi Jinping, raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030, in realtà le sue parole sono appena poco più “forti” rispetto all’impegno attuale di raggiungere il picco “intorno al 2030”.

Di quanti anni stiamo parlando? Il governo cinese ha già un’idea del “quanto prima” del 2030?

Un altro aspetto da valutare è se Pechino applicherà lo stesso rigore della neutralità carbonica (con tutte le sfumature del caso che restano da definire) non solo al mix energetico-economico interno, ma anche agli investimenti e ai progetti realizzati fuori dei suoi confini.

Ad esempio, la neutralità carbonica varrà anche per i mega-investimenti legati alla nuova via della seta, la Belt and Road Initiative?

In altre parole, Pechino potrebbe aumentare, oppure diminuire, la portata del suo impegno per il clima, in base alle decisioni di investimento che adotterà nel resto del mondo.

E qui si finisce nella geopolitica, nella capacità cinese di influenzare altre economie portandole sulla sua stessa rotta, senza dimenticare il ruolo degli Stati Uniti.

Trump ha fatto del negazionismo climatico la sua bandiera elettorale e poi di governo, decidendo di uscire dall’accordo di Parigi e accusando la Cina di diffondere bufale sul surriscaldamento globale.

Ma l’eventuale vittoria del suo rivale democratico alle presidenziali di novembre, Joe Biden, potrebbe inaugurare un nuovo corso più orientato alle politiche verdi e a relazioni più strette con la Cina sui temi ambientali.

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