Clima, gli ambientalisti storici devono sostenere le nuove generazioni

Le vecchie generazioni devono dedicare attenzione e sostegno alle nuove azioni e battaglie dei giovani per un patto generazionale contro la crisi climatica.

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A ventinove anni Ricarda Lang è una delle donne più potenti della politica in Germania. Insieme a Omid Nouripour guida i Verdi e il suo futuro politico sarà un indicatore sulla sorte della conversione ecologica in Germania.

Ricarda è una figura rara nella politica verde europea, assente in Italia: giovane, donna, di sinistra e verde che si muove con competenza nella Realpolitik.

I verdi di sinistra in Italia non mancano. Sono quasi tutti maschi, molti da un decennio o più in pensione dopo aver ricoperto vari ruoli e che all’ottavo o nono decennio di vita sempre definiscono e dominano il discorso e la politica ambientali.

Sarebbe una soluzione cercare di convincere i “dinosauri” a fare bella figura ritirandosi volontariamente dal campo?

No; il campo rimarrebbe vuoto o, peggio ancora, rimarrebbe completamente nelle mani dei dinosauri fossili. Per rivitalizzare la partita occorre uno sforzo per far entrare nuovi giocatori giovani, uomini e soprattutto donne.

Evidentemente il rifiuto di dedicare attenzione ed energia a nuovi giocatori non fa parte solo di una mentalità elitaria di destra, che considera sé stessa unica, indispensabile e insostituibile, ma anche di chi si preoccupa dell’inclusione degli esseri umani nei cicli naturali di nascita e morte.

Il filosofo culturale Norbert Elias indica la sequenza generazionale, nota come generation gap, come la separazione più profonda prima di classe, etnia, religione e genere.

Quella della sequenza generazionale è diventata una figura popolare per descrivere i conflitti e le differenze di prospettiva tra le generazioni.

Ci si lamenta dell’uscita dei baby boomer dal mercato del lavoro con pensioni che i loro figli non vedranno mai. E poi c’è la generazione Y, la generazione Z e, più recentemente, la Last Generation, l’ultima generazione.

L’ultima non perché non ci saranno altre generazioni a seguire, ma perché affermano che sarà nel corso della loro vita, nei decenni che rimangono in questo secolo, che si deciderà se la crisi ecologica porterà a una vasta distruzione della base naturale della vita umana sul Pianeta. E gran parte del mondo scientifico condivide questa visione.

Quindi, non dovrebbe essere questo momento di estrema discontinuità in cui, in un salto dialettico il “generation gap” scompare?

Gli ambientalisti storici non devono abbandonare i propri importanti campi di battaglia contro i sussidi ambientalmente dannosi, i rigassificatori e il metano come “tecnologia ponte”, il consumo del suolo e così via, a favore del male minore e a volte evitando il peggio.

Ma, allo stesso tempo devono dedicare con grande umiltà e attenzione alle nuove azioni e battaglie dei giovani che si incollano in strada, pubblicano report sugli stabilimenti di allevamento industriale e dipingono jet privati di arancio.

Fin quando ogni generazione poteva giustamente nutrire la speranza di farsi una vita con opportunità più o meno simili a quelle di prima, il generation gap parlava di libertà.

Oggi, il compito degli anziani non è più quello di farsi da parte per dare ai giovani la libertà di trovare il proprio percorso, ma di sostenere – dopo il proprio fallimento – gli sforzi delle nuove generazioni per fermare la minaccia esistenziale alla base della vita umana.

Ogni azione, ogni rivolta piccola o grande contro l’indifferenza, ogni germoglio di speranza per salvare la vita, rigenerare il tessuto sociale e curare il bene comune è importante e va sostenuta. Come “Parents for Future”, “Scientists for Future”, “Architects for Future”, “Pantere Grigie per il Futuro”. Il nome non ha importanza.


L’articolo è stato pubblicato sul n.3/2023 della rivista QualEnergia con il titolo “Non è un clima per giovani”.

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