Cingolani, unfit for 55

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Perché le posizioni e le dichiarazioni del Ministro del MiTE sono sconcertanti per chi dovrebbe invece guidare la transizione ecologica, limitarne le conseguenze negative e coglierne tutte le opportunità industriali e occupazionali.

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La Commissione europea ha battuto un colpo deciso con la proposta di ambiziosi obiettivi climatici al 2030.

Anche se alcune forze ambientaliste hanno considerato insufficienti le misure e lo stesso Europarlamento aveva chiesto di alzare dal 55 al 60% l’obiettivo di riduzione delle emissioni a fine decennio, va detto che il pacchetto è destinato ad accelerare notevolmente la transizione climatica, e non solo in Europa.

La proposta, peraltro, è stata lanciata in mezzo ad un crescendo di catastrofi con centinaia di morti. Dall’ondata di calore nel Nord America (49,6 °C a Lytton, cittadina canadese devastata poi dagli incendi), alle piogge torrenziali che hanno distrutto vaste aree di Germania, Olanda e Belgio.

“La lezione da trarre è che dobbiamo essere molto più rapidi e decisi nella lotta contro i cambiamenti climatici”, ha affermato la Merkel sui luoghi del disastro, aggiungendo “quanto investiremo nella difesa del clima costerà molto, ma quello che non faremo ci costerà molto di più”.

In realtà, c’è chi ritiene irrilevanti gli sforzi europei, considerando che le emissioni della Ue rappresentano soltanto l’8% del totale mondiale. Ma le nostre scelte sono tutt’altro che marginali.

Intanto va ricordato che abbiamo una responsabilità morale non indifferente, considerato che le emissioni storiche della Ue sono seconde solo a quelle degli Usa. E bisogna soprattutto riflettere sull’influenza delle politiche europee a livello internazionale.

È stato così con la scelta di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 lanciata dalla Commissione nel novembre del 2018 e adottata successivamente da decine di paesi.

Analogamente, la corsa alle rinnovabili iniziata 20 anni fa (vi ricordate i 100.000 tetti solari tedeschi e i 10.000 tetti solari italiani?) ha creato un mercato che ha favorito il crollo dei prezzi delle tecnologie.

E ancora l’Emissions Trading System ha fatto proseliti. Sta infatti per partire l’ETS cinese, inizialmente limitato alla produzione elettrica, che verrà esteso ai comparti della chimica e della produzione di acciaio, alluminio e cemento.

Reazioni alla proposta della Commissione

Ma veniamo alle reazioni alla proposta della Commissione Ue. Quelle perplesse di alcuni paesi dell’Est al pacchetto “Fit for 55” erano scontate.

Stupiscono invece le critiche della Francia (Macron ha le elezioni il prossimo anno e non vuole correre rischi, dopo aver gestito pessimamente la carbon tax) e soprattutto sconcertano quelle del governo italiano.

In particolare, le reazioni del ministro Cingolani che si riflettono nei titoli dei giornali: “No all’isteria ecologista”, “Green Deal, alt del governo: è una condanna a morte”, “Così la Motor Valley chiude”. Del resto, anche l’ex ministro Alberto Clô arriva a definire le misure “simboliche, frutto del fanatismo ecologista”.

Certamente la proposta che ha fatto più clamore, alimentando le reazioni più accese, riguarda il blocco dal 2035 della vendita delle auto a benzina e diesel.

In realtà, il mondo dell’auto era preparato. Per l’associazione di categoria tedesca Vda “l’industria automobilistica sostiene l’obiettivo della Commissione Europea di rendere l’Europa il primo continente al mondo a essere climaticamente neutrale entro il 2050”

E l’amministratore del gruppo Volkswagen Herbert Diess è netto: “il Green Deal europeo rappresenta un’opportunità! L’elettrificazione verrà accelerata”.

Malgrado il fortissimo ritardo accumulato, la stessa Fiat ha cambiato decisamente strategia. Il suo amministratore delegato, Olivier François, ha infatti recentemente annunciato il progressivo abbandono delle motorizzazioni termiche per arrivare alla sola vendita di modelli elettrici dal 2030.

Certo ci sono le criticità nel comparto della componentistica, che lavora parecchio per l’industria tedesca, e occorre dunque un forte sostegno per accompagnare la sua transizione. Ma, secondo uno studio commissionato da Confindustria Emilia, la Motor Valley emiliana dovrà cambiare per non morire. “Smettiamo di ragionare sul mondo che si chiude e prepariamoci ad entrare in quello che si apre”. Questo ci pare un atteggiamento sensato, volto a cogliere le nuove opportunità.

Per quanto del tutto marginali, Cingolani si allarma anche per le produzioni di nicchia delle auto di lusso. In realtà, Lamborghini, di proprietà della tedesca Audi, ha deciso di investire pesantemente sul passaggio all’elettrico e John Elkan ha deciso di anticipare al 2025 l’uscita della Ferrari elettrica.

Curiosa anche l’affermazione del ministro “se anche riuscissimo a trasformare oggi tutto il parco auto a trazione elettrica, non avremmo energia rinnovabile a sufficienza”.

Uno studio di Rse ha calcolato che se nel 2030 avessimo 10 milioni di auto elettriche la richiesta sulla rete sarebbe di 19 TWh, cioè solo l’8% della produzione rinnovabile a fine decennio.

E peraltro, anche se magicamente oggi tutte le auto fossero elettriche, esse assorbirebbero solo due terzi dell’attuale produzione verde.

Più in generale, l’atteggiamento di Cingolani è profondamente sbagliato quando afferma che la transizione ecologica «potrebbe essere un bagno di sangue». Un ministro della transizione ecologica dovrebbe lavorare proprio per limitare le conseguenze negative e cogliere invece tutte le opportunità in termini di nuove industrie e nuovi occupati.

Da questo punto di vista è interessante notare come la stessa Polonia, che produce col carbone più del 70% dell’elettricità, si stia attrezzando per la transizione spesso con maggiore incisività rispetto all’Italia. A gennaio una legge ha sbloccato la crescita dell’eolico off-shore che punta a 11 GW. Significative anche la dinamica del solare. Lo scorso anno la potenza fotovoltaica è aumentata di 2,6 GW (il quadruplo dell’Italia) e negli ultimi cinque anni sono stati installati 450.000 tetti solari. La Polonia è poi in prima fila nella produzione di autobus elettrici e la società Solaris ne produce 700 all’anno.

Insomma, ministro Cingolani, la transizione ecologica è una scelta obbligatoria nel pieno di una crisi che preoccupa sempre più i climatologi e gli stessi cittadini.

Sta al nostro paese, che purtroppo in passato ha gestito in modo miope e difensivo le scelte climatiche, affrontare questo passaggio con lungimiranza in modo da cogliere tutte le straordinarie occasioni che potranno aprirsi.

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