Cina-Usa: perchè non è vera crisi e l’azione sul clima potrebbe non risentirne più di tanto

Alcune considerazioni preliminari sugli impatti che le ritorsioni cinesi contro gli Usa riguardo Taiwan potrebbero avere sull’azione climatica e altre sfere.

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Quella fra Cina e Stati Uniti, provocata dalla visita della presidente della Camera americana Nancy Pelosi a Taiwan, non è propriamente definibile come una “crisi”.

Non nell’accezione, per esempio, della crisi dei missili russi a Cuba negli anni ’60 o di un “improvviso passaggio dalla prosperità alla depressione”, come recita la Treccani.

I rapporti fra Cina e Stati Uniti non erano idilliaci prima della visita di Pelosi a Taiwan e delle esercitazioni militari avviate dalla Cina presso Taiwan in risposta a tale missione, e ora lo sono ancora un po’ meno, dopo che il ministero degli Esteri cinese ha annunciato l’annullamento o la sospensione dei colloqui e della cooperazione con gli Stati Uniti in otto diversi settori, come “contromisure” alla visita di Pelosi a Taiwan.

Pechino ha comunicato le proprie misure in modo molto telegrafico e le riportiamo qui di seguito per intero:

  1. Annullamento del colloquio Cina-Stati Uniti tra comandanti di teatro.
  2. Annullamento dei colloqui di coordinamento della politica di difesa tra Cina e Stati Uniti (DPCT)
  3. Annullamento delle riunioni dell’Accordo consultivo militare marittimo (MMCA) tra Cina e Stati Uniti
  4. Sospensione della cooperazione Cina-Stati Uniti sul rimpatrio degli immigrati clandestini
  5. Sospensione della cooperazione Cina-Stati Uniti sull’assistenza legale in materia penale
  6. Sospensione della cooperazione Cina-Stati Uniti contro i crimini transnazionali
  7. Sospensione della cooperazione Cina-Stati Uniti in materia di lotta agli stupefacenti
  8. Sospensione dei colloqui Cina-Stati Uniti sul cambiamento climatico.

Tali misure non sembrano tali da far assurgere la serie di eventi in corso allo status di crisi – almeno per ora.

Quello in atto fra Cina e Stati Uniti è forse più simile ad un mutamento di stato nella fisica: da rapporti freddi, freddini o al massimo tiepidi ma ancora fluidi e incanalabili entro rapporti di routine il clima si è surriscaldato volgendo verso uno stato più “gassoso”, più volatile e imprevedibile, ma senza preludere ancora a una deflagrazione vera e propria.

Cominciamo dall’ultimo punto – quello sulla sospensione dei colloqui sul clima – che ci sta più a cuore per i suoi riflessi sul settore energetico.

Meno azione sul clima?

Il cambiamento climatico è stato in realtà uno dei pochi settori relativamente meno conflittuali nelle attuali relazioni tra Cina e Stati Uniti.

John Kerry, l’inviato presidenziale Usa per il cambiamento climatico, è infatti l’unico membro del gabinetto Biden ad aver visitato la Cina – per ben due volte, nell’aprile e nel settembre 2021. Li Shuo, senior officer per le politiche climatiche ed energetiche di Greenpeace East Asia, ha descritto questi viaggi come un’esperienza che ha portato a risultati notevoli, dimostrando “il valore dell’impegno”.

Ora la Cina ha chiuso questa porta, ma presumibilmente solo in modo temporaneo, visto che l’ha definita solo una “sospensione“. La lunghezza di tale chiusura sarà probabilmente la variabile più importante da tenere d’occhio nelle prossime settimane e mesi.

Va notato che gli ultimi due accordi presi a livello globale per combattere il cambiamento climatico sono arrivati solo dopo che Stati Uniti e Cina, di gran lunga i due maggiori emettitori di gas serra, si sono accordati tra loro.

A metà novembre, cioè fra soli tre mesi, si terrà la nuova edizione della Conferenza delle parti (Cop 27) delle Nazioni Unite in Egitto e lo stato solido, liquido o gassoso dei rapporti fra Cina e Usa potrebbe fare tutta la differenza di questo mondo fra i diversi livelli di ambizione climatica e ambientale che si riuscirà a fissare per la comunità internazionale nel suo insieme.

“Il timore è che la tensione tra Stati Uniti e Cina possa diventare una scusa per i Paesi che non sono disposti a fare un passo avanti”, ha dichiarato a Reuters Bernice Lee, direttore esecutivo del Centro per l’economia delle risorse sostenibili di Chatham House.

Le prospettive a breve termine della politica climatica sono rese ancora più incerte dall’incrocio di due scadenze “elettorali” cruciali: il 20° Congresso del Partito Comunista cinese, atteso a novembre in data ancora da ufficializzare, durante il quale il presidente Xi Jinping dovrebbe cercare di farsi affidare un terzo mandato senza precedenti come leader supremo; e le elezioni di medio termine americane l’8 novembre, che potrebbero consegnare agli Usa e al mondo un Congresso con più rappresentanti repubblicani, spesso meno favorevoli alle energie rinnovabili e all’azione climatica; il tutto destinato a sovrapporsi alla Cop 27, che avrà luogo a Sharm El-Sheikh dal 7 al 18 novembre.

Le misure appena annunciate dalla Cina vanno lette anche alla luce delle considerazioni di politica interna del presidente Xi Jinping e della sua necessità di dare lustro alla propria immagine di ferreo difensore dell’integrità territoriale cinese.

“Il problema per Xi Jinping è che deve apparire duro prima del congresso del partito. Alcuni [in Cina] già parlano online della debolezza della risposta cinese alla visita” di Pelosi, ha dichiarato a Reuters Anthony J. Saich, direttore dell’Ash Center for Democratic Governance and Innovation della Kennedy School di Harvard.

“La sospensione della cooperazione non punisce gli Stati Uniti, ma il mondo intero, in particolare quello in via di sviluppo. Il costo umano e finanziario sarà catastrofico” se i Paesi non riusciranno a mettere da parte le differenze per affrontare il cambiamento climatico, ha commentato da parte sua John Kerry.

È praticamente certo che, nel do ut des della diplomazia e della politica, e nell’incrocio di scadenze elettorali così importanti, anche singole questioni di politica energetica e climatica diventino oggetto di mercanteggiamento. È però praticamente impossibile pensare ad un dietrofront su tali temi.

Ma anche senza una inversione di marcia, basterebbe una semplice deviazione di percorso, un allungamento ulteriore dei tempi dell’azione climatica ad avere effetti deleteri, con un nuovo sfilacciamento del consenso internazionale, che non possiamo permetterci.

Nel passaggio dallo stato liquido-freddo allo stato caldo-gassoso, lo scenario ammette però anche altre dinamiche.

Più azione sul clima?

Il fatto che Cina e Usa al momento non si parlino sul clima potrebbe essere una cosa meno importante di quanto si pensi, hanno fatto notare alcuni esperti, sulla base di esperienze passate.

“È significativo che le due più importanti azioni interne che gli Stati Uniti e la Cina hanno intrapreso in materia di cambiamenti climatici siano avvenute in un momento di rivalità sempre crescente tra i due Paesi: forse c’è una lezione in questo”, ha dichiarato Scott Moore, direttore dei Programmi Cina e delle Iniziative strategiche dell’Università della Pennsylvania.

In altre parole, anche l’azione climatica e la politica energetica rientrano nella grande competizione geo-strategica in corso fra Stati Uniti e Cina – e nessuno dei due Paesi vuole restare troppo indietro in tema di rinnovabili e tecnologie verdi.

Il Senato degli Stati Uniti, nel bel mezzo della “crisi” su Taiwan, ha appena approvato l’Inflation Reduction Act, la maggiore iniziativa in materia di clima e energia mai intrapresa negli Usa, grazie all’accordo raggiunto recentemente dal senatore della West Virginia Joe Manchin e dal leader della maggioranza democratica Chuck Schumer, come accennato in un precedente articolo.

Da parte sua, il leader cinese Xi Jinping ha annunciato l’obiettivo del Paese di diventare neutrale dal punto di vista delle emissioni di CO2 entro il 2060 nel corso di una riunione delle Nazioni Unite nel settembre 2020 – durante un altro periodo ad alta tensione con gli Usa a causa della pandemia e delle accuse dell’allora presidente Donald Trump contro la Cina.

Sembra insomma che gli Stati Uniti e, in risposta, la Cina siano disposte a fare grandi passi per cercare di limitare le emissioni di gas che causano il surriscaldamento dell’atmosfera, anche senza parlarsi direttamente, solo per effetto della volontà degli Usa di non perdere la primazia narrativa ed economica sulle nuove sorti del mondo, e la Cina per guadagnarla, secondo Alden Meyer, del think tank indipendente E3G.

“La Cina dovrà rispondere alla nuova legge sul cambiamento climatico che uscirà dal Congresso anche se i colloqui sul clima saranno sospesi”, ha affermato Nigel Purvis, amministratore delegato di Climate Advisers.

Dati i diversi sistemi di governo, “ciò che conta di più in Cina sono gli obiettivi di alto livello, mentre negli Stati Uniti è l’approvazione delle leggi“, ha detto Deborah Seligsohn, esperta di politica ed energia cinese presso la Villanova University ed ex diplomatica statunitense.

Altre misure

Vale la pena sottolineare che le misure cinesi hanno risparmiato tutto ciò che riguarda i colloqui sulle questioni economiche e commerciali, che sono probabilmente la principale priorità della Cina (e degli Usa) nelle sue relazioni internazionali. Escluse dalle ritorsioni sono anche questioni di sicurezza sanitaria legata alla pandemia, con i riflessi che sappiamo possono avere sull’economia mondiale.

La portata tutto sommato limitata delle ritorsioni cinesi suggerisce che Pechino abbia deciso di fare la voce grossa, stando però attenta a non compromettere troppo il cuore delle sue già fragili relazioni bilaterali con gli Usa.

“La Cina non sta puntando alla giugulare… [sta] sviluppando queste contromisure in modo da punire gli Stati Uniti senza farsi troppo male allo stesso tempo. Ci sono cose su cui non abbiamo fatto progressi significativi con la Cina, che abbiamo interesse comune a fare, ma non sono destinate a far ondeggiare troppo la barca in termini di relazioni complessive tra Stati Uniti e Cina”, ha dichiarato a Politico Bonny Lin, ex direttore nazionale per la Cina presso l’Ufficio del Segretario alla Difesa Usa e direttore del China Power Project presso il Center for Strategic and International Studies.

Cinque misure su otto consistono in una sospensione dei colloqui, riguardanti per lo più temi bilaterali di profilo più basso e non internazionali (con l’eccezione del clima). Tali colloqui potrebbero riprendere quindi in qualunque momento quando si sarà calmata la maretta.

Le altre tre misure prevedono invece una vera e propria “cancellazione” della cooperazione – tutta riguardante questioni militari con dialoghi che erano volti a creare fiducia e a rafforzare il potenziale di gestione di eventuali, vere crisi, che la Cina vede riferite soprattutto alla questione di Taiwan.

Si tratta di un passo preoccupante e pericoloso, in quanto il rischio di un’escalation anche involontaria delle azioni belliche è probabilmente il più alto dalla caduta dell’Unione Sovietica, in un momento in cui i rapporti internazionali sono già molto volatili, sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina.

Per quanto insomma quella fra Cina e Usa non sia ancora una crisi vera e propria e le politiche energetiche dei due Paesi potrebbero non soffrirne troppo, meglio sarebbe stato per il clima naturale e politico se non ci fosse stata.

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